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20/01/2011

Gaza, Guernica palestinese
di Vittorio Arrigoni

Ennesima vittima civile e innocente nella Striscia: una mattanza continua

Un carretto al centro della desolazione, a lato un cavallo abbattuto, come il seguito mai dipinto di una Guernica palestinese. Sul luogo dell'ultimo massacro, a Tal Abu Safiya, a est di Beit Hanoun, nel nord della Striscia di Gaza, in un'area agricola una volta florida di frutteti e ora nient'altro che terreno triturato dai cingoli dei carri armati, a circa duecento metri dal confine, è rimasto il mezzo e il quadrupede in putrefazione di Amjad Sami Al Zaaneen, ragazzo di 18 anni ucciso martedì dall'esercito israeliano.

Sin dalla mattina presto Amjad, con alcuni amici, si era recato nella zona per raccogliere materiale di riciclo come ferro e cemento. In una Gaza dove da quattro anni per via del blocco israeliano non entrano i materiali per ricostruzione, questi riciclatori, oltre a sfamare le loro poverissimi famiglie, svolgono una funzione sociale fondamentale. Quando verso le 8 e 30, sette carri armati e tre bulldozer israeliani hanno invaso il confine iniziando a devastare terreni coltivabili, i giovani palestinesi hanno mollato in fretta e furia il carretto e l'animale per darsi alla fuga. Verso le 14, a incursione finita, i ragazzi sono tornati indietro, inconsapevoli della presenza di un carro armato piazzato poco distante dal confine che li stava prendendo di mira. Sette colpi sono stati sparati nella loro direzione. Amjad, 18 anni, centrato all'addome, è morto dopo pochi minuti sul posto. Così i feriti ricoverati all'ospedale di Beit Hanoun hanno  accontato l'attacco agli attivisti dell'International Solidarity Movement: "Quando siamo tornati per riprenderci l'animale e il carretto carico di pietre, il tank israeliano ha iniziato a spararci addosso. Sono rimasto ferito dalle schegge del primo missile, nonostante questo, ho continuato a correre. I missili cadevano in ogni direzione. Quando ho raggiunto la strada principale, mi sono accasciato al suolo, poi mi hanno trasportato in ospedale". Ismael Abd Elqader Al Zaaneen, 16 anni: "Dovunque fuggissimo, qualunque direzione prendessimo, ci sparavano proiettili dinnanzi. Ci hanno sparato contro una decina di missili, io ho schegge su tutta la schiena e sulle gambe".

Lo zio di Sharaf:  "I crimini come questo odierno sono ormai quotidiani. Israele impedisce a tutti i civili della zona di raggiungere la loro terra. La nostra vita è divenuta incredibilmente dura, specie nell'ultimo periodo assistiamo inermi ad una spaventosa escalation di brutalità israeliana contro contadini e pastori. Ci vogliono concime per i nostri campi". Tal Abu Safiya, dinnanzi al confine, è un ampio spiazzo di terra senza edifici, arbusti o altri ostacoli alla visibilità delle numerose telecamere israeliane che la monitorano palmo a palmo. C'è perfino un dirigibile che col suo occhio ciclopico spia maestoso ogni movimento dal cielo. Prima di azionare il cannone, i soldati avevano chiara l'identità delle loro vittime: civili disarmati, poco più che bambini. Oday Abdel Qader Al Zaanen, undici anni: "Quando Sharaf è rimasto ferito dal primo proiettile, Ajmad, mio cugino, si è mosso per  soccorrerlo. Non ha fatto in tempo a fare due passi che un missile lo ha centrato direttamente nello stomaco, sventrandolo. Io sono stato fortunato a rimanere ferito solo di striscio al viso. Non so perché Israele ci ha fatto tutto questo".  Quando il quarto esercito del mondo bombarda dei bambini per la colpa di esser nati dal lato sbagliato del confine, bambini costretti già dall'infanzia a  lavori pesanti nei campi per aiutare le famiglie a sopravvivere, bambini che nella loro breve esistenza non hanno mai avuto altra esperienza che la miseria e la morte dei loro familiari e dei compagni di gioco, ebbene, quella che si autodefinisce "l'unica democrazia del medio oriente" dovrebbe fermarsi e riflettere in quali abissi di immoralità sta sprofondando, e così dovrebbero fare i suoi alleati. Nella stessa zona, a nord della Striscia di Gaza, il 23 dicembre i soldati israeliani avevano ucciso sangue freddo il pastore beduino Salama Abu Hashish e il 10 gennaio Mohammed Shaban Shaker Karmoot, anziano contadino al lavoro su sui campi. I cingoli dei carri armati dissodano e arano, i cannoni concimano, ma questo lembo di terra non rinuncia a chiedere di rifiorire. Restiamo Umani.

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