Fonte: The Price of Torching Mosques
Counterpunch
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Mercoledì, 12 ottobre

Il Prezzo di Incendiare le Moschee
di Jonathan Cook

I gruppi di ebrei di estrema destra responsabili di una serie di incendi nelle moschee dei Territori Occupati nell’ultimo anno sono entrate in una zona pericolosa la scorsa settimana, quando hanno rivolto la propria attenzione per la prima volta ai luoghi sacri all’interno di Israele. È stata incendiata una moschea, seguita giorni dopo da un attacco ai cimiteri musulmani e cristiani.

In ogni caso i coloni hanno lasciato la propria firma, le parole “Cartellino del Prezzo”, che indica un atto di vendetta, scarabocchiato a mano. 

Nessuno dei recenti attacchi contro i palestinesi è arrivato in tribunale. La cosiddetta “divisione ebraica” della polizia segreta dello Shin Bet, che è incaricata di risolvere questi crimini, è nota per essere più che blanda nelle proprie indagini. Come molte istituzioni statali, esercito compreso, i suoi ranghi sono ricolmi di coloni.

Paradossalmente, un recente documento dello Shin Bet aveva allarmato che le reti terroristiche ebraiche non solo stavano fiorendo nelle serre degli insediamenti della West Bank, ma che erano sempre più sfrontate per la propria impunità.

La dissacrazione della scorsa settimana di una moschea nel villaggio beduino di Tuba Zangariya nel nord di Israele non è per questo una sorpresa. È stata seguita nella fine settimana dallo spoglio di due cimiteri a Jaffa, vicino a Tel Aviv.

L’obbiettivo del movimento dei coloni è quello di distruggere ogni speranza per la soluzione dei due stati, che viene considerata limitante per il diritto del popolo ebraico di godere della terra promessa da Dio. Incitati da un numero crescente di rabbini, gli integralisti in questo campo sono troppo ottusi per comprendere che i dirigenti israeliani, compreso il Primo Ministro Benjamin Netanyahu, hanno già invalidato il processo di pace.

Non è una coincidenza che l’incendio alla moschea di Tuba sia giunto dopo la richiesta presentata lo scorso mese alle Nazioni Unite da Mahmoud Abbas per riconoscere la sovranità palestinese. Il presidente dell’Autorità Palestinese ha posto dei paletti e lo stesso hanno fatto i coloni, includendo questa volta anche la minoranza araba palestinese in Israele, un quinto della popolazione, nel loro “cartellino del prezzo”.

La nuova strategia degli estremisti ebraici è apparentemente quella di aizzare l’odio e la violenza dai due lati della Linea Verde. Come è stato suggerito da Jafar Farah, il direttore del Centro Mossawa, un gruppo di supporto arabo-israeliano, l’intenzione è quella di far sfumare ogni sostegno residuo tra gli ebrei israeliani a favore di uno stato palestinese convincendoli che sono in una lotta apocalittica per la sopravvivenza.

L’obbiettivo è stato scelto accuratamente per questo scopo. Tuba è una delle poche comunità arabe davvero “leali” in Israele. Quando molti beduini furono espulsi nel corso del conflitto del 1948 che creò Israele, le tribù di Tuba e Zangariya ottennero una zona nei pressi delle comunità ebraiche come ricompensa per aver combattuto al fianco delle forze armate israeliane.

Privati del lavoro e dovendo affrontare la stessa discriminazione sofferta dal resto della minoranza araba, molti ragazzi, come i loro avi, sono nelle file dell’esercito israeliano. Dopo l’attacco alla moschea, un dirigente della comunità ha esclamata a un giornalista israeliano: “Siamo tra i fondatori dello Stato di Israele.”

Ma quando si sono diffuse le notizia della dissacrazione della moschea, i giovani infuriati hanno bruciato edifici del governo, hanno sparato in aria con i fucili dell’esercito e si sono scontrati con la polizia. Il sogno dei coloni di mettere a fuoco la Galilea è sembrato per un momento potersi realizzare.

Lo scorso sabato, in seguito all’attacco ai cimiteri di Jaffa, è stata scagliata una Molotov alla vicina sinagoga per rappresaglia, infiammando ulteriori tensioni.

Netanyahu era tra quelli che hanno denunciato l’appiccamento delle fiamme alla moschea, ma la logica del suo approccio al processo di pace è concorde a quella dei coloni militanti. Assieme al Ministro degli Esteri di estrema destra Avigdor Lieberman, hanno creato un clima in cui il racconto di un’epica battaglia ebraica per la sopravvivenza sembra plausibile per molti israeliani comuni.

Come i coloni, Netanyahu si oppone alla nascita di un significativo Stato palestinese; anche lui ritiene che la rabbia del mondo per Israele è alimentata dall’antisemitismo, e anche lui vuole riaprire il “capitolo del 1948”, uno storico riconoscimento in cui lo status della minoranza araba possa essere riesaminato.

E sempre come i coloni, Netanyahu affronta le richieste di pace con il pugno di ferro che auspica al meglio la capitolazione palestinese e che nell’ipotesi peggiore ci suggerisce un futuro in cui potrà essere necessaria una seconda ondata di pulizia etnica per “finire il lavoro” del 1948.

I festeggiamenti nei Territori Occupati dopo l’iniziativa di Abbas all’ONU– un atto solitario di sfida del leader palestinese– si faranno rapidamente tristi quando diventerà chiaro che Stati Uniti e Israele non sono in vena di fare concessioni. La domanda è: cosa avverrà poi? Malgrado i migliori sforzi di Netanyahu e i coloni radicali per dar forma a una risposta, potrebbe non essere di loro gradimento.

Senza alcuna speranza per una propria sovranità, i palestinesi dovranno delineare una nuova strategia per far fronte alla realtà di un sistema di apartheid in cui i coloni ebraici diventeranno i loro vicini permanenti. Intrappolati in un solo stato gestito dagli occupanti, i palestinesi potrebbero fare esperienza dei loro cugini all’interno di Israele.

La comunità araba di Israele sta lottando contro la marginalizzazione e la subordinazione dentro lo stato ebraico da decenni. Hanno dato risposta con una campagna per l’uguaglianza che si è inimicata la maggioranza ebraica e che ha avuto come esito un’ondata di leggi anti-arabe.

Le due comunità palestinesi, entrambe alle prese con un futuro più ostico sotto il governo di Israele, hanno tutti gli incentivi per sviluppare una piattaforma comune e per lottare unitamente – e con più forza – contro lo strabordante regime del privilegio ebraico.

La loro risposta potrebbe essere una risposta “occhio per occhio, dente per dente”, la preferita dai coloni. Ma una strategia più efficace e forse più a lungo termine è un movimento per i diritti civili come quelli che hanno combattuto contro le leggi di Jim Crow negli Stati Uniti e contro l’apartheid in Sud Africa. Un semplice grido di massa, alzata da un mondo esasperato dall’atteggiamento autodistruttivo di Israele, potrebbe essere “una persona, un voto”.

Netanyahu e i coloni sperano di domare i palestinesi con l’istituzione della Grande Israele. Ma, come suggerisce la conflagrazione delle moschee, alla fine potrebbero ottenere l’esatto opposto. Ricordando ai palestinesi dall’altro lato della Linea Verde il loro destino comune, Israele potrebbe scatenare una forza troppo potente da controllare. Il cartellino del prezzo – questa volta richiesto dai palestinesi – sarà davvero alto per i suprematisti ebrei.

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