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20 luglio 2011

Umberto De Giovannangeli intervista Ismail Haniyeh «I palestinesi 
devono tornare uniti»

È il primo ministro di Hamas nella Striscia di Gaza. È stato tra gli artefici dell'Accordo di riconciliazione nazionale palestinese siglato al Cairo agli inizi di maggio. Gli analisti indipendenti indicano Ismail Haniyeh come il capo dell'ala «pragmatica» del movimento islamico e concordano su un punto cruciale: la sua parola sarà decisiva nel varo del governo di unità su cui punta il presidente dell'Autorità nazionale palestinese, Mahmud Abbas (Abu Mazen). A l'Unità, in un passaggio cruciale nella crisi israelo-palestinese Haniyeh dice: «La riconciliazione nazionale è una via obbligata. Per tutti. Divisi facciamo il gioco del nemico L'unità è un pilastro della resistenza all'occupazione».

L'Accordo di riconciliazione nazionale siglato il 4 maggio scorso tra Hamas e al Fatah si è arenato? Tutto è tornato in alto mare?

«No, le cose non stanno così. Difficoltà esistono, sarebbe sbagliato nasconderlo, ma indietro non si torna. La riconciliazione nazionale è una via obbligata. Per tutti. Ed è un pilastro della resistenza all'occupazione».

Più volte lei ha sostenuto che Israele comprende solo il linguaggio della forza. Ma nel «linguaggio di Hamas» esiste la parola «negoziato»?

«Certo che esiste, ma essa non è sinonimo di resa...».

Anche chi ha ritenuto un errore escludere Hamas dal processo di pace, vi chiede un atto di apertura: riconoscere lo Stato d'Israele...

«È come se si chiedesse alla vittima di riconoscere, legittimandolo, il suo carnefice. Ma su questo punto voglio essere ancora più esplicito: qualsiasi riconoscimento non può che essere parte di un negoziato, non la sua pregiudiziale. Hamas è pronto a negoziare una hudna (tregua) di lunga durata con Israele. A condizione che venga posto fine al blocco di Gaza e alla colonizzazione dei Territori occupati palestinesi, compresa Al-Quds (Gerusalemme). L’obiettivo che accomuna tutte le fazioni palestinesi che hanno sottoscritto l’accordo di riconciliazione è di realizzare lo Stato di Palestina sui territori occupati da Israele nel 1967, senza cederne neanche un centimetro. Uno Stato con al-Quds (Gerusalemme) come suo capitale».

A Gaza, Hamas controlla gli apparati di sicurezza. Sarà così anche in futuro?

«Uno dei punti dell'Accordo del Cairo riguarda la riorganizzazione dei servizi di sicurezza che dipenderanno dal nuovo governo. È chiaro che in questo quadro, tutte le fazioni che hanno sottoscritto l'Accordo, e tra queste al Fatah, saranno chiamate a gestire la sicurezza, nella Striscia come in Cisgiordania».

Incontrando recentemente a Ramallah il segretario dei Democratici italiani, Pier Luigi Bersani, il presidente dell'Anp ha affermato che i ministri del governo di transizione saranno scelti da lui e dovranno riconoscere Israele...

«Il presidente Abbas fa riferimento ad un esecutivo-ponte, del quale Hamas non farà parte. I colloqui in corso riguardano il governo di riconciliazione ed esso, lo ripeto, nascerà sulla base di quanto sancito dall'Accordo del Cairo. E in quell'Accordo non c'è una pregiudiziale sul riconoscimento d'Israele».

Si discute su chi dovrebbe essere il premier del governo di riconciliazione. Hamas ha mire in proposito?

«No, ciò che chiediamo è che nella composizione del governo sia valorizzata la realtà di Gaza, la sua gente, quella che ha resistito eroicamente, e continua a farlo, all'assedio israeliano e agli attacchi armati del nemico. A Gaza esistono figure indipendenti che sarebbero all'altezza di questo compito...».

Tra i nomi che circolano con maggiore insistenza c'è quello di Jamal Khudari, 56 anni, leader del «Comitato popolare contro l’assedio di Gaza»...

«Posso dirle che si tratta di una candidatura degna. Ciò che conta, e non solo per Hamas, è riconoscere l’importanza che la resistenza di Gaza ha avuto nel mantenere alta l’attenzione nel mondo sulla causa palestinese».

In molti sostengono che è improponibile un negoziato con un governo palestinese con dentro Hamas...

«La logica va ribaltata. Un credibile accordo di pace non può escludere chi rappresenta metà del popolo palestinese ed ha vinto, è bene ricordarlo, le prime e uniche elezioni libere in Palestina (gennaio 2006, ndr). La verità è che chi continua a escludere Hamas vuole mantenere lo status quo. Uno status di guerra».

Una riconciliazione si «nutre» anche di atti simbolici. A quando la visita di Abu Mazen a Gaza?

«Spero al più presto. Il presidente Abbas è benvenuto a Gaza».

Il presidente Abbas punta molto sul riconoscimento da parte dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite dello Stato di Palestina...

«È una iniziativa che Hamas sostiene. Il mondo non deve sottostare ai diktat israeliani».

Come valuta la «Primavera araba»?

«Positivamente. Di fronte a rivolte di popolo non c’è regime che può tenere. Guardando agli avvenimenti di questi mesi, non vi è dubbio che queste rivoluzioni hanno influenzato sia Hamas che al Fatah. Dovevamo scegliere se entrare in sintonia con quelle rivoluzioni o chiamarcene fuori. Per quanto ci riguarda, abbiamo scelto la prima strada».

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