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21 giugno 2012

Profughi ambientali: 6 milioni per eventi climatici estremi. Nel 2011 danni per 380 miliardi di dollari

Recentemente qualcuno ha detto che è improprio parlare di profughi ambientali e che il fenomeno è sovrastimato: quel che è certo è che i migranti ambientali costretti ad abbandonare le proprie case e i luoghi dove sono nati e cresciuti a causa di eventi come uragani, tsunami, terremoti o alluvioni sono circa 6 milioni ogni anno, e che l'Alto Commissariato Onu per i rifugiati dice che il fenomeno nel 2050 potrebbe riguardare tra i 200 e i 250 milioni di persone. «Uomini e donne invisibili, privi di tutele giuridiche, che vivono un dramma di cui si parla troppo poco e per cui non si fa quasi nulla per contrastarlo», spiega il dossier di Legambiente "Profughi ambientali: cambiamento climatico e migrazioni forzate".

Secondo l'International Disaser Database Em-Dat, nel 2011 ci sono 302 gli eventi catastrofici che hanno colpito circa 206 milioni di persone, 164 milioni in più rispetto al 2010, causando  danni economici pari a 380 miliardi di dollari. Il solo terremoto/tsunami dell'11 marzo 2011 in Giappone hanno causato danni per circa 20 miliardi.

"Profughi ambientali: cambiamento climatico e migrazioni forzate" è una terribile istantanea sull'emergenza umanitaria dei migranti ambientali scattata con lo scopo dichiarato di «Rilanciare all'attenzione internazionale questo problema in concomitanza di Rio+20, il summit internazionale sul clima in programma fino a domani, 22 giugno, in Brasile». 

Legambiente è convinta che sia necessario «Cambiare l'attuale paradigma economico ponendo al centro l'affermazione dei diritti umani e della natura» e Maurizio Gubbiotti da Rio de Janeiro, dove sta seguendo la Conferenza dei popoli, sottolinea che «Rio+20 è il foro più adatto per discutere sulle cause che generano il fenomeno della migrazione ambientale e per trovare una via di lavoro comune per tutelare le persone colpite, anche grazie a un riconoscimento giuridico dei migranti. I decisori politici hanno il dovere di trattare questo tema. Il problema delle migrazioni ambientali riguarda vari Stati, quelli colpiti direttamente dalle catastrofi, quelli che ospitano i migranti e quelli che in qualche modo provocano i cambiamenti climatici; per questo è importante facilitare la collaborazione tra le istituzioni e governi a livello internazionale, al fine di adottare misure di adattamento e mitigazione del rischio».

Il dossier chiarisce «Come ormai sia sempre più evidente il legame tra migrazioni forzate e cambiamenti climatici, quest'ultimi causati nella maggior parte dei casi da fattori antropici. Gli stessi scienziati dell'Ipcc, nel rapporto del 2012 "Managing the risks of extreme events and disasters to advance climate change adaptation", hanno sottolineato come il fattore antropico influenzi i disastri climatici. I migranti ambientali sono, infatti, costretti a fuggire dagli effetti causati dal riscaldamento globale, dall'innalzamento del livello del mare che provoca la perdita del territorio, da desertificazioni e siccità, alluvioni o conflitti dovuti alle scarse risorse. A questi si aggiungono i tanti sfollati per terremoti o decisioni politiche che impongono la costruzione di dighe o d'impianti industriali con la conseguente distruzione di centri urbani o dei terreni».

Il dossier fa alcuni esempi degli eventi climatici estremi che hanno funestato il 2011: «In Tailandia, piogge monsoniche e cicloni tropicali tra luglio e ottobre 2011, aggravati dalle implicazioni de "La Niña", hanno causato inondazioni senza precedenti colpendo 9,8 milioni di persone e uccidendone ben 657. In Colombia nell'aprile 2011 le forti piogge hanno provocato inondazioni che hanno ucciso 116 persone e fatto 5,85 miliardi di dollari in danni (2% del Pil Colombiano). Anche in Brasile le piogge torrenziali hanno colpito l'area a 40 km da Rio de Janeiro provocando vittime e sfollati». Il orno d'Africa, e in particolare la Somalia, ha e subito la peggiore siccità degli ultimi 60 anni: «Una carestia che ha portato alla morte di migliaia di persone e animali, aggravando le condizioni di vita di oltre 10 milioni di persone».

Ma questa è solo la parte immediatamente visibile: «Ci sono poi eventi climatici più lenti come ad esempio le desertificazioni e la perdita di produttività del terreno che ugualmente provocano spostamenti di popolazioni il più delle volte dalle zone rurali alle città, determinando l'espansione incontrollata delle metropoli. Molto spesso le stesse città che accolgono i migranti ambientali sono vulnerabili ad aventi climatici estremi oppure non sono strategicamente preparate ad accogliere un numero maggiore di abitanti. C'è poi da considerare le possibili tensioni che potrebbero nascere tra nuovi migranti e vecchi abitanti».

Il dossier approfondisce anche il rapporto tra cambiamenti climatici, migrazione e sicurezza globale esaminando la situazione del Nord Africa, del Bangladesh e dell'India. Viene analizzata anche la drammatica situazione delle piccole Isole del Pacifico e quella dell'Alaska che stanno perdendo parte dei loro territori a causa dell'innalzamento del livello del mare. Gli abitanti sono così costretti ad abbandonare le loro case e migrare verso l'interno o negli Stati Limitrofi. Per cercare di risolvere almeno in parte il problema, i governanti si stanno attivando per trovare soluzioni portando la questione all'attenzione del dibattito internazionale.

I disastri ambientali provocano anche perdite economiche sempre più elevate: «Se nel 1980 le stime delle perdite annuali ammontavano ad alcuni miliardi di dollari; nel 2011 hanno invece superato i 300 miliardi. Stime che però non considerano le perdite di vite umane, del patrimonio culturale, e dei servizi eco sistemici che sono difficili da valutare e monetizzare. Se poi gli eventi climatici estremi colpiscono persone e stati già particolarmente vulnerabili, le perdite economiche subite innescano un circolo vizioso dal quale è difficile uscire. Per questo motivo è fondamentale che almeno le spese per l'adattamento ai cambiamenti climatici vengano integrate nell' attuale gestione del rischio di catastrofi».

L'altro problema è tutto politico, e ne abbiamo palato spesso anche su greenreport.it: lo status giuridico dei profughi ambientali. Il rapporto sottolinea che «Nonostante la portata mondiale del problema, ancora oggi non esiste, infatti, un corpus legislativo specifico che tuteli i diritti dei migranti ambientali. Adottare una prospettiva che sia legalmente vincolante e priva di ambiguità è una priorità dalla quale non si può prescindere. Per far si che gli Stati e le istituzioni riescano a proteggere i diritti di questi profughi, è necessario riconoscere lo status giuridico di coloro che sono costretti a spostarsi a causa di disastri ambientali e cambiamenti climatici».

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