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Scritto il 08/12/11

“Ribelli” di Bengasi in Siria per la prossima guerra Nato

Sta arrivando una guerra ancora più sporca di quella appena conclusa in Libia per rovesciare Gheddafi col pretesto umanitario. Nuovo obiettivo: Damasco, anticamera di Teheran. “Libia 2.0” uguale Siria? No, peggio: «E’ più “Libia 2.0 remix”», col solito alibi “R2p”, cioè “responsabilità di proteggere”, ovvero «i civili bombardati fino alla democrazia», ma stavolta senza neppure la copertura dell’Onu, perché Russia e Cina opporranno il veto. E mentre anche la Turchia soffia sul fuoco, Hillary Clinton scalda i reattori degli F-16: alla televisione indonesiana ha appena annunciato che in Siria sta per scatenarsi «una guerra civile», ben finanziata e «ben armata» da un’opposizione zeppa di disertori, ma non solo: il nuovo regime di Tripoli ha inviato al confine siriano 600 miliziani, reduci della “rivoluzione” contro Gheddafi.

Lo rivela Pepe Escobar in un servizio su “Asia Times”, nel quale illumina i retroscena dell’accerchiamento di Damasco: in primo piano la Nato e il Consiglio di cooperazione del Golfo, il «club controrivoluzionario» che annovera potenze petrolifere come il Qatar e gli Emirati Arabi, ma con un tocco in più: c’è infatti anche la firma della “nuova Libia”, tempestiva nell’inviare soldati per far fuori Assad, come comanda Washington. «Con esplicito consenso di Mustafà Abdul Jalil», presidente del Cnt (il “Consiglio transitorio nazionale” costituitosi a Bengasi), i libici «precedentemente conosciuti come “ribelli”», secondo Escobar avrebbero già raggiunto la Siria attraverso la Turchia: “Asia Times” parla di 600 soldati «fortemente motivati, freschi reduci del rovesciamento del regime di Gheddafi» e pronti a combattere a fianco del neonato Fsa, il Free Syria Army messo in piedi per organizzare, sotto forma di guerra civile, la deposizione del regime di Damasco.

Sempre “Asia Times”, in un reportage tradotto in italiano da Donatella Cortoni e Pino Cabras per “Megachip”, rivela che l’arrivo dei “mercenari” di Bengasi sarebbe stato seguito da una riunione segreta, a Instanbul, tra la dirigenza degli ex “ribelli” libici e i nuovi oppositori siriani, rappresentati dal neonato “Consiglio nazionale siriano”. «I libici dal grilletto facile – spiega Pepe Escobar – hanno accesso a un capitale di armi saccheggiato dai depositi militari del regime di Gheddafi o gentilmente “donate” da Nato e Qatar». Sembra un replay dell’alba di guerra in Afghanistan, quando i sauditi spedirono a Kabul i miliziani fondamentalisti: andassero a combattere il “jihad” lontano da casa, anziché far scoppiare un pandemonio nel cuore del regno petrolifero. Anche per gli uomini di Bengasi, scrive oggi “Asia Times”, è meglio spedire lontano, in Medio Oriente, i guerriglieri della “liberazione”: disoccupati dopo la caduta di Gheddafi, potrebbero destabilizzare il Nord Africa.

Mercenari libici ancora freschi della guerra appena conclusa: è la carta vincente per assestare il ko finale al regime di Damasco, scrive Escobar. «La pressione è implacabile»: diplomatici di Bruxelles  hanno confermato ad “Asia Times” che gli operativi Nato e le forze arabe del Golfo hanno «predisposto un centro di comando a Iskenderun», nella provincia turca di Hatay: «La cruciale Aleppo, nel nord-ovest della Siria, sta molto vicino al confine turco-siriano». La versione di copertura per questo centro di comando? Ufficialmente, è quella di «progettare “corridoi umanitari” in Siria». Travestiti da “osservatori”, di nazionalità statunitense, canadese, francese o saudita, oltre che libica, questi «militanti umanitari» dispongono in realtà di forze militari di terra, navali e aeree, nonché di ingegneri specialisti. «La loro missione: infiltrarsi nel nord della Siria, specialmente Idlib, Rastan, Homs ma soprattutto il premio più ambito, Aleppo, la più grande città della Siria con almeno 2,5 milioni di abitanti, la maggioranza dei quali sunniti e curdi».

Ancor prima che queste notizie trapelassero da Bruxelles, continua Escobar, il settimanale satirico francese “Le Canard enchainé” e il quotidiano turco “Milliyet” avevano già rivelato che dei commando dei servizi segreti francesi e del britannico Mi6 stessero addestrando il Free Syria Army in tecniche di guerriglia urbana nell’Hatay, nel sud della Turchia e nella località nord-libanese di Tripoli. Le armi, dai fucili da caccia alle mitragliatrici israeliane, fino ai lanciagranate Rpg, sono state contrabbandate in massa: «Non è un segreto che, sin dall’esordio del movimento di protesta in Siria, le bande armate – dai salafiti fino a insignificanti criminali – stanno attaccando soldati regolari, polizia e persino i civili. Tra le circa 3.500 persone uccise nel corso degli ultimi sette mesi – scrive “Asia Times” – un grande numero di civili e più di 1.100 soldati sono stati uccisi da queste bande».

Esattamente come in Libia, aggiunge Pepe Escobar, la Lega Araba ha «debitamente adempiuto alla sua funzione di zerbino», della Nato e del Gcc, l’alleanza delle monarchie petrolifere del Golfo, «votando le aspre sanzioni che includono un congelamento dei beni del governo siriano, senza più accordi commerciali con la banca centrale e senza più investimenti arabi». In breve: la guerra economica. Con, dietro le quinte, un peso massimo della regione come l’Arabia Saudita: «I sauditi sono investitori decisivi in Turchia, si stanno posizionando anche come maggiori investitori in Egitto e stanno facendo l’impossibile per diventare i maggiori investitori nella “nuova” Siria». Poi, naturalmente, la Turchia: che, da alleata di Damasco, si è trasformata in «impaziente sostenitrice del cambio di regime».

Sin dalla metà di novembre, aggiunge Escobar, la stampa turca ha posto l’attenzione su un piano dettagliato per una “no-fly zone” nel nord della Siria: l’ipotetica zona-cuscinetto alla quale sta lavorando sottobanco Ankara, verrebbe estesa fino ad Aleppo: per meglio infiltrare in territorio siriano le avanguardie della Nato e del Golfo, compresi i libici, e quindi «fomentare la guerra civile», come profetizza la “professoressa” Clinton. «Nella sua folle corsa per esportare il modello politico turco alla maggioranza sunnita del mondo arabo non ancora acquistata dal Gcc», la “Nato del Golfo”, la Turchia «potrebbe drasticamente fare male i conti delle sue relazioni cruciali sia con la Russia sia con l’Iran», avverte Escobar. «Senza contare che sia la Russia che l’Iran si stanno irritando a causa della deferenza della Turchia verso le pressioni della Nato per ospitare una stazione radio come parte della difesa missilistica».

Guerra fredda, insomma. E la Russia stavolta non starà a guardare: «Noi assolutamente non accettiamo uno scenario di intervento militare in Siria», avverte da Mosca il ministro degli esteri, Sergey Lavrov, confermando la “linea rossa” tracciata dai “Brics”, i paesi emergenti come Brasile, India, Cina e Sudafrica. Nessuna scusa per qualsiasi intervento estero in Siria, così come «ogni interferenza esterna negli affari siriani non in accordo con lo Statuto Onu». Niente bombe, ma solo negoziati: un fermo “no” all’estensione alla Siria del “modello Libia”, operazione di conquista “truccata” da guerra umanitaria. Democrazia in Siria? Sì, ma non bombardando a tappeto i civili, al riparo dell’ennesima “no fly zone”. Molto esplicita la Russia: la portaerei Admiral Kuznetsov ha già lasciato il porto nordico di Murmansk diretta alla base siriana di Tartus, dove da metà gennaio guiderà una grande squadra navale russa apertamente schierata a difesa della Siria.

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