Haaretz.com
03.012.2011

Le Riserve Indiane in Palestina
di  Amira Hass
tradotto da Barbara Gagliardi

Gli indiani di Walajeh hanno paura di essere separati dai loro vicini.

Esausti dalla lunga lotta, gli indiani del villaggio di Walajeh capiscono che il loro destino è stato deciso e che saranno circondati dal muro di separazione. Saranno separati ad oriente dal paese vicino, Beit Jala. Saranno una piccola enclave accanto ad un'altra, quella di Betlemme, che è circondata da fiorenti insediamenti ebraici (quelli di Gush Etzion, Har Gilo, e così via), parte inscindibile dallo Stato di Israele.

Per caso, naturalmente, il muro li separerà anche da 2.400 dei restanti 4.000 dunam (circa 1.000 acri) di terra che il villaggio possiede ancora. Prima del 1948, Walajeh aveva circa 18.000 dunam. Il villaggio originario si trasformò in due moshav, Aminadav e Ora, e gli abitanti furono trasformati in profughi. Una gran parte del terreno che era rimasto a est della linea verde è stato espropriato dopo il 1967 a beneficio degli ebrei che vivono negli insediamenti di Gilo e Har Gilo. L'Amministrazione Civile e il Comune di Gerusalemme (al quale furono annesse metà delle terre del villaggio) non sono riusciti a preparare un master plan per il villaggio, ma sono stati bravissimi nel demolire 45 delle sue case con il pretesto che erano illegali. Ora l'uomo bianco sta anche cercando di ottenere il resto dell'agnello del povero villaggio.

D'altra parte, gli indiani di Walajeh stanno combattendo una battaglia di retroguardia contro il tracciato del muro. Una di queste battaglie si è svolta il 22 dicembre: gli sterminatori della natura, del paesaggio e della vita, sotto forma di bulldozer giganti, accompagnati da un imprenditore, da lavoratori e da una unità di polizia di frontiera, hanno fatto irruzione sulla collina ad ovest del villaggio, all'alba. Quando le ruspe sono state a portata di occhio e orecchio dal villaggio, gli abitanti del paese sono apparsi sulla scena e hanno trovato circa due chilometri di terra appena sfregiata da un tracciato che passava tra le querce, gli ulivi e le rocce. Decine di alberi erano stati segnati con nastri blu e arancione per indicare il loro evidente destino – lo sradicamento.

I proprietari dei terreni si sono affrettati a chiamare Shireen al-A'araj, che fa parte del consiglio del villaggio. Lei ha chiesto che l'appaltatore mostrasse loro l'ordine sulla base del quale il lavoro era compiuto sulla proprietà privata dei residenti. Non ce l'aveva. Gli abitanti del villaggio hanno chiesto che venissero fermati i lavori illegali.

Circa due ore dopo, un rappresentante dell'Amministrazione Civile è apparso sulla scena e ha detto ad A'araj che la questione era già stata discussa presso l'Alta Corte di Giustizia, ed era tutto legale. Esperta degli espropri di terreni precedenti, A'araj ha chiesto di vedere l'ordine dell'esproprio delle terre per scopi di sicurezza. Sostiene che il funzionario le ha risposto che non era suo dovere e ha quindi ordinato ai poliziotti di arrestare chiunque interferisse con il lavoro.

I residenti si sono seduti di fronte al bulldozer e poliziotti li hanno trascinati via. Ad A'araj sono stati spruzzati gas irritanti e non poteva più vedere. Una delle donne poliziotto le ha detto che si sarebbe dovuta sedere, "Ecco, qui", e si è trovata in un cespuglio spinoso. "Quanto possono essere cattivi?" ha pensato fra sé mentre li sentiva gongolare.

Intorno alle 3:00 del pomeriggio, otto palestinesi sono stati arrestati su ordine dell'Amministrazione Civile - sei uomini, un giovane e A'araj. (Un portavoce della polizia di frontiera ha detto ad Haaretz che i poliziotti di frontiera "avevano fornito le indicazioni in base all’autorità sovrana sul sito."). Gli otto sono stati tenuti al checkpoint di Betlemme per diverse ore. Poi sono stati portati in una prigione all'interno della zona industriale di Atarot. A'araj era l'unica che è rimasta ammanettata per diverse ore. Gli otto sono stati rilasciati la mattina seguente.

In risposta alle domande di Haaretz, fonti della sicurezza hanno detto che il lavoro è stato svolto presso il sito "per preparare il tracciato del muro di sicurezza sulla base di un ordine emanato legalmente qualche tempo fa e di cui i residenti erano stati informati in diverse occasioni. Il giorno prima, il funzionario dell'amministrazione civile aveva fatto un giro insieme ai proprietari dei terreni."

Gli arresti sono stati effettuati, hanno detto fonti della sicurezza, "dopo una rivolta violenta durante la quale i palestinesi avevano lanciato pietre contro i lavoratori. Dopo i tentativi falliti di avviare un dialogo, i dimostranti hanno rifiutato di ascoltare le istruzioni dell'esercito e hanno continuato le loro azioni violente; un certo numero di manifestanti è stato quindi arrestato su ordine di uno dei comandanti militari".

Ma se tutto è legale e in ordine, come è possibile che il giudice della Corte Suprema Asher Dan Grunis abbia comunque ordinato alle autorità militari, il 28 dicembre, di astenersi da ogni ulteriore attività sul posto fino a nuovo ordine, "compreso il taglio e lo sradicamento di ulivi, lo scavo, le fondamenta e la pavimentazione stradale"?

L'avvocato Ghiath Nassir, che rappresenta il paese, ha presentato una petizione urgente all'Alta Corte, il 23 dicembre. É stato ordinando ai Rappresentanti del Ministero della Difesa e alle Forze di Difesa israeliane di rispondere. Poiché non lo hanno fatto, il 28 dicembre Grunis ha emesso la sentenza.

Nassir ha spiegato ad Haaretz perché considera l'opera illegale e contraria alle regole stabilite dalle autorità stesse. Ha detto che si poteva presentare una petizione contro la confisca delle terre solo dopo l'emanazione di ordini validi, e non soltanto sulla base del percorso pubblicato dal Ministero della Difesa. L'ordine originale era scaduto alla fine del 2007, ha riferito, ed era stato effettivamente rinnovato, ma non era stato mostrato ai residenti, che quindi non si erano potuti appellare. Il percorso interessa il cimitero del paese, un pozzo e un ricco terreno agricolo.

L'Alta Corte sta inoltre valutando un'altra petizione dagli abitanti del villaggio, relativa ad una sezione settentrionale del muro in una zona che è stata annessa a Gerusalemme. Anche lì i lavori sono stati fermati su ordine della Corte Suprema.

Gli abitanti dei villaggi e i loro rappresentanti sperano che qualcuno sia rinsavito e capisca che il danno per loro e per le loro terre è sproporzionato. Sperano che venga accettata la proposta del Colonello della riserva Yuval Dvir, del Consiglio per la pace e la sicurezza, quella di spostare il tracciato vicino alla Linea Verde. Forse anche il Ministero della Difesa ritiene che alcuni lì possano rinsavire, e proprio per questo ha inviato i bulldozer nelle prime ore del mattino?

 

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