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mercoledì 14 novembre 2012 21:27

388 guerre nel mondo per risorse e energia

Il 2011 è l'anno col più alto numero di guerre mai registrato dalla fine del II° conflitto mondiale. Casi-studio: Libia, Somalia, Afghanistan...

Le guerre nel mondo. Nel 2011 sono state rilevate dal Conflict Barometer (Università di Heidelberg), 20 guerre che coinvolgono 14 paesi. Si tratta in realtà della punta dell'iceberg, in quanto, nello stesso anno, sono 388 in totale tutte le situazioni di guerra e conflitto armato registrate. Le situazioni più letali sono 38 ("war e limited war"). Altri 148 conflitti sono stati classificati nei termini di "violent crisis". I rimanenti 202 conflitti si sono sviluppati senza mezzi violenti (87 "crisi non violente" e 115 "dispute"). Il numero di guerre registrate nel 2011 non coincide con il numero di paesi in guerra, dato che in uno stesso paese possono essere presenti più fronti di guerra. Il caso più eclatante è quello del Sudan, dove nel corso del 2011 sono stati registrati 4 distinti fronti di guerra. 



Il nuovo fronte arabo. Rispetto a situazioni "vecchie" di conflitto armato, degenerate in guerre e vere e proprie, si registra la presenza di 3 nuovi conflitti avviati nel corso del 2011, inquadrabili all'interno della "primavera araba", e localizzati nella regione maghrebina e medio-orientale: si tratta della guerra nello Yemen, in Libia e in Siria. Dal 2010 al 2011 il numero totale di conflitti è passato da 370 a 388: 18 in più. Particolarmente significativo l'aumento nel numero di guerre: dai 6 casi del 2010 si è passati ai 20 del 2011. Un confronto storico con i dati in possesso dell'Heidelberg Institute, raccolti a partire dal 1945, dimostra che il 2011 è l'anno con il numero più elevato di guerre mai registrato dalla fine del secondo conflitto mondiale. Sei guerre già registrate nel 2010 hanno mantenuto nel 2011 il medesimo livello di gravità: Iraq, Afghanistan, Pakistan, Sudan, Somalia e Messico. Altre 14 situazioni di conflitto sono esplose ex novo o degenerate in guerre aperte.



Le cause prodonde. Afferma il rapporto: "L'assetto economico è sempre stato decisivo nel contribuire a determinare il grado di conflittualità delle relazioni internazionali, sia per via dei conflitti che riguardano l'accaparramento di risorse strategiche (petrolio, acqua, terra) sia per le acute tensioni che si possono generare nelle relazioni tra creditori e debitori, all'interno del mercato internazionale. Centrale appare a riguardo il tema delle risorse naturali ed energetiche. Negli ultimi anni, la disponibilità di risorse è divenuto diventa il fattore scatenante di nuovi conflitti internazionali e interni. I primi due beni primari ad essere colpiti da questi fattori di crisi sono acqua e cibo". Sono 145 le nazioni nel mondo che devono condividere le proprie risorse idriche con altri paesi e utilizzano bacini idrici internazionali (263 in tutto il mondo). Dopo il petrolio l'acqua. Negli ultimi 50 anni, la condivisione forzata dei bacini ha prodotto 37 conflitti violenti. "Oltre 50 paesi nei prossimi anni potrebbero entrare in dispute violente sulla gestione di laghi, fiumi, dighe e acque sotterranee". Negli ultimi 5-6 anni, il prezzo reale del cibo è sostanzialmente raddoppiato. L'indice del prezzo mondiale del cibo, pari a 107 nel 1990, è aumentato progressivamente, fino a raggiungere nel febbraio 2011 la vetta di 209.3. A febbraio 2012, l'indice era ancora molto alto (195.2). "Anche le materie prime energetiche hanno conosciuto vistosi incrementi. La crescita del prezzo reale del petrolio, cominciata attorno al 2003, ha toccato livelli che sono assai superiori a quelli - allora già ritenuti eccezionali - raggiunti in seguito agli shock petroliferi della seconda metà degli anni '70 del secolo scorso. Oggi il prezzo reale del petrolio è quasi il doppio rispetto al 1982, all'apice del secondo shock petrolifero, e supera di più del 150% il livello di inizio millennio". 



Finanza speculativa. Secondo il Rapporto, la principale causa degli aumenti di prezzo risiede nella "finanziarizzazione del mercato delle commodities", ossia nel ruolo giocato dagli speculatori e dai mercati finanziari mondiali nel plasmare le politiche fiscali delle potenze mondiali e, perciò, il panorama macroeconomico dentro al quale ogni economia è costretta a muoversi. "Le conseguenze sui paesi a reddito basso e medio-basso delle evoluzioni dei prezzi sono state ovviamente negative. In particolare, la crisi alimentare esplosa nel 2008 e l'aumento del prezzo dei prodotti alimentari in tutto il mondo, hanno contribuito all'esplodere di vari conflitti, quali le primavere arabe e la guerra civile in Costa d'Avorio, e hanno provocato scontri e rivolte ad Haiti, in Camerun, Mauritania, Mozambico, Senegal, Uzbekistan, Yemen, Bolivia, Indonesia, Giordania, Cambogia, Cina, Vietnam, India e Pakistan". 



Meno cibo più armi. Nel 2011 la spesa militare aggregata a livello globale ha raggiunto i 1.630 miliardi di dollari. Secondo il rapporto di Caritas Italiana, Famiglia Cristiana e Il Regno sui conflitti dimenticati, la guerra non dipende solo da questioni economiche e finanziarie, ma è molto legata alle condizioni politiche dei paesi di riferimento. "Le democrazie nel mondo sono 77, con caratteristiche molto variabili e diversi gradi di rispetto dei diritti umani - si rileva -. Sono invece 34 i paesi che vivono sotto regimi dichiaratamente autocratici o oligarchici. A cavallo tra i diversi sistemi politici ci sono 43 paesi definiti fragili, le cui strutture istituzionali non possiedono la capacità e/o la volontà politica di provvedere alla riduzione della povertà, allo sviluppo e alla tutela della sicurezza e dei diritti umani delle popolazioni. In tali paesi vivono complessivamente circa 1,2 miliardi di persone". 



Democrazie fragili. "Gli Stati fragili costituiscono l'area più vulnerabile del pianeta - sottolinea il rapporto -. Circa metà di questi paesi sono in condizioni di conflitto interno aperto o latente. Gli Stati fragili, negli ultimi dieci anni, hanno ricevuto circa il 30% degli aiuti internazionali allo sviluppo, e circa il 90% dell'aiuto umanitario, per un totale di circa 40 miliardi di dollari l'anno. Questo impegno finanziario però non si è mai tradotto in un aumento della stabilità politica e in un miglioramento delle condizioni di vita". Un aspetto caratteristico dei nuovi conflitti è il crescente coinvolgimento dei civili. "La violenza prolungata in tante aree del mondo ha portato il bilancio delle vittime civili a livelli insopportabili: le crisi umanitarie colpiscono oltre 60 paesi; il numero dei disastri naturali è quasi raddoppiato in vent'anni e la malnutrizione ha ripreso a crescere, superando il miliardo di vittime".



Guerra all'infanzia. Più di un miliardo di bambini e adolescenti (dati Unicef) vive in scenari di guerra; tra questi, circa 300 milioni hanno meno di 5 anni d'età (2009). Nella decade precedente, le guerre avevano ucciso circa 2 milioni di bambini e ne avevano reso disabili altri 6 milioni. Circa 18 milioni di bambini sono costretti ogni anno a spostarsi a causa dei conflitti armati; due terzi di questi sono sfollati all'interno del proprio paese, mentre un terzo sono rifugiati o richiedenti asilo all'estero; la maggior parte resta nei paesi limitrofi vivendo in campi, mentre solo circa mezzo milione chiede asilo nei paesi ad alto reddito. Circa un quarto della popolazione adulta che ha vissuto l'esperienza della guerra soffre di psicopatologie moderate; il 3-4% di un disturbo psicopatologico grave. Tra il 13% ed il 25% dei minori coinvolti dalle guerre soffre di stress post-traumatico (dati Oms). 



Spesa militare e mercato delle armi. Secondo i dati del Sipri di Stoccolma, la spesa militare aggregata a livello globale ha subito un incremento in termini reali di circa il 26% dal 2007 al 2011, raggiungendo i 1.630 miliardi di dollari, risentendo in modo limitato degli effetti negativi della crisi economico-finanziaria. "La spesa militare globale -evidenzia il rapporto- assorbe circa il 2,7% delle risorse mondiali. Gli Stati Uniti rappresentano l'attore prevalente nel determinare questo trend, ma si osserva un aumento della spesa militare anche nei paesi "BRICS" (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica), soprattutto nella Russia, che ha aumentato la propria spesa militare, e affianca gli Stati Uniti al vertice della classifica sulle esportazioni di armamenti". Le spese militari italiane nel 2011 sono state le più basse degli ultimi 10 anni, raggiungendo comunque quasi i 25 milioni di euro (più dell'1,5% del Prodotto Interno Lordo). 

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