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il 9 ott 2011

Tra il Corsera e la realtà
di Shady Hamadi
Scrittore e portavoce del Coordinamento della rivoluzione siriana in Italia

Il “Corriere della Sera” di ieri, non diversamente da altri quotidiani, titolava: “L’opposizione siriana si arma e passa al contrattacco”. Nell’articolo a firma di Guido Olimpio si fa cenno, tra “le realtà armate segnalate da fonti di intelligence americane”, alla presenza nel paese di formazioni islamiste, tra cui l’Hizb Al Tharir, vicinissimo ad Al Qaida. È importante non dimenticare mai, quando si parla di opposizione siriana, che si parla di milioni di uomini e di donne che da sette mesi mettono in gioco la propria vita per la libertà. L’Hizb Al Tharir non ha mai operato in Siria, dove la quasi totalità dei manifestanti continua a protestare pacificamente, sopportando soprusi di ogni genere. Gli unici scontri armati che realmente si verificano nel paese sono limitati al distretto di Homs, dove in questi giorni l’esercito siriano sta usando gli elicotteri e l’artiglieria pesante per eliminare i battaglioni di disertori che avevano abbandonato Assad e si erano asserragliati nella città di Rastan per unirsi al popolo. Ci sono anche dei civili che hanno scelto di armarsi con vecchi fucili, per difendere le loro case – questo nessuno lo mette in dubbio, nemmeno nella nostra opposizione. Sin dallo scorso Ramadan, frequenti sono state le telefonate tra i nostri dirigenti qui in Europa e i membri di alcuni coordinamenti locali in Siria che esprimevano la necessità di intraprendere una lotta armata, in difesa dei cittadini. La nostra risposta è sempre stata: “No alle armi, sì alla lotta non violenta”. La possibilità di un’escalation, di un mutamento del movimento pacifista siriano, è stata sempre respinta, e anche oggi la maggioranza degli uomini e delle donne che hanno dato vita alla “Rivoluzione della dignità” si attengono a scelte di non violenza, nonostante gli squadroni del regime continuino a massacrare gente inerme. Siamo stati consapevoli fin dall’inizio che un movimento armato avrebbe permesso al regime – le cui forze, come è evidente, sono impari – di aumentare l’intensità e la portata della repressione. Ma il carattere non violento della nostra rivoluzione non è dato solo da una scelta strategica: fin dai primi giorni, nelle piazze delle città insorte si è detto che la libertà siriana non avrebbe potuto nascere con gli stessi metodi attuati del potere criminale che l’ha soffocata per quarant’anni. Non abbiamo mai voluto assomigliare ai nostri oppressori.

In questo senso, la recente nascita del Consiglio nazionale a Istanbul, celebrata dai media come una vittoria dell’opposizione, è molto ambigua, e potrebbe finire col portare sulle proprie spalle la responsabilità di un’escalation armata in Siria. Da maggio esiste un Coordinamento nazionale all’interno del paese, raggruppante tutte le opposizione siriane (16 partiti) e le personalità indipendenti che avevano firmato la Dichiarazione di Damasco del 2001, oltre a tutti  i rappresentanti delle diverse etnie e confessioni. Questo coordinamento, che il 18 di settembre si è riunito – con enormi difficoltà, come si può ben immaginare – a Damasco, ha visto arrestare, prima e dopo la riunione, diversi dei suoi partecipanti. I suoi membri all’estero, tra i quali il dott. Haytham Manna, si sono successivamente riuniti a Berlino, dal 23 al 25 di settembre, per tre giorni di lavori volti a riunire tutte le opposizioni, anche all’esterno del paese, e a costituire il primo embrione di un largo fronte di opposizione. Alla conclusione dei lavori, tutti i partecipanti, tra cui il delegato siriano per l’Italia, dott. Ossamah Al Tawel, hanno appreso da Aljazeera la costituzione, a Istanbul, del Consiglio nazionale transitorio, in cui non sono rappresentati i partiti curdi né quelli siriani. È facile immaginare lo sconcerto prodotto da questa notizia sia nel Coordinamento che nell’opposizione siriana nel paese e all’estero: il Consiglio nazionale è un fenomeno artificiale, voluto e sponsorizzato fuori dalla Siria, che indebolisce la faticosa costituzione di un coordinamento democratico radicato nel paese. Ciò nonostante, se il Consiglio nazionale transitorio – enfatizzato dai media di tutto il mondo, che mai hanno dedicato altrettanta attenzione al processo di formazione della nostra dirigenza – dimostrerà di voler dialogare e rappresentare almeno la realtà politica siriana, saremo disposti a collaborare per il bene del paese, oggi sull’orlo di un baratro. Tuttavia ci preme far notare che la promessa di chiedere alla comunità internazionale la “garanzia di protezione per i civili”, letta dal dott. Burhan Ghaliun a nome del Consiglio, non ha fatto che convincere alcuni siriani ad abbassare il tiro contro il regime, nell’idea che presto qualche esercito verrà a salvarli. Sappiamo tutti che così non avverrà, per i delicati equilibri del Medio Oriente. Così facendo, inoltre, in attesa di un provvidenziale intervento della comunità internazionale, smetteranno le defezioni dell’esercito, unica strada reale per la vittoria. La diplomazia mondiale, se unita e credibile, senza veti posti da chicchessia, senza mire di intervento e di dominio, può vincere il regime di Assad e lasciare che la battaglia per la libertà del popolo siriano produca i suoi frutti: ma deve credere nell’arma unica della pace. Certo, sembra una speranza insensata: quasi come la nostra Rivoluzione. Ma a volte è più insensato procedere secondo le logiche, all’apparenza realistiche, di un ordine immutabile.

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