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30 maggio 2012

Verso la conferenza di Rio+20 sulla sostenibilità
di Luigi Cascone

Vent’anni dopo la prima conferenza di Rio, la popolazione globale è cresciuta del 28 per cento e l’economia si è espansa del 75 per cento. Nonostante i vantaggi della crescita non siano stati equamente distribuiti e l’1 per cento della popolazione mondiale possieda il 20 per cento delle ricchezze, il pianeta non può mantenere un simile aumento della domanda di risorse senza gravi conseguenze per l’umanità e gli ecosistemi. Dobbiamo puntare a una nuova “prosperità sostenibile”. In alcune parti del mondo, indipendentemente dalle decisioni prese nelle sedi internazionali, governi, cittadini e comunità locali si stanno già attivando.

É quanto sottolinea lo State of the World 2012: “Verso una prosperità sostenibile”, il 29° rapporto del Worldwatch Institute – quest’anno dedicato alla green economy e ai temi della conferenza mondiale sullo sviluppo sostenibile di Rio+20. La presentazione del rapporto si é tenuta ieri mattina nella Sala delle Colonne del Museo della Scienza e della Tecnologia di Milano. Il convegno, organizzato dal Wwf, ha visto tra i partecipanti, l’attuale Ministro dell’Ambiente Corrado Clini, Gianfranco Bologna, direttore scientifico di Wwf Italia e Michael Renner, curatore del rapporto e presidente dell’Worldwatch Institute.

“E’ necessaria una nuova stagione di movimenti per poter dar voce alle nostre istanze e influenzare le politiche pubbliche. Abbiamo fatto progressi, ma c’è ancora molto da fare.” Questo, in sintesi, il messaggio che Michael Renner ci ha lasciato nel corso dell’intervista che abbiamo avuto con lui a margine della conferenza.

Signor Renner, il Ministro dell’Ambiente Clini, nella sua relazione introduttiva, ha citato un dato interessante: nel 2011 sono stati investiti più fondi nelle risorse rinnovabili che in petrolio e gas. La ragione di questo cambiamento è dovuta, in gran parte, alle necessità delle economie emergenti. Quindi saranno le necessità del mercato a portarci verso una crescita pulita e sostenibile?

Personalmente non mi piace l’idea che siano le compagnie private a decidere se è arrivato, o meno, il momento di investire in risorse alternative. Se guardiamo, però, alle scelte delle aziende private in Italia, Europa e Cina è evidente che, in maniera sempre più crescente, energia rinnovabile e efficienza energetica stiano guadagnato credito nel settore privato. Nonostante tutto, non è possibile accettare che il volano del processo verso una crescita sostenibile sia da delegare esclusivamente alle necessità di mercato e di guadagno. Oggi più che mai abbiamo bisogno di politiche pubbliche più forti e incisive sul settore delle energie rinnovabili e in quello dei trasporti pubblici. Se la promozione delle energie rinnovabili negli ultimi anni ha avuto più successo, c’è ancora molto da fare per quello che riguarda i trasporti. Negli Stati Uniti, ad esempio, abbiamo un gap incredibile nei confronti degli altri Paesi del mondo per quello che riguarda autobus, treni e metropolitane, e all’orizzonte le cose non sembrano promettere bene visto che mancano investimenti pubblici in tal senso. La Cina, al contrario, è all’avanguardia sotto questo punto di vista. Non è, però, un caso. Pechino, infatti, ha preso una decisione strategica di lungo periodo: investire in risorse rinnovabili, treni ad alta velocità e soprattuto in modalità di produzione più efficienti sotto il punto di vista energetico.

Tutto ciò ci porta alla domanda iniziale. Dev’essere il mercato a guidare questo cambiamento o il settore pubblico? Io preferirei che sia il secondo piuttosto che il primo, anche perché è solo a questa condizione che si potrà spingere tutto il settore privato ad andare in una certa direzione.

Nel suo intervento, ha toccato vari temi, tra cui la possibilità di nuovi conflitti per l’accaparramento delle risorse naturali, come l’acqua. La crescita sostenibile diventa uno strumento per il movimento pacifista contemporaneo?

In linea di principio sì, ma la questione è piuttosto quella su che tipo di conflitto possiamo aspettarci e su quali conflitti vogliamo evitare. Personalmente penso che la maggior parte delle tensioni si svilupperanno all’interno dei confini dei Paesi ricchi di risorse naturali ma poveri dal punto di vista economico. Se parliamo dell’acqua, ad esempio, nei prossimi anni vedremo sorgere sempre più dispute tra popolazioni popolazioni povere per accaparrarsi l’utilizzo di questa risorsa primaria. Ovviamente non sto dicendo che è totalmente da escludere l’ipotesi di conflitti armati tra governi per l’utilizzo delle sorgenti idriche, ma credo che l’attenzione debba essere maggiormente rivolta ai problemi che sorgeranno all’interno degli Stati, tra differenti comunità, etnie, o semplicemente gruppi con interessi diversi. Quindi, se si vuole fare un discorso teso alla prevenzione dei conflitti, questo dev’essere fatto a livello interno, concentrandosi su elementi come la rappresentatività dei governi, l’influenza giocata dalle compagnie straniere e gli interessi in gioco per le comunità locali. Un esempio di questo discorso lo si può già vedere nella profonda crisi alimentare che vive l’Africa occidentale dovuta, in parte, al problema della corsa all’accaparramento delle terre (land grabbing n.d.r.)

Sono passati vent’anni dalla conferenza di Rio del 1992, in questi anni poco si é fatto. Come giudica l’operato dell’Italia in questi due decenni?

Ammetto di non essere completamente pronto sulle specifiche politiche attuate dall’Italia. Di sicuro a livello europeo ci sono stati, nel complesso, elementi positivi e altri negativi per quello che riguarda, soprattutto, l’investimento in energie rinnovabili. L’Unione Europea è leader mondiale in questo campo e l’Italia ha, comunque, seguito piuttosto bene questo percorso tant’è che, se prendiamo in conto alcuni valori, potrebbe essere definita la seconda potenza per energie rinnovabili in Europa dopo la Germania. Questo è un dato positivo, ma non abbiamo fatto abbastanza e molto altro ancora può essere fatto. Dobbiamo fare un salto di qualità promuovendo, tramite sussidi e incentivi fiscali, un rinnovato sentiero di crescita verde e sostenibile che tenga in conto anche l’efficienza energetica nel campo dell’edilizia.

A proposito di politiche europee, che cosa ne pensa della scelta della Commissione di incentivare l’uso di bio-carburanti?

Il nostro istituto non ha una posizione definitiva sulla questione dei biocarburanti, quello di cui sono certo, però, é che siano necessarie delle differenziazioni in termini di politiche a livello europeo tra risorse utilizzate per il cibo e quelle per il carburante. Lo sbaglio non é nell’utilizzo in sé del cibo come carburante, il problema e nei governi e nelle scelte politiche. Poi, personalmente, preferisco altre forme di energia come quella solare o eolica. Inoltre, mi si permetta ancora una volta di sottolineare l’enorme importanza che riveste la problematica dell’efficienza energetica. Se si riuscisse, ad esempio, a portare gli Stati Uniti al livello europeo sotto questo profilo avremmo un impatto enorme sulla riduzione delle emissioni di gas serra.

Il problema è, e lo ripeto, quello di mettere in piedi le giuste politiche pubbliche, cosa assolutamente non difficile da fare. Esistono esempi positivi, e tutto ciò che si deve fare é incentivare gli altri a seguire questi esempi.

Quali sono gli strumenti in mano alla società civile per influenzare le scelte politiche? Come possono le migliaia di organizzazioni che saranno presenti alla conferenza di Rio avere un impatto reale sulle decisioni che verrano prese?

Questa è una domanda a cui é impossibile dare risposta. In ogni caso, credo che il vecchio modo delle organizzazioni ambientaliste di tentare d’influenzare i governi tramite azioni di lobby, convegni e seminari non funzioni più e, a dir la verità, negli anni ha portato a pochissimi risultati. Bisogna inchiodare i governanti alle loro responsabilità. Per farlo non bisogna parlare nei corridoi del potere ma portare le nostre istanze e rivendicazioni in piazza, costringendo chi governa a dare risposte. Il movimento Occupy ha molto da insegnare sotto questo punto di vista. Ovviamente, nel mondo delle Ong c’è chi non la pensa così, ma la cosa fondamentale è rendere chiaro che non resteremo silenziosi su certe tematiche, faremo rumore e ci faremo ascoltare.

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