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04/02/2011

L'Egitto senza rete
di Yvette Agostini

Una settimana senza internet, al costo di 18 milioni di dollari al giorno. Ora la riconnessione e subito i cyberattacchi

Dal 27 gennaio scorso l'Egitto, in piena rivolta popolare, è stato scollegato da internet per quasi una settimana. Nel giro di poco più di mezz'ora i maggiori internet service provider egiziani hanno smesso di far circolare dati, con l'unica eccezione del provider che fornisce connettività alla borsa valori del Cairo e ad alcune multinazionali presenti nel paese.

Già nel 2007 il governo del Myanmar decise di scollegarsi per circa una settimana dalla rete internet, per evitare il diffondersi incontrollato di immagini sulla repressione in atto nel paese. L'Iran, durante le controverse elezioni del 2009, adottò invece politiche di riduzione e controllo del traffico internet, sempre al fine di evitare il diffondersi di immagini e commenti da un paese in agitazione e per inibire ai manifestanti ulteriori possibilità di organizzarsi mediante internet.

A differenza dell'Iran e di Myanmar, l'Egitto, pur perseguendo piuttosto duramente i blogger contrari al governo, non è annoverato tra i paesi che adottano sistematicamente la censura di internet. La penetrazione di internet nel paese, stando ai dati di OpenNet Initiative del 2009, è del 15,4 per cento e destinata a crescere, in quanto incoraggiata dal governo con l'adozione di facilitazioni per l'acquisto di computer e servizi di connettività. L'Egitto è pure uno snodo cruciale del flusso dati da e verso i paesi del Golfo e il continente indiano (zone che però pare non siano state interessate dall'evento).

Allo stato attuale dello sviluppo di internet nel mondo, sono pochi i paesi che possono permettersi un distacco prolungato dalla rete, attraverso la quale fluiscono transazioni finanziarie e scambi commerciali. Alcuni analisti, tra i quali l'Ocse, stimano che lo stesso governo egiziano abbia inferto al paese una perdita economica di circa 18 milioni di dollari al giorno durante l'oscuramento della rete, oltre ad aver minato la fiducia delle imprese straniere presenti sul territorio sull'affidabilità delle infrastrutture di telecomunicazione e ciò potrebbe avere future ripercussioni sull'economia della nazione.

Non appena le reti egiziane sono ricomparse in internet, gruppi di hacktivisti, tra i quali Anonymous (assurto a notorietà per gli attacchi dei mesi scorsi ai danni dei nemici di Wikileaks), hanno lanciato attacchi contro i siti governativi egiziani, con lo scopo di manifestare solidarietà ai manifestanti. Peraltro, durante il blackout della rete, una piccola percentuale di siti sulle reti egiziane era comunque raggiungibile e pare, ma non è stato possibile averne conferma, che siano stati effettuati attacchi di natura più invasiva nei loro confronti.

Non è del tutto chiaro quale sia il motivo che ha spinto il governo egiziano, pur pressato da una crisi di consenso senza precedenti, ad abbracciare una così drastica soluzione: se si voleva ridurre la capacità aggregativa dei social network nell'organizzare le proteste, la soluzione è stata presa con troppo in ritardo, mentre se l'intento era solo quello di impedire la fuoriuscita incontrollata di notizie di prima mano sugli eventi, quanto accaduto in Iran, Tunisia e altrove ha già dimostrato che l'effetto di una qualsiasi forma di censura della rete durante una crisi politica amplifica l'attenzione globale nei confronti dell'evento sollecitando il biasimo e le pressioni politiche dei paesi democratici nei confronti dei censori.