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Le Monde Diplomatique
Sabato, 21 gennaio

Urgenze Climatiche
di Ignacio Ramonet
Traduzione di M. L. Sabatino

La grave crisi finanziaria e il disastro economico che stanno subendo le società europee stanno facendo dimenticare che, come ha ricordato lo scorso dicembre il summit del Clima di Durban in Sudafrica, il cambiamento climatico e la distruzione della biodiversità continuano a essere i principali pericoli che minacciano l’umanità. Se non modifichiamo rapidamente il modello di produzione dominante, imposto dalla globalizzazione economica, raggiungeremo il punto di non ritorno a partire dal quale la vita umana nel pianeta smetterà poco a poco di essere sostenibile. 

Qualche settimana fa, L’Organizzazione delle Nazioni Unite ha annunciato la nascita del settemiliardesimo essere umano, una bambina filippina di nome Danica. In poco più di cinquanta anni, il numero degli abitanti della Terra si è moltiplicato di tre volte e mezzo, e la maggior parte di essi vive adesso nelle città. Per la prima volta la popolazione rurale è meno numerosa di quella urbana. Nel frattempo le risorse del pianeta non aumentano. Sorge una nuova preoccupazione geopolitica: che succederà quando si aggraverà la penuria di alcune risorse naturali? Stiamo scoprendo con stupore che il nostro “vasto mondo” è finito.

Nel corso dell’ultima decade, grazie alla crescita sperimentata da vari paesi emergenti, il numero di persone uscite dalla povertà e incorporate alla società del consumo ha superato i centocinquanta milioni (1). Come non essere felici per questo successo? Non c’è causa più giusta al mondo della lotta alla povertà. Ciò comporta però una grande responsabilità per tutti. Perché questa prospettiva non è compatibile con il modello consumista dominante.

É ovvio che il nostro pianeta non disponga di risorse naturali ed energetiche sufficienti affinché tutta la popolazione mondiale le utilizzi senza freni. Per fare in modo che sette miliardi di persone consumino tanto quanto un europeo medio avremmo bisogno delle riserve di due pianeti Terra. E per consumare quanto un americano medio, di quelle di tre pianeti.

Dall’inizio del XX secolo, ad esempio, la popolazione mondiale si è quadruplicata. Nello stesso lasso di tempo il consumo di carbone si è moltiplicato per sei, quello di rame per venticinque. Dal 1950 ad oggi il consumo di metalli in generale si è moltiplicato per sette, quello di plastica per diciotto, quello di alluminio per venti. L’ONU ha da tempo lanciato l’allarme: stiamo consumando “più del 30% della capacità di riproduzione” della biosfera terrestre. Morale: dobbiamo pensare ad adottare e generalizzare stili di vita molto più frugali e meno dilapidatori.

Questo consiglio sembra essere di senso comune, ma è evidente che non si può applicare ai milioni di affamati cronici del mondo, né ai tre milioni di persone che vivono in povertà. La bomba della miseria minaccia l’umanità. L’enorme breccia che separa i ricchi dai poveri continua ad essere, nonostante i recenti progressi, una delle caratteristiche principali del mondo attuale (2).

Questa non è un’affermazione astratta. Ha effetti molto concreti. Per esempio durante il tempo di lettura di questo articolo (dieci minuti), dieci donne al mondo stanno morendo di parto; 210 bambini di meno di cinque anni stanno morendo di malattie facilmente curabili (di essi, 100 per aver bevuto acqua di cattiva qualità). Queste persone non muoiono di malattia, ma di povertà. Muoiono perché sono povere. La povertà le uccide. Nel frattempo, il contributo degli Stati ricchi ai paesi in via di sviluppo è diminuito, negli ultimi 15 anni del 25%. E nel mondo si continuano a spendere 500 miliardi di euro in armamenti.

Se nelle prossime decadi dovessimo aumentare di un 70% la produzione di alimenti per rispondere alla legittima domanda di una popolazione più numerosa, l’impatto ecologico sarebbe distruttivo. Inoltre, questa crescita non sarebbe nemmeno sostenibile perché supporrebbe una maggiore degradazione dei suoli, una maggiore desertificazione, una maggiore scarsità d’acqua dolce, una maggiore distruzione della biodiversità, senza parlare della produzione di gas serra e delle loro gravi conseguenze sul cambiamento climatico.

A questo proposito bisogna ricordare che 1.500 milioni di esseri umani continuano a utilizzare energia inquinante derivante da combustibili fossili quali legna, carbone, gas o petrolio, principalmente in Africa, Cina e India. Solo il 13% dell’energia prodotta nel mondo è rinnovabile e pulita (idraulica, eolica, solare, eccetera). Il restante è di origine nucleare e soprattutto fossile, la più nociva per l’ambiente.

In questo contesto preoccupa che i paesi emergenti adottino metodi di sviluppo industrializzati, estrattivisti e che depredano l’ambiente, imitando in peggio quello che hanno fatto e continuano a fare gli attuali paesi sviluppati. Tutto ciò sta producendo una gravissima erosione della biodiversità.

Che cos’è la biodiversità? La totalità delle varietà di tutti gli esseri viventi. Stiamo constatando un’estinzione massiva di specie vegetali e animali, una delle più brutali e rapide che la Terra abbia mai conosciuto. Ogni anno scompaiono fra le 17.000 e le 100.000 specie. Uno studio recente ha rivelato che il 30% delle specie marine è sul punto di estinguersi a causa della pesca massiva e del cambiamento climatico. Allo stesso modo una su ogni otto specie di piante è minacciata dall’estinzione. Una quinta parte di tutte le specie viventi potrebbe sparire da qui al 2050.

Quando si estingue una specie si modifica la catena degli esseri viventi e si cambia il corso della storia naturale. Ciò costituisce un attentato contro la libertà della natura. Difendere la biodiversità è, di conseguenza, difendere la solidarietà oggettiva fra gli esseri viventi.

L’essere umano e il suo modello di produzione predatore delle risorse naturali sono le principali cause di questa distruzione della biodiversità. Nelle ultime tre decadi, gli eccessi della globalizzazione neoliberista hanno accelerato tale fenomeno.

La globalizzazione ha favorito il sorgere di un mondo dominato dall’orrore economico nel quale i mercati finanziari e le grandi corporazioni private hanno ristabilito la legge della giungla, la legge del più forte. Un mondo nel quale la ricerca di un guadagno giustifica tutto, qualunque sia il costo per gli esseri umani o per l’ambiente. A tale proposito la globalizzazione favorisce il saccheggio del pianeta. Molte grandi imprese prendono d’assalto la natura con mezzi di distruzione smisurati e ottengono enormi guadagni inquinando, in modo totalmente irresponsabile, l’acqua, l’aria, i boschi, i fiumi, il sottosuolo, gli oceani, che sono beni comuni dell’umanità.

Come mettere fine a questo saccheggio della Terra? Le soluzioni esistono. Ho qui quattro decisioni urgenti che potrebbero essere prese:

•               cambiare modello ispirandosi all’”economia solidale”. Quest’ultima crea coesione sociale perché i guadagni non vanno solo a pochi ma a tutti. È un’ economia che produce ricchezza senza distruggere il pianeta, senza sfruttare i lavoratori, senza discriminare le donne, senza ignorare le leggi sociali;

•               porre freno alla globalizzazione mediante un ritorno alla regolamentazione che corregga la concezione perversa e nociva del libero commercio. Bisogna azzardarsi a ristabilire una dose di protezionismo selettivo (ecologico e sociale) per avanzare verso la deglobalizzazione;

•               frenare il delirio della speculazione finanziaria che sta imponendo sacrifici inaccettabili a società intere, come si vede oggi in Europa dove i mercati hanno preso il potere. È più urgente che mai imporre una tassa sulle transazioni finanziarie per porre fine agli eccessi della speculazione della borsa;

•               se vogliamo salvare il pianeta, evitare il cambiamento climatico e difendere l’umanità è urgente uscire dalla logica della crescita permanente che è impercorribile, ed adottare finalmente la via di una decrescita ragionevole.

Con queste quattro semplici misure, una luce di speranza apparirebbe finalmente all’orizzonte, e le società comincerebbero a riacquistare fiducia nel progresso. Ma chi avrà la volontà politica di imporle?

Note:

1. Solamente in America Latina, come conseguenza delle politiche di inclusione sociale implementate dai governi progressisti di Argentina, Bolivia, Ecuador, Nicaragua, Paraguay, Venezuela e Uruguay, circa ottanta milioni di persone sono uscite dalla povertà.

2. Nel mondo 100 milioni di bambini (soprattutto bambine) non sono scolarizzati, 650 milioni di persone non dispongono di acqua potabile, 850 milioni sono analfabeti, più di 2 miliardi non dispongono di sistema fognario, servizi igienici, circa 3 miliardi (ovvero mangiano, abitano, si vestono, si muovono, si curano, eccetera) con meno di due euro al giorno.

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Fonte: Urgencias climáticas

Gennaio 2012

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