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11 dicembre, 2012

A Doha un gioco al ribasso sulla difesa del clima
di Andrea Boraschi

A Doha è andata in scena una partita i cui esiti apparivano scontati ancor prima che si giocasse. Il dramma è che non si trattava di un gioco ma della difesa del clima; e che gli accordi al ribasso annunciati da tutti gli osservatori si sono rivelati un’ipotesi ottimistica rispetto a quanto è stato deciso.

La 18esima Conferenza delle Parti sul clima delle Nazioni Unite si è aperta il 26 novembre scorso con un programma di lavoro importante. Da questo summit si attendevano:
-    un secondo periodo di validità del Protocollo di Kyoto, a partire dal 2013; 
-    un maggior impegno nelle politiche di mitigazione degli impatti del clima; l’adozione di una tabella di marcia per arrivare a un accordo vincolante sul clima non oltre il 2015; 
-    nuove risorse economiche per il Green Climate Fund (il fondo che serve ad aiutare le nazioni più povere ad adattarsi ai cambiamenti); 
-    l’adozione di uno schema di difesa e tutela delle foreste; 
Quel che resta, dopo i lunghi giorni di negoziato in Qatar, è assai poco.

Il Protocollo di Kyoto, l'unico accordo esistente e vincolante per la riduzione dei gas serra, è stato modificato per essere nuovamente valido a partire dal 1° gennaio 2013. Ma è uno strumentodepotenziato e logoro: i Paesi che aderiscono a quel trattato rappresentano, su scala globale, circa il 15% delle emissioni di gas climalteranti. Al rinnovo degli accordi di Kyoto sono ormai estranei alcuni Paesi che pure erano coinvolti nel primo periodo di validità di quello strumento (Giappone, Russia, Canada per stare ai principali); mentre rimangono ancora fuori Cina e Stati Uniti, che da soli rappresentano circa il 45% delle emissioni su scala globale. È evidente come tutto ciò non basti.

Non ci sono buone  notizie neppure sul fronte degli impegni economici: i 100 miliardi di dollari che a Copenhagen si decise di destinare ai Paesi più poveri, dove più che altrove i disastri indotti dal caos climatico pesano sulle popolazioni e sull’ambiente, sono ancora lettera morta. E ugualmente non si sa ancora quali misure saranno adottate per colmare il tragico gap tra i livelli di emissione attesi e quelli cui la comunità scientifica ci chiede di attenerci per non innalzare le temperature medie del pianeta al di sopra dei 2 gradi: parliamo di una quantità compresa tra gli 8 e i 13 miliardi di tonnellate di CO2, secondo il recente rapporto dell'UNEP.

Gli Stati Uniti, da poco colpiti dalla furia dell’uragano Sandy, escono da questa conferenza confermando la loro scarsissima o nulla credibilità in tema di impegno nella salvaguardia del clima. Questa volta neppure l’Europa  ha assolto dignitosamente il suo mandato, incapace di arginare la Polonia – uno stato che si attesta costantemente su posizioni regressive – e incapace anche di esercitare leadership, di far avanzare i negoziati e allargare il fronte del contrasto ai cambiamenti climatici.

Questa Conferenza delle Parti potrà essere ricordata per aver scongiurato la fine del Protocollo di Kyoto e aver in larga misura impedito che i crediti di emissione superstiti alla prima fase degli accordi potessero venire sfruttati anche nella seconda fase. Troppo poco.
Riguardo al nostro Paese vale la pena porsi questa domanda: ma qual è il vero Governo italiano? Quello che in Qatar ha espresso posizioni coraggiose o quello che nel nostro Paese punta sugli idrocarburi, non si preoccupa dei danni procurati dal carbone e non sostiene le rinnovabili e l’efficienza con strumenti normativi adeguati?

Il clima cambia, la politica – per ora – no. Si dovrebbe prendere esempio dalla Repubblica Dominicana: un Paese che, non avendo neppure una minima parte delle nostre risorse economiche, si è impegnata a ridurre del 25% le emissioni di gas serra al 2030 rispetto ai livelli del 1990, unilateralmente e usando solo fondi nazionali.

Intanto l’Esperanza, una delle tre navi di Greenpeace, ha lasciato il porto di Manila cancellando i suoi piani di intervento in difesa degli oceani del Sud Est asiatico per intervenire nella crisi umanitaria di Mindanao, nelle Filippine. Mindanao è stata colpita dal tifone Bopha che ha causato oltre 700 vittime e più di 800 dispersi, stando ad accertamenti ancora parziali. Noi, contro i cambiamenti climatici, facciamo e faremo ancora tutto quanto ci è possibile.

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