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9 Gennaio 2012

Acqua pubblica: la politica non rispetta gli esiti dei referendum
di A.D.

Il ministro Passera s'ingegna per inserire nel disegno di legge di gennaio nuove norme per la privatizzazione del servizio idrico ed il mantenimento in bolletta del 7 per cento di rendimento del capitale investito; a Cremona viene riconfermato il Piano d'Ambito della società gestrice Aem, che prevede tappe serrate per la privatizzazione; persino in Puglia la giunta Vendola annuncia aumenti in bolletta e dichiara di non voler rinunciare al 7 per cento. Cosa sta succedendo? Eppure appena 7 mesi fa due referendum sancivano, con il 96 per cento di sì, che l'acqua è un bene comune, e pertanto deve essere pubblica, fuori dal mercato e su di essa non si devono fare profitti.

Sembrano passati anni, se è vero che giusto tre giorni fa l'antitrust è tornato a chiedere al governo – come se ce ne fosse bisogno, poi – ulteriori liberalizzazioni che coinvolgano i servizi pubblici locali. E, a quanto riporta Paolo Viana sul quotidiano l'Avvenire, un gruppo di funzionari del Ministero dell'Economia starebbe da giorni studiando come aggirare l'ostacolo del voto referendario e procedere alla privatizzazione del servizio idrico.

Un metodo condiviso anche dal ministro allo Sviluppo Corrado Passera, che ha lasciato intendere più volte la volontà di inserire norme per la privatizzazione dell'acqua nel maxidisegno di legge che verrà presentato a fine gennaio. Per implementare, a suo dire, le leggi europee sulla liberalizzazione dell'acqua, la stessa cui il Decreto Ronchi si proponeva di dare attuazione.

Peccato che non esista nessuna legge europea che imponga la privatizzazione dell'acqua. “L’Europa - ricorda l'avvocato Ugo Mattei, membro del cda di Arin, la società pubblica che gestisce l'acqua a Napoli - non impone la privatizzazione ma esige che laddove il pubblico gestisce un servizio non utilizzi la propria posizione di monopolio per intervenire in altri campi violando il principio di concorrenza. Questo può avvenire con una società per azioni, non con un’azienda speciale partecipata”. Insomma, secondo Mattei la forma di società pubblica rispetterebbe alla perfezione i criteri dettati dalla Ue per la gestione dell'acqua.

Ma se lo stato sembra muoversi a passi spediti in direzione contraria ai referendum, le amministrazioni locali non sono da meno. A Cremona era stato indetto per il 14 dicembre un Consiglio di Amministrazione dell'Ufficio d'Ambito, per revocare il Piano d'Ambito di Aem, la società che gestisce l'acqua nella provincia. Il Piano in questione infatti, prevede una serie di tappe serrate per la cessione a privati di quote sempre maggiori della società, ed il mantenimento della remunerazione del capitale investito.

Il 12 dicembre i sindaci riuniti avevano votato a favore della revoca. Solo due giorni più tardi, il Piano è stato invece riconfermato. La sentenza definitiva deve ancora arrivare, ma sulla decisione pesa la pressione del presidente della Provincia Massimiliano Salini, convinto fautore delle privatizzazioni.

Il Forum italiano dei movimenti per l'acqua ha espresso la sua preoccupazione sulla vicenda: “Ci pare che il progetto di privatizzazione disegnato dal Presidente della Provincia Salini – si legge in un comunicato – stia subendo una drammatica accelerazione, nonostante la resistenza di moltissimi sindaci che si sono apertamente schierati contro questo esproprio del bene comune per eccellenza, in spregio ad ogni regola democratica”.

E che dire della “rossa” Puglia? Neanche la giunta Vendola sembra intenzionata a rispettare quanto emerso dai referendum. La società gestrice, Acquedotto Pugliese s.p.a. è rimasta, come si evince dal nome, una società per azioni, dunque un ente di diritto privato, seppur a totale capitale pubblico. La remunerazione del capitale investito non è stata eliminata dalla bolletta, ma anzi è stata confermata la volontà di mantenerla. Inoltre da qualche giorno l'acqua costa più cara del 3,9 per cento.

Tutto ciò, nonostante il risultato di bilancio “straordinario” ottenuto dalla società nel 2011, con un attivo di 37 milioni di euro. L'apparente contraddizione è stata spiegata da Fabiano Amati, assessore regionale alle Opere Pubbliche, in virtù della necessità di effettuare gli investimenti infrastrutturali previsti dal Piano d'Ambito. “Il piano prevede un miliardo e 500 milioni. Un miliardo va in tariffa e i 500 milioni sono contributi della Regione. Quel miliardo di investimenti prevede l’ampliamento delle reti idriche e si ottiene con mutui presso le banche.”

Giustificazioni a parte, resta il fatto che l'applicazione dei risultati di un referendum non dovrebbe certo essere discrezionale. Al pari di una legge un referendum deve sancire una decisione del popolo sovrano che va rispettata in quanto tale. Al governo e alle amministrazioni spetta il compito di trovare il modo di applicare correttamente questa decisione, non certo quello di decidere se e in quali circostanze applicarla.

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