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3:08 PM Mar 11th via web

Time to apply pressure on social media to move their servers out of the USA if this ruling holds, your info is not save http://bit.ly/i3kG89

Birgittaj


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13 marzo 2011

Usa, lo Stato può “spiare” l’account Twitter 
dei sostenitori di Wikileaks
di Enrica Garzilli

Un giudice federale della corte del Distretto orientale della Virginia ha concesso al pubblico ministero l’accesso ad alcuni account Twitter relativi al caso Wikileaks, inclusi gli indirizzi di posta elettronica degli utenti e tutte le informazioni Internet correlate.

E’ successo venerdì, quando il giudice Theresa Buchanan ha rigettato le argomentazioni sollevate dall’Associazione americana per le libertà civili (Aclu), dall’Electronic frontier foundation, e da alcuni avvocati privati che rappresentavano i proprietari degli account di Twitter. La tesi sostenuta è semplice: “Il diritto alla privacy è protetto secondo la legge federale dal Primo emendamento, che garantisce fra l’altro la libertà di parola e di stampa, e il Quarto emendamento”. Quest’ultimo stabilisce che “il diritto di ognuno alla sicurezza della propria persona, della proprietà, della stampa e dei procedimenti contro atti e intromissioni irragionevoli non può essere violato e non può essere stabilita nessuna disposizione contraria dall’autorità, se non in base a una ragionevole motivazione”. In pratica, difende il cittadino da perquisizioni, arresti e confische irragionevoli da parte dello stato.

La Buchanan ha rigettato immediatamente gli appelli ai due emendamenti fondamentali della Costituzione americana sostenendo che il Primo emendamento non è coinvolto, dato che gli attivisti “hanno già reso pubblicamente disponibili i loro commenti su Twitter e la loro relazione al fatto”. Inoltre, gli utenti “secondo il Quarto emendamento non hanno interesse alla privacy dei loro indirizzi IP: la legge federale non è applicabile in quanto i pubblici ministeri non chiedono i contenuti delle comunicazioni degli utenti”. Il governo quindi, secondo l’interpretazione del giudice, avrebbe il diritto di conoscere i loro account e i dati relativi.

Ci si può chiedere, ovviamente, se davvero il governo statunitense non fosse interessato in realtà al contenuto dei messaggi su Twitter, in email e così via. E perché vuole conoscere gli indirizzi elettronici degli utenti.

Le 20 pagine di sentenza del giudice Buchanan rappresentano una netta vittoria per il Dipartimento di Giustizia statunitense, che ha visto l’ordinanza come parte dell’udienza preliminare davanti al Grand Jury. Questi esaminerà, in un procedimento a porte chiuse, le prove fornite dal pubblico ministero. Se le riterrà sufficienti accuserà formalmente i principali esponenti di WikiLeaks, incluso ovviamente il fondatore, Julian Assange, di aver commesso dei reati penali secondo la legge americana. Gli imputati verrebbero poi sottoposti a processo.

Gli account di cui Twitter ha dovuto fornire i dati sono quelli degli attivisti più noti che si sono battuti per WikiLeaks. Una è Birgitta Jónsdóttir, dall’aprile 2009 membro del Parlamento islandese e dei comitati parlamentari per la Nato, per gli affari esteri, l’ambiente, le norme informatiche del Parlamento europeo e la Truth Commission ed ex scrittrice, artista, designer e sviluppatore Web. Un altro utente è Jacob Appelbaum, un ricercatore indipendente di sicurezza informatica che al momento lavora per l’Università di Washington, membro permanente del progetto Tor – un sistema che intende garantire l’anonimato online – e rappresentante ufficiale di WikiLeaks alla Hope Conference del 2010, la “Conferenza degli hacker sul pianeta terra”. L’altro account di Twitter violato è stato quello dell’hacker olandese Rop Gonggrijp, uno dei due fondatori del provider Internet XS4ALL. L’ordinanza ha richiesto anche i record relativi ad Assange e a Bradley E. Manning, classe 1987, il soldato statunitense arrestato in Iraq nel maggio 2010 con l’accusa di aver passato informazioni riservate a WikiLeaks.

Nessuno di loro ha contestato la decisione del giudice, hanno detto gli avvocati dell’ufficio del pubblico ministero, benché Twitter sin da gennaio li avesse avvisati che gli era stato ufficialmente chiesto di fornire le informazioni sui loro account. Ma fino al mese scorso Twitter non ha divulgato niente che non fosse già pubblico e ha intrapreso un’azione a favore della privacy per non consegnare i dati dei collaboratori di WikiLeaks.

Anche il sito WikiLeaks non si è avvalso del diritto di opposizione. Jónsdóttir, Appelbaum, Gonggrijp, Manning e Assange hanno richiesto e ottenuto che i documenti relativi alla vicenda giudiziaria vengano resi pubblici. Una richiesta parzialmente accolta dalla Buchanan, che però ha stabilito che alcuni documenti relativi all’inchiesta del Grand Jury rimangano segreti perché conterrebbero “dati riservati e sensibili come l’identità dei target e i testimoni di questa investigazione criminale”.

È probabile che la migliore difesa per Assange e il suo gruppo, nonché per il futuro di WikiLeaks, sia che il caso abbia una risonanza internazionale e sollevi proteste corali da parte di chi crede nella causa della libertà della Rete e il diritto all’anonimato. Sembra anche probabile, vista la richiesta di rendere il materiale pubblico, che il contenuto dei messaggi di Jónsdóttir, Appelbaum, Gonggrijp, Manning e Assange non siano tali da mettere in pericolo la sicurezza dello stato o costituire grave reato.

Cindy Cohn, il direttore legale dell’Electronic Frontier Foundation, ha dichiarato che la sua organizzazione è pronta a dare battaglia appellandosi prima presso un altro giudice distrettuale poi, se necessario – e probabilmente sarà necessario, ha aggiunto – presso una Corte d’appello. Il rappresentante dell’ufficio del procuratore, invece. non ha rilasciato dichiarazioni. L’Inter-Parliamentary Union di Ginevra, un’organizzazione internazionale che lavora per il dialogo reciproco fra i parlamenti, per la pace e la cooperazione fra le genti e per stabilire ovunque la democrazia rappresentativa, si è schierata a favore della Jónsdóttir.

L’ordinanza del giudice Buchanan non è la tradizionale subpoena, cioè il mandato di comparizione. Si tratta invece dell’ordinanza 2703 (d), cioè la “Required disclosure of customer communications or records”, che permette alla polizia o agli organi giudiziari di ottenere i dati privati da un provider Internet o da un sito Web se “sono rilevanti e costituiscono materiale per un’investigazione criminale”. Include anche le email e i documenti relativi agli account. Questo è un punto che viola il diritto alla privacy dei cittadini perché l’ordinanza 2703(d) è molto ampia, tale da permettere di richiedere ogni informazione sui contatti associati a un dato account. In pratica, permette di accedere alle informazione Web dei parenti, gli amici e i semplici contatti, privati o di lavoro, degli utenti, nonché i log delle connessioni, la durata delle sessioni (in caso di chat) e la registrazione in caso di messaggi, nonché la registrazione di ogni tipo di attività di un altro utente da e verso quell’account.

Dopo la decisione del giudice Buchaan la Jónsdóttir ha detto in un messaggio su Twitter che “è tempo di fare pressioni sui social media perché spostino i loro server fuori degli Usa. Se questa ordinanza rimarrà in vigore, le vostre informazioni non sono al sicuro”.