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15 agosto 2011

Assedio a Latakia, almeno 29 morti
"Siamo bersagliati da terra e mare"

BEIRUT - Per il terzo giorno consecutivo la città costiera siriana di Latakia è stata bombardata dalle forze siriane, stretta nella morsa di navi da guerra e carri armati. "Si spara su qualunque cosa si muova", ha affermato un testimone, mentre fonti dell'opposizione hanno riferito che il bombardamento sulla città da terra e da mare si intensifica: almeno 29 persone sono morte e altre sono rimaste ferite mentre cercavano di fuggire dal quartiere di Raml al Janubi. Già ieri unità della marina 1 siriana erano intervenute con i loro cannoni. 

"Veniamo bersagliati da terra e da mare. Il fuoco è intenso. Non possiamo uscire", ha detto il testimone spiegando che esercito e forze di sicurezza "attaccano e irrompono nelle abitazioni". "Si spara soprattutto nel quartiere di al-Quneines. La gente sta cercando di andare via ma Latakia è assediata, così i cittadini possono solo cercare di spostarsi in zone meno soggette agli attacchi", ha raccontato un altro abitante. Il gruppo di attivisti Syrian Revolution Coordinating Union ha riferito che un ventiduenne, Ahmad Soufi, è stato ucciso e secondo l'Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria (Ondus), tra le vittime (tutti abitanti di quartieri a maggioranza sunnita, Sleibe, Raml Filastini, Bustan Saydawi, al Shaab e Raml Janubi) ci sarebbe anche una bambina di due anni.

Intanto circa cinquemila palestinesi sono in fuga dal campo profughi di Raml, a Latakia: lo ha reso noto l'Agenzia Onu per i rifugiati palestinesi (Unrwa). "Dobbiamo andare a vedere quello che sta accadendo", ha detto il portavoce Chris Gunness, chiedendo alle autorità di Damasco di avere accesso immediato al campo.

Nel tentativo di reprimere le proteste popolari in corso da cinque mesi, il regime di Bashar al Assad da ieri ha calato anche la carta della marina militare. Quartieri sunniti di Latakia, il principale porto del Paese e capoluogo della regione a maggioranza alawita (branca dello sciismo) a cui appartengono anche la famiglia presidenziale e i clan alleati al potere da 41 anni, sono stati raggiunti da colpi di cannone sparati da almeno tre navi da guerra, per la prima volta impiegate direttamente nella repressione dopo che a maggio alcuni pattugliatori erano stati schierati a largo di Banias, a nord del confine col Libano. Lo stesso porto di Latakia è da decenni controllato direttamente e indirettamente da Jamal al Assad, zio del presidente Bashar, dai suoi figli e dai nipoti, da più parti indicati come i veri arbitri dei traffici, legali e illegali, verso Cipro, il Libano e l'Europa.

Secondo la tv di Stato siriana le operazioni congiunte esercito-marina sono state effettuate in seguito agli atti di terrorismo commessi da bande armate in alcune zone di Latakia. I "terroristi", ha riferito la tv, hanno ucciso quattro agenti, e ne hanno feriti altri 41. Negli scontri - ha aggiunto l'emittente - sono morti anche quattro "miliziani" non identificati. I carri armati dell'esercito avevano già da ieri circondato la zona e protetto i rastrellamenti casa per casa effettuati dagli shabbiha. Si tratta di bande di lealisti armati, alawiti, i cui comandanti provengono per lo più proprio dall'entroterra della regione nord-occidentale, roccaforte dei potenti clan degli al-Assad, dei Makhluf, dei Khayr Bek, degli Shalish, tutti rappresentati ai vertici del potere.

La nuova offensiva contro Latakia giunge due settimane dopo l'inizio del Ramadan, il mese islamico del digiuno (uno dei cinque pilastri dell'Islam), dopo che già Hama, Dayr az Zor, la regione di Idlib, quella di Homs e i sobborghi di Damasco erano stati teatro di violenze.

L'esercito siriano con l'appoggio di carri armati è entrato infatti pesantemente anche a Homs, dove è stato segnalato un fuoco intenso. La cittadina di Hula, alle porte di Homs, "è assediata" e "l'esercito procede a perquisizioni e arresti sotto la copertura di un fuoco intenso", ha dichiarato in un comunicato l'ong d'opposizione Osservatorio siriano sui diritti umani. Un'altra ong siriana parla di "un gran numero di carri armati a Hula questa mattina" e di "fuoco di mitragliatrici".

Secondo i Comitati di coordinamento locali, più di 250 civili sono stati uccisi durante il Ramadan, con una media di un morto ogni cinquanta minuti. Dal 18 marzo, data d'inizio della rivolta, secondo fonti Onu, più di 2.000 siriani sono morti nella repressione. Damasco smentisce queste cifre e parla di oltre 500 tra soldati e agenti uccisi dai "terroristi". Nelle prigioni del regime sono detenute almeno 12.000 persone che si aggiungono alle migliaia di prigionieri politici arrestati prima che cominciassero le proteste.

Mentre la Germania invoca nuove sanzioni Ue contro la Siria ed esorta il Consiglio di Sicurezza dell'Onu a discutere ancora in settimana della feroce repressione del regime di Damasco, i ribelli sostengono che il regime sta giocando col fuoco. "Stiamo arrivando a un punto in cui le persone sono pronte a scendere per le strade e armarsi con qualsiasi cosa che le metta in grado di difendersi, e di combattere. Bisogna che le autorità internazionali intervengano, è necessario che il regime cada prima che scoppi una guerra civile", ha detto uno degli attivisti. L'attacco delle forze dell'ordine siriane ha comunque ricevuto la condanna internazionale, dalle Nazioni Unite all'Organisation of Islamic Cooperation, dal presidente americano Barack Obama, al re saudita Abdullah e al primo ministro britannico David Cameron.

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