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Martedì, 13 Dicembre 2011

Siria, opposizione a pezzi. Saggi in esilio. Disertori senza armi. Civili pronti alla guerra.
di Gea Scancarello

Su una cosa soltanto non ci sono dubbi: dovranno fare da soli. Gli ultimatum della Lega araba, le riunioni delle Nazioni Unite e le condanne delle potenze confinanti suonano bene, ma non portano aiuto concreto. I siriani lo hanno capito dopo nove mesi di stragi, 5 mila vittime civili e troppe promesse disattese: se il regime di Bashar al Assad cadrà, sarà grazie alla loro lotta e alla loro tenacia.

OPPOSIZIONE INDEBOLITA. La prospettiva, però, non è affatto vicina. Paradossalmente, anzi, sembra allontanarsi: più la repressione si fa dura, più lo scontro tra popolazione ed esercito scivola verso la guerra civile, e più l’opposizione al regime si scopre debole e frammentata.  In Siria manca una Bengasi, «un paradiso protetto», per usare le stesse parole affidate dagli attivisti a Internet: l’enclave in cui costruire una base logistica, progettare le operazioni e, magari, ricevere aiuto e supporto dall’Occidente. La resistenza al regime si costruisce invece intorno a tre poli, spesso in aperto contrasto tra loro: il Consiglio nazionale di transizione (Cnt), l’Esercito siriano libero (Free salvation army) e i cittadini armati che combattono ogni giorno contro le forze di sicurezza.

Il Cnt riceve fondi dai siriani in esilio, ma non vuole usarli per le armi

L’ispirazione, per le piattaforme di oppositori ad Assad, è la Libia, dove un’alternativa al regime è emersa con chiarezza fin dalle prime battute della guerra. 
Il Consiglio nazionale di transizione siriano è in effetti una imitazione del Cnt costituito in Cirenaica da Mahmud Jibril e soci, che gli occidentali hanno sostenuto e riconosciuto in fretta e furia. Tuttavia, più che un governo provvisorio, quello siriano è un gruppetto di saggi che con Damasco, il regime e la sua gente, ha poco o niente a che vedere.

IL CIRCOLO DEI PENSATORI. Riorganizzato nell’agosto 2011, il Cnt era già nato nel 2005, come piattaforma di pensatori e intellettuali che avrebbero potuto dare un contributo allo sviluppo di uno Stato democratico: allora, Bashar al Assad, succeduto al sanguinario padre Hafez nel 2000, veniva salutato da Londra, Parigi e Washington come un riformista. Nell’estate scorsa, quando la primavera siriana era già scivolata in un lungo inverno, il Cnt fu ricostituito a Istanbul, con tanto di uffici di rappresentanza; il board oggi è composto da otto persone, guidate da Burhan Ghalioun, 66enne docente di Sociologia politica all’Università Sorbona.

NO ALLE ARMI. Nelle casse del Consiglio confluiscono finanziamenti da cittadini in esilio e altri Paesi arabi; non è chiaro di quale importi si tratti, di certo si sa che dovrebbero servire ad aiutare la popolazione civile intrappolata in Siria. Non, però, per comprare armi. «Vogliamo proteggere i civili, non attaccare il regime» ha fatto presente con una certa dose di diplomazia Samir Nashar, uno dei membri del Cnt, impegnato a rilasciare interviste e stringere le mani della diplomazia internazionale.   
Ma proprio sull’ipotesi di un intervento militare si consuma lo scontro con l’Esercito siriano libero, braccio armato del gruppo.

I combattenti: 10 mila uomini addestrati dall'intelligence occidentale

I ribelli del colonnello Riad al Asaad, assiepati nel campo profughi di Karbayaz, nei pressi di Kilis, al confine tra la Turchia e la Siria, fremono infatti dalla voglia di passare al contrattacco. In questa tendopoli, sorvegliata e separata dalle altre sei allestite dal governo di Ankara per accogliere i rifugiati siriani, si sono concentrati i disertori delle forze armate di Damasco. Non è noto quanti siano esattamente i nuovi combattenti: secondo alcuni analisti si tratta in tutto di 10 mila uomini, scarsamente equipaggiati ma ben addestrati. Forse, suggeriscono gli analisti internazionali, anche dalle intelligence occidentali. LE AZIONI DIMOSTRATIVE. Non tutti i membri del neocostituito esercito hanno riparato in Turchia: alcuni si nascondono nelle periferie della capitale e di Aleppo, e da lì hanno sferrato attacchi contro le sedi del partito Baath.
Azioni senza reale capacità offensiva - e comunque inesistente rispetto alla potenza delle truppe scelte di Maher al Assad, fratello del presidente - ma dall’importante valore dimostrativo.
Il nuovo esercito vuole dimostrare al mondo che le forze del regime non sono più solide e granitiche come sembra, che basterebbe insomma un po’ di aiuto per rovesciare l’autocrate. 
La richiesta, però, non è da fraintendere: il colonnello Riad al Asaad e i suoi uomini si sono affrettati a precisare che non vogliono un intervento internazionale in stile libico. Quello di cui hanno bisogno, semmai, sono le armi.

Le armi arrivano da Libano, Iraq e Turchia; 2 mila dollari per un Ak47

I campi profughi che si estendono per una quindicina di chilometri lungo il confine -  in cui sono transitate, da maggio, circa 20 mila persone, di cui 8.422 ancora presenti – sono il formicaio perfetto per introdurre armi e munizioni in Siria.
Stando a quanto scritto dal quotidiano britannico Guardian, i trafficanti hanno cambiato le loro rotte ma anche le loro merci: non più alcol e tabacco, bensì kalashnikov e mitragliette passano dai porosi confini che separano la Siria dai vicini.
I percorsi sono tre: due a Nord e uno a Sud.
La pista meridionale, quella libanese, attraversa le montagne della Bekaa, nei pressi di Balbeek, roccaforte di Hezbollah, e arriva nelle campagne nei pressi di Damasco. Quella turca dai campi profughi rifornisce la provincia siriana di Idlib, nel Nord;  infine, ci sono le rotte dei tuareg, che da Mosul, in Iraq, si addentrano nelle cittadine nordorientali del Paese.


OGNI MUNIZIONE COSTA 2 DOLLARI. Raccontano che non una sola pistola sia rimasta a Mosul: i contrabbandieri le hanno requisite tutte per rivenderle agli amici siriani. I prezzi si fanno e disfano a seconda della disponibilità: per un vecchio kalashikov ci vogliono dai 1.700 ai 2 mila dollari, per una mitraglietta 5 mila, per un proiettile bastano due bigliettoni.
Quando le cose funzionano a pieno ritmo i carichi arrivano tre volte al giorno.
Le trattative sono condotte per lo più da miliziani - alcuni ex oppositori del regime incarcerati ai tempi della repressione contro i Fratelli musulmani e recentemente liberati grazie alle amnistie - o disertori dell’esercito di Damasco.


LE ARMI ARRIVANO NELLE MANI DEI CIVILI. Da questi le armi filtrano poi ai civili, la vera spina dorsale della rivoluzione. E, soprattutto, quella oggi più interessata a imprimere un nuovo corso agli eventi.
Dopo essere scesi in strada a manifestare pacificamente e aver accettato di farsi trucidare dal regime - bambini inclusi - in nome della libertà, i siriani oggi sono intenzionati a passare al contrattacco. Hanno fretta di ricevere armi e supporto logistico. Sanno che, se vogliono che qualcosa cambi, il tempo dei cortei è finito: oggi è l'ora di resistenza armata.

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