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14 dicembre 2012

Clima, tutto quello che si doveva fare a Doha e non è stato fatto
di Gianfranco Bologna

Le conclusioni della 18° Conferenza delle Parti (COP) della Convenzione Quadro sui Cambiamenti Climatici tenutasi a Doha dal 26 novembre al 7 dicembre scorsi, lasciano un profondo amaro in bocca (www.unfccc.org). Il risultato dell'ennesima kermesse di questi interminabili negoziati, che si succedono ormai da quasi due decenni, con le delegazioni governative di tutti i paesi del mondo impegnate in megariunioni lunghe ed estenuanti, destinate, alla fine, a produrre risposte assolutamente inadeguate alle pesanti e gravi sfide poste dai cambiamenti climatici, è francamente sconcertante.

Inoltre è diventata ormai una consuetudine far passare quasi due settimane di lavori negoziali per poi giungere ad un rush finale che fa protrarre di almeno una giornata, la chiusura dei negoziati stessi, producendo sempre un risultato scarso e sempre al di sotto di ogni aspettativa.

A Doha ci si aspettava una chiara reazione alle crescenti ulteriori evidenze scientifiche che i climatologi stanno raccogliendo e pubblicando sulle migliori riviste scientifiche del mondo e che non fanno altro che accumulare dati sull'accelerazione dei fenomeni dovuti al cambiamento climatico ed ai possibili raggiungimenti dei cosidetti Tipping Points (i punti critici), sorpassati i quali sarà sempre più difficile la gestione umana degli effetti che ne derivano.

Invece, puntualmente, sono giunti i risultati peggiori che ci si poteva aspettare. Non certo l'auspicata accelerazione del processo per giungere ad un accordo globale capace di ridurre in maniera significativa le emissioni di anidride carbonica e degli altri gas che modificano la composizione chimica dell'atmosfera e incrementano l'effetto serra naturale, ma un modestissimo tentativo di allungare il Protocollo di Kyoto oltre la sua scadenza (fine 2012) per cercare di incanalare il percorso verso un nuovo accordo globale.

In tutti gli articoli di questa rubrica cerco di dare conto dell'avanzamento scientifico che continuiamo a raccogliere sulla drammatica situazione esistente nelle relazioni tra sistemi naturali e sistemi sociali. Il cambiamento climatico in atto dovuto all'intervento umano costituisce veramente una sorta di "punta dell'iceberg" di questo deteriorato rapporto. Anche nelle ultime settimane ho indicato i punti salienti contenuti nei recenti rapporti pubblicati da grandi istituzioni internazionali, come, ad esempio, l'UNEP o la World Bank, su questo tema.

Anche il recente "World Energy Outlook 2012" dell'International Energy Agency (www.iea.org o www.worldenergyoutlook.org) ha proseguito, come fa da vari anni, nel ricordare che il tempo che passa nell'inazione politica per cercare di rallentare o frenare il cambiamento climatico in atto è dannosissimo per il futuro di noi tutti.

L'IEA ricorda che, anche prendendo in considerazione tutti i nuovi sviluppi e le nuove politiche, non si è ancora riusciti ad indirizzare il sistema energetico mondiale lungo un percorso più sostenibile.

Nelle previsioni degli scenari dell'IEA, in particolare nel cosidetto scenario delle nuove politiche (che costituisce lo scenario scenario centrale degli Outlook IEA), la domanda mondiale di energia aumenta di oltre un terzo da oggi al 2035, con Cina, India e Medio Oriente che assorbono il 60% della crescita.

Nell'area OCSE i consumi di energia aumentano appena, anche se si assiste ad un pronunciato spostamento dal petrolio e dal carbone (e in alcuni paesi dal nucleare) al gas naturale e alle fonti rinnovabili. Nonostante la crescita delle fonti di energia a basso contenuto di carbonio, i combustibili fossili rimangono dominanti nel mix energetico mondiale, supportati da sussidi che nel 2011 ammontavano a 523 miliardi di dollari, in aumento di circa il 30% rispetto al 2010 e sei volte superiori agli incentivi erogati a favore delle fonti rinnovabili. I sussidi alle fonti fossili, che sono aumentati principalmente a causa del rialzo dei prezzi del greggio, continuano ad essere prevalentemente concentrati in Medio Oriente e Nord Africa, dove la spinta verso una loro riforma sembra essersi esaurita. Nello scenario nuove politiche, il livello di emissioni atteso è purtroppo coerente con un aumento della temperatura media mondiale nel lungo termine di 3,6 °C.

Le passate edizioni del WEO hanno dimostrato che l'obiettivo climatico di limitare

l'aumento della temperatura globale entro i 2 °C sta diventando, ogni anno che passa e senza i necessari provvedimenti, sempre più difficile e più costoso.

Lo scenario IEA definito 450 esamina le azioni necessarie per il conseguimento di questo target (cioè quello di mantenere la concentrazione della presenza di anidride carbonica entro le 450 ppm nella composizione chimica dell'atmosfera) e conclude che circa i quattro quinti delle emissioni di CO2 consentite entro il 2035 sono già allocate dallo stock di capitale esistente (centrali elettriche, stabilimenti industriali, edifici, ecc.).

Se entro il 2017, ammonisce il World Energy Outlook 2012 dell'IEA, non verrà intrapresa alcuna azione per ridurre le emissioni, le infrastrutture connesse al settore energetico esistenti in quel momento produrranno l'intero volume di emissioni di CO2 consentite nello scenario 450.

Una rapida diffusione delle tecnologie per l'efficienza energetica - come viene previsto nello scenario definito "Mondo Efficiente" - posticiperebbe, invece, la completa allocazione delle emissioni al 2022, consentendo di guadagnare tempo prezioso per conseguire un urgente accordo globale sulla riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra.

Quindi, secondo gli esperti dell'IEA, se si vuole raggiungere l'obiettivo di contenere entro i 2 °C di incremento la temperatura media della superficie terrestre rispetto ai dati preindustriali, meno di un terzo delle riserve provate di combustibili fossili può essere consumato prima del 2050, a meno, affermano sempre gli esperti IEA, di un utilizzo diffuso della tecnologia di cattura e stoccaggio della CO2 (CCS). Questo risultato deriva dalla stima IEA delle "riserve mondiali di carbonio", misurate come le emissioni potenziali di CO2 associate alle riserve provate di combustibili fossili. Circa i due terzi delle riserve di carbonio sono correlati al carbone, il 22% al petrolio e il 15% al gas. A livello geografico, i due terzi sono concentrati in Nord America, Medio Oriente, Cina e Russia. Questi risultati evidenziano, secondo l'IEA,  l'importanza dei sistemi di CCS come opzione chiave per contenere le emissioni di CO2; tuttavia, con pochissimi progetti su scala commerciale attualmente operativi, la velocità di diffusione di questa tecnologia ed aggiungerei rispetto a quanto affermano gli esperti IEA, la loro affidabilità e compatibilità ambientale, rimane molto incerta.

Durante le giornate di Doha è stato reso noto anche il Carbon Budget 2012 prodotto dal più autorevole progetto mondiale di ricerca sul ciclo del carbonio, il Global Carbon Project dell'Earth System Science Partnership (ESSP) (vedasi i siti www.essp.org e www.globalcarbonproject.org ) che ha fornito un ulteriore e chiarissimo allarme sulla situazione del cambiamento climatico in atto. Nel 2011 le emissioni di anidride carbonica derivanti dall'utilizzo dei combustibili fossili e dalla produzione del cemento è incrementato del 3% rispetto al 2010, con un totale di 34.7 miliardi di tonnellate, ai quali bisogna aggiungere le emissioni derivanti dalle modificazioni nell'uso del suoli dal punto di vista agricolo o degli incendi. Questo livello di emissioni è il più alto che si sia mai registrato nell'arco della storia umana e costituisce un livello superiore del 54% rispetto al 1990 (l'anno di riferimento per il Protocollo di Kyoto). Per il 2011 la combustione del carbone ha rappresentato il 43% delle emissioni, il petrolio il 34%, il gas il 18% e il cemento il 5%. Per il 2012, rispetto ai dati disponibili sino alla pubblicazione del Carbon Budget 2012, si prevede un incremento del 2.6% per un totale di 35.6 miliardi di tonnellate di anidride carbonica di emissione.

La crescita della concentrazione di anidride carbonica nell'atmosfera per il 2011 è cresciuta di circa 1.7 ppm poco meno dei 2 ppm che è stata la media degli ultimi dieci anni (2002 - 2011). Tale concentrazione ha raggiunto nel 2011 le 391 ppm, il 40% in più di quella presente all'inizio della Rivoluzione Industriale (era di circa 278 ppm nel 1750). La concentrazione attuale sulla base di tutte le ricerche scientifiche di paleoclimatologia è la più alta degli ultimi 800.000 anni.

Sta per essere pubblicato su "Earth System Science Data Discussions" ed è già disponibile per le revisioni un ampio e documentatissimo lavoro dal titolo "The global carbon budget 1959-2011" curato da tanti autorevoli studiosi del ciclo del carbonio (primo firmatario Christine Le Queré) che fornisce il più completo quadro d'insieme di questa affascinante problematica. Ma tutto questo non ha certo condotto i negoziatori di Doha a spostare il loro orientamento all'inazione.

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