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http://www.haaretz.com
14.10.11

La società israeliana sta a guardare mentre i coloni si prendono il regno
di Zeev Sternhell

Come tutti gli anni, durante i festeggiamenti dello Yom Kippur, la grande domanda aleggia di nuovo: - Com’è possibile che non ci siamo accorti dei segnali che avvertono di una prossima guerra in arrivo? Ma non solo le guerre hanno segnali precoci, neppure gli eventi di distruzione politica e sociale giungono come una saetta a ciel sereno.

Esiste una crescente tendenza della destra di prendere le distanze dal “price tag” (prezzo da pagare, vendetta) degli hooligans, e farci dimenticare che questi gruppi belligeranti, che sono una crescente reminiscenza di quel fenomeno che si avviò in Europa tra le due guerre, sono in realtà l’avanguardia dell’intero movimento dei coloni. Naturalmente la grande maggioranza delle persone che vivono oltre la “green line” sono disgustate dai roghi delle moschee, ma non ricordo che molti di questi siano usciti a manifestare contro il pogrom della moschea di Anatot alla fine della settimana scorsa, e neppure che essi condannino i maltrattamenti degli agricoltori palestinesi, lo sradicamento degli ulivi o del quotidiano regno del terrore in Hebron.

Essi considerano l’incendio delle moschee inutile e dannoso, ma il controllo quotidiano sulle vite dei palestinesi aiuta a pepetuare il regime di occupazione, e qui le gangs in cima alle colline giocano un ruolo importante molto utile alle colonie: l’attività degli hooligans è la prova vivente della contemplazione senza speranza di alcun cambiamento nei territori. Dopotutto, queste gangs stanno tracciando i confini del potere del governo: anche se in futuro la destra non sarà più al potere, oppure Israele sarà costretta a colpi di sanzioni internazionali, le politiche nei territori non cambieranno in modo sostanziale, perché lì il controllo è delle bande che cooperano con la polizia e l’esercito e con il generale consenso del silenzio. Hanno tutte le carte in mano; e possono minacciare rivolte violente contro qualsiasi governo che non serva i loro interessi.

In queste circostanze, ogni negoziato o accordo con i palestinesi, diretto o indiretto che sia, non risulta essere altro che un triste gioco. La verità è che la società israeliana e le sue istituzioni governative stanno a guardare inermi il regime di paura e ricatto che i coloni hanno instaurato.

L’altro braccio delle pinze che si stringono su Israele è quello della “destra rispettabile”. Le due braccia si cognugano simbolicamente nella persona del Ministro della Giustizia: ben nascosto agli occhi dei cittadini sani di Israele, Yaakov Neeman serve la presente amministrazione come inviato del secolare e socialmente orientato Ministro degli esteri Avigdor Lieberman e, allo stesso tempo, non si concilia con il fatto di auspicare l’implementazione della legge religiosa.

La comunità religiosa e quella secolare ultra nazionalista, di fatto hanno una base comune e anche comuni obiettivi: tutti costoro considerano il principio della supremazia giudaica come la sola base del Sionismo e dell’esistenza di Israele. Esattamente come gli ultranazionalisti in Europa durante il periodo oscuro del secolo passato (prima della seconda guerra mondiale), proprio come i razzisti di tutta Europa oggi, gli ultra nazionalisti israeliani alimentano la solidarietà etnica con la xenophobia e l’odio per l’altro.

Ai loro occhi, una comunità di tutti i cittadini dello stato, inclusi gli arabi, è una comunità artificiale, così come il concetto di cittadinanza è artificiale, e quindi inferiore alla comunità etnico-religiosa, che essi considerano naturale. La religione serve come uno strumento per esaltare il privilegio dell’ebreo e calpestare gli inferiori. In questo concetto architettonico, i diritti umani e i valori universali sono visti come principi infantili.

In questa situazione, segni di disintegrazione si moltiplicano in tutti gli ambiti della vita. Una legislazione antidemocratica che è già stata approvata alla Knesset, con il sostegno dell’opposizione (Kadima), e le legislazioni a venire, stanno incoraggiando l’erosione della componente liberale dello stato. Ed è anche la ragione per cui abbiamo accettato l’espulsione degli stranieri i cui bambini erano nati in Israele e che, secondo tutte le pratiche di accettazione riconosciute nel mondo occidentale, avrebbero dovuto essere considerati israeliani a tutti gli effetti.

Queste sono solo alcuni esempi che in modo radicale, mostrano gli ultranazionalisti israeliani come retrogradi e alienati rispetto al meglio della tradizione democratica. Ed è ragionevole presumere che la tendenza non si fermerà.


http://www.haaretz.com
14.10.11

Israeli society is standing by as settlers take the reigns
By Zeev Sternhell

Like every year during the days around Yom Kippur, the big question arises once again: How is it possible that we didn't notice the signs of the approaching war? But not only wars have early-warning signs - destructive social and political events do not come like a bolt from the blue either.

There is a growing tendency for the right to distance itself from "price tag" hooligans and to make us forget the fact that these belligerent groups, which are increasingly reminiscent of phenomena in Europe in the interwar period, are only the vanguard of the entire settlement movement. Of course, the vast majority of people living on the other side of the Green Line are disgusted by the torching of mosques, but I don't recall that many of them went out to demonstrate against the pogrom that took place in Anatot at the end of last week, nor that they condemn the daily harassment of Palestinian farmers, the uprooting of trees or the daily reign of terror in Hebron.

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They consider the torching of mosques unnecessary and harmful, but daily control over the lives of Palestinians helps to perpetuate the occupation regime, and here the hilltop gangs play an important role in the service of the settlements: The hooligans' activity is living proof of the hopelessness of contemplating any change in the territories. After all, these gangs are drawing the boundaries of the government's power: Even if some day the right is no longer in power or Israel is forced to give in by dint of international sanctions, policy in the territories will not change substantially, because there the rioters are in control, in cooperation with the police and the army and with the general consensus of silence. They hold all the cards; threatening the possibility of a violent uprising against any government that does not serve their interests.

Under these circumstances, any negotiations for an agreement with the Palestinians, whether direct or indirect, are no more than a sad joke. The truth is that Israeli society and its governmental institutions are standing by helplessly in the face of the settlers' regime of fear and blackmail.

The other arm of the pincers closing in on Israel is that of the "respectable right." The two arms combine symbolically in the person of the justice minister: Well ensconced among Israel's wealthiest citizens, Yaakov Neeman serves in the present administration as the envoy of secular and "socially oriented" Foreign Minister Avigdor Lieberman and, at the same time, does not conceal the fact that he hopes for the implementation of a halakhic (religious ) rule of law.

The religious community and the secular ultra-nationalists do, in fact, have a common basis and common objectives: They all consider the principle of Jewish supremacy as the only basis for Zionism and for Israel's existence. Just like ultra-nationalists in Europe during the dark period of the previous century, just like racists all over Europe today, the Israeli ultra-nationalists nurture ethnic solidarity by means of xenophobia and hatred of the other.

In their eyes, a community of all the citizens of the state, which includes the Arabs, is an artificial community, just as the concept of citizenship is artificial, and therefore inferior to the ethno-religious community, which they consider natural. Religion serves as a tool to exalt the privileged Jew and to trample those inferior to him. In this overarching concept, human rights and universal values are seen as infantile principles.

In this situation, signs of disintegration are multiplying in all areas of life. Antidemocratic legislation that has already been approved in the Knesset, with the support of Kadima, and legislation yet to come, is encouraging the erosion of liberal components of state education. That is also how we have come to accept as self-evident the expulsion of foreigners whose children were born in Israel and - according to accepted practice all over the Western world - should have been considered Israeli to all intents and purposes.

These are only a few examples that make radical, Israeli ultra-nationalism seem retrograde and alienated from the best of the democratic tradition. We can reasonably assume that there will be a continuation.