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15/07/2011

Music for Peace, obiettivo Gaza raggiunto. Racconto audio
di Cora Ranci

I quattro volontari genovesi sono riusciti ad entrare nella Striscia di Gaza via terra, portando con sè 140 tonnellate di aiuti umanitari

Li avevamo lasciati una settimana fa, alla loro partenza da Genova alla volta del Cairo. I quattro volontari di Music for Peace, l'associazione genovese da anni attiva nel campo degli aiuti umanitari, erano partiti con un obiettivo ambizioso: riuscire a portare nella Striscia di Gaza, via terra, sette container pieni di 140 tonnellate di materiali, perlopiù medici. Non sapevano, al momento della partenza, se sarebbero riusciti a superare il confine egiziano, dove nel 2009 dovettero attendere oltre 30 giorni prima di riuscire ad entrare a Gaza.

La notizia pervenutaci oggi è che ce l'hanno fatta. Dopo nove ore di trattative al border di Rafah, malori sotto il sole cocente ed estenuanti attese, Stefano, Gianluca, Valentina e Sonia sono riusciti a superare la barriera ed a fare ingresso a Gaza, dove hanno trovato una memorabile accoglienza di festa.

Riportiamo stralci del diario di bordo tenuto dall'Associazione

La partenza da Alessandria, dove da Genova, via mare, sono giunti i container

Oggi sarà una giornata cruciale per la carovana. Per prima cosa prepariamo gli zaini. Squilla il telefono, il Vice Ambasciatore italiano Domenico Bellantone si fa portatore di buone notizie: i permessi per noi sono arrivati, possiamo transitare su territorio egiziano con destinazione Rafah. La documentazione sarà inviata al consolato, lì potremo ritirare tutto. Nell'attesa dell'uscita dei container dal porto ricerchiamo un mezzo che possa trasportare noi volontari sino al border. Impresa difficile. Nessuno sembra disponibile per la tratta Alessandria - Rafah. Dopo ore di ricerca il problema appare risolto. Abbiamo una vettura sette posti per seguire i contenitori. Carichiamo gli zaini. Arriviamo in porto. I camion vengono accesi per riscaldare i motori. I sette container dal piazzale della sede di Music for Peace sono ad Alessandria e sono in procinto di partire per Gaza. La fatica e il sacrificio spesi per caricare ogni singolo medicinale od omogeneizzato all'interno di quei contenitori è già stato premiato. La sensazione non è spiegabile. Grazie a tutta la Regione Liguria stiamo per consegnare 140 tonnellate di materiale. Grazie! Tutto è pronto... ma con nostro totale basimento non si può partire. Il driver ha realizzato che dovrà anche lui raggiungere Rafah. Nulla da fare. Nessuna possibilità. Scarica gli zaini come fosse impazzito. Non vuole accompagnarci, parla agitato e inizia a sudare. "Io a Rafah non ci vengo, non posso... è troppo pericoloso". La partenza è in sospeso. Stefano e l'amico Gino iniziano a ricontattare varie persone e vagliare diverse ipotesi. Dopo tre ore abbiamo la macchina e un driver disposto a rischiare per accompagnarci al border. Partiamo.

I check point e l'arrivo al border

Siamo davanti al primo check point. Per noi ragazze è la prima missione. La sensazione è assolutamente strana e irreale. Fucili, divise, facce corrucciate. Prendono i nostri passaporti. Qualche domande. Proseguiamo. Siamo sul Ponte della Pace... sotto di noi il Canale di Suez. Un biscione illuminato a giorno nel mezzo del buio del deserto del Sinai. Prendiamo la strada per Rafah. Passiamo altri 3 check point. L'asfalto è un ricordo, lo sterrato si fa sentire attraverso incredibili scossoni. L'ultimo posto di blocco. Noi arriviamo fino ai cancelli del confine. I container restano dietro di noi sotto il controllo dei militari. Sono le 06:10 rimaniamo seduti per terra con di fronte i cancelli ancora chiusi (apriranno forse per le 10:00), il sole ormai sorto e, alle spalle, i container. Osserviamo le persone che arrivano al border. Donne, anziani, bambini, famiglie. Nei loro volti leggiamo espressione di rassegnazione. Costoro devono attendere l'apertura di un cancello per poter tornare a casa. Per altro apertura che non sempre è assicurata. Due ore abbondanti trascorrono sotto un sole davvero crudele. Nessun albero, nessun riparo.

Le trattative e l'ingresso a Gaza

Dei militari fanno dei cenni. Carichiamo gli zaini in spalla varchiamo il primo cancello del border. Non riusciamo a finire il discorso incominciato e siamo rispediti immediatamente all'esterno. Per Stefano è un brutto presagio e un terribile ricordo, nel 2009 furono 30 i giorni prima del passaggio. Siamo nuovamente sotto il sole, non ci sono termometri, ma la temperatura è almeno di 50 gradi. Trascorre un'ora. Veniamo chiamati dentro. Nuovamente gli zaini sono in spalla e nuovamente rientriamo dal primo cancello. Riusciamo a terminare il discorso. Siamo riaccompagnati fuori. Gli zaini tornano a fare da panchina. La gente continua ad aspettare. Non vi è nessun riguardo per bambini e neonati, neppure per i malati. Una donna inferma, su sedia a rotelle, viene fatta entrare attraverso una stretta porta a cui ci si accede da uno scalino molto alto. Trascorrono altre due ore. Il caldo è insopportabile e il sole è aggressivo. Veniamo richiamati all'interno. Il Mukabarat consegna ad ognuno due fogli da compilare. Egli comincia a fare molte domande a Stefano. L'autorizzazione non tarda ad arrivare. La condizione è imprescindibile: eseguire una seconda ispezione. Tutto è regolare. I container possono uscire. Omar, della PRCS, carica tutti noi 4 su un pulmino. Partiamo. I container dietro di noi. I cancelli neri di Rafah border si aprono. La gente applaude e grida, le telecamere ci riprendono, gli amici salutano. (...) Adesso ci attende il letto, dopo 48 ore possiamo finalmente riposare, ma prima c'è da fare una cosa importantissima, infatti appendiamo uno striscione fuori dalle nostre finestre: "Vik per sempre con noi. Restiamo Umani". La prima notte in Gaza se ne va con un pensiero per te: Ciao Vittorio!

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