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Scritto il 12/8/11

Israele, scuola di odio: oggi bimbi, domani killer in uniforme

Palestinesi? No, meglio: arabi. A meno che non ci sia di mezzo l’argomento principe: il terrorismo. Allora, come d’incanto, gli “arabi” che vivono tra Betlemme e Gaza diventano, magicamente, “palestinesi”. Per il resto, rimangono semplicemente “arabi”, magari a dorso di cammello, vestiti come Ali Babà. «Spregevoli, devianti e criminali, gente che non paga le tasse, che vive a spese dello Stato, che non vuole progredire». E’ quello che raccontano i libri di testo israeliani, che a partire dalla scuola elementare preparano i futuri soldati di leva a prendere a fucilate gli “arabi” dei Territori Occupati e magari qualche scomodo attivista loro amico, come l’americana Rachel Corrie o l’italiano Vittorio Arrigoni. Un’indecenza, alla quale ora si ribella una docente universitaria israeliana, Nurit Peled-Elhanan.

Insegnante di lingue ed educazione all’Università Ebraica di Gerusalemme, la professoressa Peled-Elhanan è indignata per la propaganda razzista che colpisce i palestinesi: «Vengono rappresentati solo come rifugiati, agricoltori arretrati e terroristi. Non si vede mai un bambino palestinese, un dottore, un insegnante, un ingegnere o un agricoltore moderno». La professoressa ha passato gli ultimi cinque anni a studiare il contenuto dei testi scolastici israeliani, e i risultati delle sue ricerche, “La Palestina nei testi scolastici israeliani: ideologia e propaganda nell’istruzione”, saranno pubblicati nel Regno Unito questo mese, annuncia Harriet Sherwood, reporter dell’“Observer” che l’ha intervistata per il “Guardian”. Nel libro-denuncia, racconta la giornalista (su “Megachip” la traduzione in italiano a cura di Roberta Verde) si trovano descritte «le forme di un razzismo che prepara i giovani israeliani al servizio militare obbligatorio».

«Le persone non sono molto consapevoli di quel che leggono i loro figli nei libri di testo», dice Nurit Peled-Elhanan all’intervistatrice inglese. «Una domanda che tormenta tanta gente è: come ci si può spiegare il comportamento brutale dei soldati israeliani verso i palestinesi?». Nel conto, «l’indifferenza alla sofferenza umana, le sofferenze che vengono inflitte». E poi: «Ci si chiede come possano questi graziosi bambini e bambine ebrei diventare mostri una volta indossata l’uniforme». Risposta: «Io credo che la causa principale sia nell’educazione». Già, la scuola: formidabile fabbrica per la propaganda di qualsiasi regime, a cominciare da quelli di Mussolini, Stalin e Hitler. «Così – spiega Nurit Peled-Elhanan – ho voluto vedere come i testi scolastici rappresentano i palestinesi».

L’insegnante, testimonia Harriet Sherwood, afferma di non aver trovato, in «centinaia e centinaia» di libri, una sola fotografia che mostrasse un arabo come una «persona normale». La scoperta più importante, in tutti i testi analizzati – tutti autorizzati dal ministero dell’istruzione – riguarda la ricostruzione storica degli eventi del 1948, l’anno in cui Israele combatté una guerra per affermare la propria identità di Stato indipendente, e centinaia di migliaia di palestinesi fuggirono dal conseguente conflitto. L’uccisione dei palestinesi è raccontata come qualcosa che fu necessario per la sopravvivenza del nascente Stato ebraico, afferma la professoressa Peled-Elhanan: «Non è che i massacri vengano negati, ma nei testi scolastici israeliani vengono presentati come eventi che nel corso del tempo si sono rivelati positivi per lo Stato ebraico».

Un esempio? Deir Yassin, il villaggio palestinese vicino a Gerusalemme distrutto nel 1948, dove i soldati israeliani compirono una terribile strage. «Nei libri di scuola ti dicono che questo massacro diede inizio alla fuga in massa degli arabi da Israele e permise la fondazione di uno Stato ebraico a maggioranza ebraica», dice Nurit Peled-Elhanan. «Quindi fu una cosa buona. Forse spiacevole, ma alla lunga le conseguenze per noi sono state favorevoli». Perché falsificare la storia in questo modo, a partire dai banchi di scuola? Perché i bambini, dice l’insegnante dell’università di Gerusalemme, crescono per servire nell’esercito e interiorizzare l’idea che i palestinesi siano «gente la cui vita può essere sacrificata impunemente». E non solo: gli arabi di Palestina sono anche «gente il cui numero deve essere ridotto».

L’approccio della Peled-Elhanan all’argomento, osserva Harriet Sherwood, risente della sua formazione politica radicale: la professoressa è figlia di un famoso generale, Matti Peled, che si convinse che il futuro di Israele dipendeva da una pace dignitosa con i palestinesi. Dopo aver lasciato l’esercito, il generale Peled divenne un attivista del movimento pacifista, la tenace area democratica di Tel Aviv che sostenne la coraggiosa scommessa di Yitzhak Rabin e, dopo l’omicidio del premier per mano di un estremista israeliano, si esprime anche attraverso associazioni come quelle dei “refuseniks”, gli obiettori militari guidati dall’ex generale dell’aviazione Yiftah Spector che, sotto il governo di Ariel Sharon, salvarono l’onore di Israele rifiutando di bombardare Gaza per sottrarsi al rischio di colpire la popolazione civile.  

La famiglia di Nurit, continua il “Guardian”, creò un manifesto che invitava a una composizione pacifica del conflitto, in cui era ritratta l’unica figlia della professoressa, Smadar. Il messaggio: «Tutti i bambini meritano un futuro migliore». Poi, nel 1997, il dramma: la piccola Smadar fu uccisa da un attentatore suicida palestinese, mentre faceva shopping a Gerusalemme. Aveva 13 anni. Nurit Peled-Elhanan si rifiuta di parlare della morte della figlia, a parte uno o due accenni a quella che chiama «la tragedia». All’epoca, dichiarò che ne usciva rafforzata la sua convinzione che senza una soluzione del conflitto e una pacifica coesistenza con i palestinesi, altri bambini sarebbero morti: «Gli attacchi terroristici come questo sono la diretta conseguenza dell’oppressione, della schiavitù, dell’umiliazione e dello stato d’assedio imposti ai palestinesi», disse con drammatica fermezza ai reporter televisivi dopo la morte di Smadar.

Tanta rigorosa onestà, per giunta messa alla prova dal dolore più grande, le è costata parecchio anche dal punto di vista professionale: «I professori universitari smisero di invitarmi alle conferenze», racconta Nurit Peled-Elhanan. «E quando io parlo, la risposta più comune è “tu sei anti-sionista”». Non si scappa: «Chiunque contraddica la versione israeliana dominante della storia è fatto oggetto della stessa accusa», dice la professoressa all’intervistatrice del “Guardian”, alla quale non nasconde di sperare che il suo libro possa essere pubblicato anche in ebraico, la lingua del suo paese, ma senza farsi illusioni: è rassegnata al pensiero che molti, tra i politici che contano, lo rifiuteranno.

Nurit Peled-Elhanan è profondamente pessimista sul futuro del suo paese. Il cambiamento, dice, arriverà soltanto «quando gli americani smetteranno di elargirci un milione di dollari al giorno per mantenere questo regime di occupazione, razzismo e supremazia». All’interno di Israele, dice, «vedo solo un avanzamento verso il fascismo. Ci sono 5,5 milioni di palestinesi controllati da Israele che vivono in un’orribile condizione di apartheid, senza diritti civili né umani. L’altra metà sono ebrei e stanno anch’essi perdendo i loro diritti, giorno dopo giorno», aggiunge, riferendosi a una serie di tentativi di restringere il diritto degli israeliani a protestare e criticare il loro governo.

La professoressa Peled-Elhanan non crede più neppure nella sinistra israeliana, semre numericamente esigua e oggi divenuta timidissima: «Non c’è mai stata una vera sinistra in questo paese». Ed è convinta che proprio il sistema educativo aiuti a perpetuare uno Stato ingiusto, non democratico e insostenibile. «In ogni cosa che fanno, dalla scuola materna fino alle superiori, vengono imbottiti in tutti i modi possibili, attraverso le letture, le canzoni, le vacanze e i passatempi, di nozioni patriottiche scioviniste». E i libri di testo palestinesi? Non riflettono a loro volta qualche dogma? «Sono contro i sionisti, non contro gli ebrei. E ribadiscono questa distinzione continuamente», anche se, per contro, insegnare la Shoah nelle scuole palestinesi è «una questione ancora controversa», dato che alcuni insegnanti palestinesi, dice, si rifiutano di insegnare l’Olocausto finché gli israeliani non insegneranno a loro volta la “Nakba”, cioè la “catastrofe” palestinese del 1948.

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