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16 Febbraio 2012

Capire il picco dell’acqua con Jack Keller
di Deborah Rim Moiso

"Le criticità legate all’approvvigionamento idrico si ripercuotono, sul piano globale, sui prezzi del cibo, indicandoci ancora una volta l’urgenza di un percorso di ripensamento legato alla produzione agro-alimentare e al consumo". Transition Italia ha recentemente pubblicato la traduzione di un'intervista al consulente idrico Jack Keller, un documento utile per comprendere le problematiche correlate al picco dell'acqua.

Difendiamola! Imbrocchiamola! Purifichiamola! Festeggiamola! E prendiamoci un po’ di tempo per capirla, per seguire i suoi cammini sotto terra e tra le nuvole, incanalata in progetti di irrigazione, traspirata dalle foglie verdi, in rivoli nel sottobosco e per tubature incrostate… dappertutto, l’acqua.

Come risorsa di questo pianeta, condivide con tutto il resto il vizio di sembrarci infinita. La diamo per scontata, o almeno molti di noi lo fanno, e con tutta la neve caduta in queste settimane, la sua scarsità non è in cima ai nostri pensieri. Sul sito di Transxition Italia è stato pubblicato in questi giorni un documento, la traduzione di un’intervista apparsa sul sito del commentatore tuttologo Chris Martenson, un incontro tra lui e il consulente idrico Jack Keller, sul tema del picco dell’acqua.

È rilevante per noi in questo Paese di falde e di frane? Ma certamente, intanto perché i problemi infrastrutturali agli acquedotti non ci mancano, e gli sprechi neppure. E poi perché, come fanno osservare Keller e Martenson, le criticità legate all’approvvigionamento idrico si ripercuotono, sul piano globale, sui prezzi del cibo, indicandoci ancora una volta l’urgenza di un percorso di ripensamento legato alla produzione agro-alimentare e al consumo.

Potete scaricare la versione integrale italiana dell’intervista da qui, mentre l’originale inglese si trova qui, sia in forma di podcast (audio) che di testo.

Jack Keller è il direttore esecutivo della Keller-Bliesner Engineering, una ditta che si occupa di irrigazione in agricoltura. È anche professore e consulente, e frequentatore assiduo del blog di Martenson. La chiacchierata tra i due offre un quadro delle principali tematiche legate al picco dell’acqua, tra cui… la sua esistenza.

Quando parliamo di risorse idriche, specifica Martenson, “abbiamo due tipi di acque. Le superficiali – laghi, stagni, fiumi. E poi le acque di falda, i depositi sotterranei”. Bene, spiega il prof. Keller, sovrasfruttare un fiume significa mandarlo in secca. Questo è critico sotto molti punti di vista, non ultimo il danno all’ecosistema, ma è un danno evidente e manifesto. Se il fiume è in secca, non rimane nulla da pompare. “Con le falde è diverso, perché tu puoi sfruttare acqua depositata in falda anni, o anche secoli prima. Diventa come un’estrazione mineraria.”

Possiamo quindi pensare all’acqua di falda come una risorsa non rinnovabile? Secondo Keller e Martenson, in un certo senso sì. “Stiamo sovrasfruttando le nostre risorse idriche di falda, estraiamo acqua come se estraessimo petrolio, e anche il consumo di questa risorsa, forse la più importante, assume allora una traiettoria esponenziale”. Inoltre, continua Keller, “la profondità da cui estraiamo acqua aumenta con il tempo. La falda si abbassa e l’estrazione di una data quantità d’acqua diventa sempre più costosa man mano che la falda si esaurisce. All’esaurimento della risorsa si aggiunge il fatto che ci vuole sempre più energia per estrarla”.

Continuando la chiacchierata, emerge che la posizione del Prof. Keller è sistemica. Keller prende le distanze dalla grande ingegneristica, pur raccontando con gusto le straordinarie imprese oversize dell’irrigazione americana. “L’acqua pesa molto, vale poco, ai costi attuali, ed è difficile da spostare. […] La realtà è che ci vogliono strutture pazzesche. Un progetto di irrigazione che conosco bene, avendoci lavorato a lungo come consulente, è l’Imperial Irrigation District della California del Sud, il più grande distretto irriguo degli Stati Uniti. Un’estensione di 200mila ettari di terra. Prendono l’acqua dal fiume Colorado e la portano nel canale All-American […]. Ci vogliono sette giorni perché l’acqua compia il tragitto dalla diga di Boulder, vicino a Las Vegas, fino al distretto irriguo. Tanto per avere un’idea delle dimensioni di cui stiamo parlando […]”.

Si potranno costruire nuove 'megastrutture' del genere in futuro, per spostare l’acqua da dove abbonda a dove le falde sono state troppo pompate, sprofondando sottoterra, o scomparendo del tutto? Secondo il Prof. Keller no: “Le strutture sono semplicemente gigantesche. Proprio come è per l’industria mineraria, si pensa magari che un lavoro di ingegneria ambientale sia troppo costoso oggi, ma che diventerà più fattibile quando l’acqua costerà di più. Ma allora saranno saliti anche i prezzi di tutto il resto. Come per le miniere: tutto ciò di cui si ha bisogno per l’estrazione stessa sta salendo di costo, perché, se ci pensi, tutte quelle cose, tutto quell’acciaio, le infrastrutture… dovranno pur essere state, a loro volta, estratte da qualche parte”.

L’acqua, ribadisce più volte il Prof. Keller, è una questione locale, per la quale vanno cercate soluzioni locali. Pur sottolineando che l’efficienza nel consumo, senza un cambiamento culturale, non è sufficiente, canta le lodi dell’irrigazione a goccia e, sempre sul tema agricolo, fornisce uno spunto interessante riguardo alle specie, varietà e cultivar da piantare per un futuro post-picco.

“Se guardiamo alla rivoluzione verde - ricorda infatti Martenson - gran parte dell’aumento delle rese è legato all’irrigazione”. “Hai centrato il punto - risponde Keller - i tecnici della Rivoluzione Verde sono partiti con piante autoctone che, in ogni parte del mondo, sono ben adattate a condizioni di bassa fertilità, aridità, clima variabile e imprevedibile”. Quel che abbiamo ora, grazie al lavoro di selezione, sono “varietà che producono molto di più, e con più affidabilità… ma solo se irrigate bene e fertilizzate in abbondanza”. Insomma, piante con alti tassi di crescita ma… poca resilienza, poca capacità di adattamento e risposta a condizioni non ideali.

Ci pare di capire che qui ci sia del lavoro da fare, affinché il paesaggio agricolo ritorni a somigliare all’ecosistema in cui si colloca. E così anche il paesaggio urbano: i due commentatori si soffermano sul caso di Phoenix, in Arizona, una delle tante città americane che sorgono praticamente in mezzo al deserto.

“Ero a Phoenix recentemente”, racconta Martenson, “e ho visto che loro definizione di ‘uso vantaggioso’ dell’acqua – definizione che, secondo l’ordinamento americano, permette di utilizzare le risorse idriche – include un sacco di campi da golf. Penso che si tratti delle acque del fiume Colorado […]. Il percorso di crescita intrapreso da Phoenix è insostenibile. Per il modello particolare che hanno adottato, che richiede un utilizzo intenso di acqua in una zona arida, a me sembra un luogo in cui non vorrei investire in proprietà, casa, terreno”.

L’appunto che fa Martenson ricorda un tema esplorato a fondo nel libro Post Carbon Cities: le città e le province che sono state capaci di mettere in piedi strutture resilienti, in grado di adattarsi al cambiamento climatico e ai vari 'picchi', acquisiscono un vantaggio competitivo sulle altre, attraendo abitanti, famiglie e investimenti. Ma nel caso dell’arido sud-ovest degli Stati Uniti, sospira Keller, “non credo che ci sia un progetto. Probabilmente avremo bisogno di una grande crisi idrica, e con la crisi nascerà un piano per affrontare la crisi”.

Una crisi idrica locale, continua Martenson, legata alla cattiva gestione, al picco dell’acqua di falda, e ai cambiamenti climatici, emergerà prima o poi sotto forma di aumento dei prezzi del cibo, su scala anche globale. “L’acqua è talmente variabile e così dipendente dal luogo in cui si trova che non vedremo accadere qualcosa di simultaneo ed improvviso. È una questione che crescerà lentamente. Quello che accadrà è che ci sarà sempre più pressione sulla produzione alimentare”.

Questo, secondo Martenson, non può essere un problema esclusivamente locale. “L’abbiamo visto con quello che è successo qualche anno fa - ricorda - l’Ucraina ha avuto un periodo di terribile siccità, che ha causato incendi, che hanno finito per bruciare i campi coltivati. E poi in Queensland, in Australia, hanno avuto il problema opposto, un’enorme inondazione, che anche qui ha spazzato via le coltivazioni cerealicole. Subito dopo, il prezzo del grano è salito. In caso di danni all’agricoltura, o carestie, legate al sovrasfruttamento dell’acqua di falda, la questione diventerà rapidamente globale, in termini di ricadute sulla sicurezza alimentare”.

L’interconnessione è un tema che emerge inevitabilmente da questa chiacchierata, visto che si parla d’acqua, l’elemento che scorre, si trasforma, fluisce, e connette ogni cosa. “L’irrigazione ne consuma, rendendo la disponibilità d’acqua un fattore potenzialmente limitante per la produzione agricola proprio in Paesi che oggi esportano gli alimenti. Possiamo cambiare tipo di alimentazione e quindi produrre cibo con meno acqua di quanta ne utilizziamo oggi”.

“Nel mondo - conclude Keller - anche con sette milioni di abitanti, possiamo produrre cibo per tutti. Non credo che tutti possano mangiare pollo ogni giorno, o manzo, o cose del genere, Ma certamente possiamo coltivare cibo a sufficienza. Si tratta di usare l’acqua che sappiamo di avere, escogitando modalità di utilizzarla in maniera più intelligente. […] Coltivare, e alimentarci, diversamente.

Inoltre, non possiamo continuamente ignorare i servizi ambientali che l’acqua e i fiumi ci mettono a disposizione. Una parte del rinnovamento del sistema risiede nel fare attenzione a non sovrasfruttare e non commercializzare e mercificare tutta l’acqua. Possiamo probabilmente diminuire lo sfruttamento delle riserve idriche, e magari considerare come ripristinarle. Far risalire le falde. Ci vorrebbe un mondo gestito con più attenzione e controllo”. O, aggiungiamo noi, una 'gestione-non-gestione' diffusa, fatta di consapevolezza, non di controllo. “Saper guardare alla conservazione, al rinnovarsi delle cose. Si tratterebbe di una società molto diversa”.

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