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28 gennaio 2011

Egitto e Tunisia: 100 rivolte così, prevede Davos
di Federico Rampini

Da dove ci piomberà addosso il prossimo cigno nero? No, questo “Black Swan” non è il thriller con Natalie Portman nella parte della ballerina, candidata all’Oscar. Il cigno nero è una metafora statistica entrata nel gergo della finanza, si definisce come “un evento ad alto impatto, bassa probabilità, bassissima prevedibilità”. Esempio classico: la crisi dei mutui subprime del 2007. L’interrogativo sui cigni neri appassiona davvero il World Economic Forum. Chi riuscisse a prevedere il prossimo choc planetario, che si tratti di un leader politico o di un grande capitalista, avrà un vantaggio su tutti. Potrà usarlo bene – predisporre antidoti, limitare i danni – o semplicemente arricchirsi speculando nella direzione giusta. La caccia al cigno nero vale i 50.000 euro (500.000 per le imprese) che sono il “gettone d’ingresso” per infilarsi nelle riunioni tra Vip a Davos. Ed ecco la Top Five dei “cigni neri” emersa nelle prime 48 ore del summit svizzero. Al primo posto fra i mega-rischi secondo i potenti della terra viene lo choc da iperinflazione delle materie prime, soprattutto alimentari. Al secondo si piazza la miscela esplosiva “alta disoccupazione giovanile più Internet”: il risultato sono cento Tunisie all’orizzonte, e non soltanto nel mondo arabo. Solo al terzo posto arrivano le bancarotte sovrane, certo pericolose, però già un po’ scontate negli scenari attuali. A sorpresa, al quarto e quinto posto si piazzano invece due “choc positivi” (gli eventi definiti cigni neri sono imprevedibili e potenti, ma non necessariamente catastrofici). Questi potrebbero dare una sterzata benefica al nostro futuro: sono il pensionamento dei baby-boomer in quanto apertura di un nuovo mercato tra le “pantere grigie”; e l’impennata dei salari in Cina con tante ripercussioni favorevoli.

Dell’allarme più condiviso si fa interprete qui il presidente dell’Indonesia, Susilo Yudhoyono: “La prossima guerra economica sarà sui prezzi alimentari, sul pane e il riso, sulle penurie”. Lui ne sa qualcosa: governa la quarta nazione più popolosa del pianeta, una neo-potenza ricca di materie prime, che fu scossa da tumulti popolari all’inizio del 2008 nella precedente fiammata inflazionista. E’ d’accordo l’economista Jeffrey Sachs che dirge lo Earth Institute alla Columbia: “Il caro-alimenti arricchirà alcuni paesi emergenti, ne destabilizzerà altri”. Gerard Lyons della banca Standard Chartered allarga l’impatto a tutti noi: “La ripresa mondiale finirà per inciampare proprio lì, sull’inflazione delle materie prime”. La finanza, ancora una volta, farà da amplificatore del disastro. “Nei Bric (Brasile Russia India Cina) ci sono già le premesse per delle bolle speculative, se ci si aggiunge una fiammata d’inflazione ecco da dove partirà la prossima crisi finanziaria mondiale”. L’opinionista Fareed Zakaria di Time, moderatore di uno dei dibattiti, è convinto che “le banche centrali stanno ignorando la bolla delle materie prime, proprio come nel 2000 ignorarono quella di Internet e nel 2007 quella del mercato immobialiare: a nostro rischio e pericolo”. L’industriale Klaus Kleinfeld, che dirige il gigante dell’alluminio Alcoa, vede una strategia praticabile per proteggerci da questo cigno nero: “La pressione reale per il rincaro delle materie prime è sì formidabile: deriva dall’urbanizzazione dei giganti asiatici, dal boom dei loro consumi, dall’arricchimento dell’altra metà del pianeta. Ma può e deve scattare la ricerca di sostituti intelligenti, l’innovazione che punta sui nuovi materiali, solo la creatività e tanta ricerca scientifica possono salvarci”. Larry Summers, ex segretario al Tesoro di Bill Clinton e consigliere economico di Obama fino al mese scorso, punta il dito sul secondo cigno nero. “Metà della popolazione del pianeta oggi ha meno di 25 anni. E sono i più interconnessi attraverso le tecnologie digitali, i siti sociali, Facebook e Twitter. Sono anche la fascia della popolazione che, dalla Spagna al Medio Oriente, soffre tassi di disoccupazione fino al 40%, il doppio degli adulti. Quante altre Tunisie vedremo esplodere?”  L’altra faccia dell’evoluzione demografica potrebbe invece salvarci, secondo il capo di McKinsey Dominic Barton: “Dell’invecchiamento si parla quasi sempre come un disastro per i conti della previdenza. Invece sarà uno choc positivo. La progressiva andata in pensione delle generazioni del baby-boom (nate fra il 1945 e il 1965) sta per creare un’enorme domanda aggiuntiva di nuovi servizi, servizi alla persona, per il benessere fisico e psichico, per il tempo libero, la cultura. Ne deriveranno miriadi di nuove opportunità di lavoro”. In quanto allo choc positivo sui salari cinesi, lo ha quantificato il segretario al Tesoro Usa, Tim Geithner: “Da luglio il renminbi si è rivalutato solo del 3% sul dollaro, ma se si aggiunge l’aumento dei salari operai, la vera rivalutazione cinese è già al 10% annuo”. Questo significa più consumi interni nella nazione più popolosa del mondo. Perché l’Occidente possa approfittare di quel mercato, però, il World Economic Forum indica che dobbiamo puntare sul “modello Bmw”: alta tecnologia, alta qualità. Il modello lo riassume un imprenditore tedesco, Eckhard Cordes del gruppo Metro: “La questione non è se l’Occidente può farcela a seguire l’esempio della Germania. Deve farcela, non ha alternative. Solo investendo nell’istruzione e nella ricerca, garantendo ai giovani posti di lavoro qualificati, potranno permettersi un Welfare come quello che gli abbiamo lasciato”.

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