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13 gennaio 2012

Il ministro Di Paola:
«Tagliare non solo gli F-35»
di Umberto De Giovannangeli

Dalla contestata acquisizione di 131 F-35 al “rischio-stipendificio” per le nostre Forze Armate: temi spinosi a cui il ministro della Difesa, Giampaolo Di Paola, non si sottrae. E in questa intervista esclusiva a l’Unità, difende e rilancia la sua idea di Difesa. «Attaccando»…

Signor ministro, partirei dalla questione al centro da giorni di un vivace dibattito e di aspre polemiche: il programma di acquisizione di 131 F-35. C’è chi la definisce una spesa eccessiva, chi un investimento velleitario, e chi sollecita un ripensamento, quanto meno nel numero dei cacciabombardieri acquistati. Cosa può dirci in proposito?

«Noi stiamo rivedendo lo strumento militare. L’ho detto in maniera chiara e inequivocabile, ben prima che iniziasse qualsiasi discussione. Rivedere tutti gli aspetti dello strumento militare e dunque anche i programmi, e quindi i mezzi, e i piani d’investimento. Occorre operare in tal senso innanzitutto perché una revisione d’insieme è doverosa, e poi perché la situazione di compatibilità finanziaria lo impone.Maquesta revisione, è bene ribadirlo, interessa tutti i programmi. Perciò ritengo che l’accanimento verso uno specifico programma sia espressione di visioni anguste, settoriali che nonmi sento di condividere. Sia chiaro: quando parlo di una revisione di tutti i programmiintendo anche quello relativo agli F-35, e in questo quadro generale bisogna tener conto che c’è una esigenza fondamentale...».

Quale?

«Lo strumento militare italiano ha bisogno di una capacità aereo tattica: questa capacità l’abbiamo e va rinnovata. E dal punto di vista operativo, l’F-35 è la risposta corretta a questa esigenza. Che tipo di configurazione complessiva questo programma debba avere, questo è oggetto della revisione, e siccome la revisione è in corso è inutile che mi si venga a chiedere se si può ridurre di uno, dieci, venti, cento... La Difesa è una cosa seria, così come lo sono i programmi e gli investimenti. Al termine di questa revisione, noi ne motiveremo gli esiti, ma che il programma sia di alta valenza operativa, su questo non ho dubbi. E per un ministro della Difesa, quella operativa è una componente importante. Come lo sono l’alta valenza tecnologica del programma in questione, la valenza industriale e occupazionale. Uno può rinunciare a tutto, pure ad avere una Difesa, però l’argomento va affrontato e gestito seriamente e non piegato a posizioni ideologiche o che magari nascondono interessi di parte».

C’è chi sostiene che gli F-35 sono strumenti offensivi, tali da delineare un ruolo dell’Italia che contrasta con la Carta costituzionale e l’articolo 11…

«Questa è una visione fortemente ideologizzata che non mi appartiene e che non corrisponde alla realtà. Qualunque armamento è offensivo o difensivo a seconda di come lo usi. Non è che l’F-35 è offensivo, l’Eurofighter è difensivo, il carro armato è offensivo o difensivo. È l’uso che se ne fa che conta. È come noi abbiamo utilizzato, con l’approvazione del Parlamento e delle Nazioni Unite, gli AMX, i Tornado, gli AV-8B. Sì, delle Nazioni Unite, perché le operazioni in Libia e in Afghanistan sono state sancite, legittimate da risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, e in quelle azioni sono stati utilizzati gli aerei a cui ho fatto riferimento. Mezzi che vanno rinnovati, e non vedo perché l’F-35 di per sé sia offensivo. È chiaro che lo strumento militare viene considerato, in quanto militare, in violazione dell’articolo 11 della Costituzione, beh, allora io dico chiudiamo lo strumento militare. Ma lo strumento militare esiste da quando esiste la nostra Costituzione, e il suo articolo 11, il quale, peraltro, andrebbe letto nella sua interezza e non fermandosi alla sua prima riga. E a dirlo non sono io, ma qualcuno ben più autorevole: il presidente Giorgio Napolitano».

In una recente intervista a l’Unità, l’ex Capo di Stato Maggiore della Difesa, il generale Vincenzo Camporini, analizzando il bilancio della Difesa ha paventato il rischio che le nostre Forze Armate si trasformino sempre più in uno “stipendificio”. C’è davvero questo rischio?

«Vorrei dare una risposta più articolata, il che non significa evadere la sua domanda. Si dice: in Italia spendiamo un sacco di soldi per la Difesa, l’Italia è la decima potenza militare al mondo... Punto primo: l’Italia è la quarta economia dell’Unione Europea, tra le prime dieci economie del mondo, e va da sé che a questa dimensione economica corrispondano nei vari settori bilanci di un certo livello. Però, se si analizzano con onestà e correttezza i dati, la quota parte che l’Italia destina al bilancio della Difesa, è considerevolmente più bassa rispetto al rapporto Difesa/Pil di altri Paesi europei. Alle Forze Armate - Esercito, Marina, Aeronautica - e dunque alla Difesa, il bilancio per l’anno 2012 assegna 13,5 miliardi di euro, lo 0,84 del Pil. Mi permetta di fare alcuni raffronti con alcuni Paesi europei: la Francia destina alla Difesa, l’1,5 del suo Pil; la Germania 1,22%, Gran Bretagna 2,13%, la Svezia 1,3%, Polonia 1,3%. Non sto citando gli Usa... So benissimo che oggi e in futuro a medio termine non avremo un aumento quantitativo del nostro bilancio della Difesa, e non sto qui a dire: datemi l’1,5, l’1,3 come gli altri. Dico solo di essere realisti, e non posso non ribellarmi quando sento dire che spendiamo troppo per la nostra Difesa...».

Resta lo «stipendificio»…

«Indubbiamente si tratta di un grosso problema, non lo nascondo. Il bilancio della Difesa, oggi destina circa due terzi delle risorse al personale. Ma c’è una ragione che lo spiega…».

E quale sarebbe questa ragione, signor ministro?

«Dieci anni fa, il Parlamento sovrano quando fece la riforma del modello della Difesa, disegnò un modello tutto volontario di una certa dimensione: 190mila uomini. Un sistema di queste dimensioni non si mantiene con le risorse che il Paese ha ritenuto nell’arco di 10 anni di destinare alla Difesa. Perseguendo quei livelli di dimensionamento, inevitabilmente le dinamiche del personale hanno determinato, come in ogni altro Paese del mondo, la crescita delle spese ad esso relative, comprimendo in maniera forte le altre due voci di bilancio, qualitativamente importanti: l’esercizio, vale a dire l’operatività delle Forze Armate - e quindi la formazione, l’addestramento, la manutenzione, l’impiego - e l’ investimento, la parte dedicata ai mezzi, al rinnovamento, al futuro. In questa situazione, non parlerei di rischio ma di realtà: la quota destinata al personale è talmente elevata che non siamo più in grado di mantenere, rendendolo utilizzabile, lo strumento militare nelle attuali dimensioni. Bisogna dunque ricalibrare lo strumento in base alle risorse che il Paese decide liberamente di destinare, il che comporta affrontare con serietà anche il discorso, che spesso produce levate di scudi, di un ridimensionamento degli organici. A questo impegno non mi sottraggo».

Un nuovo modello di Difesa non chiede più Europa, in termini di cooperazione integrata e di difesa condivisa?

«Direi proprio di sì. Ma anche qui, occorre intenderci ed essere corretti. Sono convinto che l’Italia debba credere e spingere nella direzione di una sempre maggiore integrazione europea, e quello della sicurezza e difesa rappresenta una delle dimensioni fondamentali di questo percorso. D’altro canto, gli stessi partner americani ci incoraggiano in questa direzione, perché si rendono perfettamente conto che una politica europea più integrata rafforza la partnership Usa-Europa nel campo della sicurezza e della difesa. Ma più Europa, però, non vuol dire che l’Italia si sfila dalla Difesa. Più Europa significa che tutti quanti, noi europei, inclusa l’Italia, ci si muova con coerenza e convinzione su un percorso condiviso. Al mio Paese chiedo solo di essere in sintonia con l’operato di Francia, Gran Bretagna, Spagna, Germania, Polonia, Svezia, Olanda. Paesi che stanno lavorando a un disegno di difesa europea operativamente efficace, anche nell’investimento aereo-navale. Di questo disegno, l’Italia può e deve essere parte attiva, avendo la consapevolezza, peraltro, che un Esercito europeo non può prescindere da un Governo europeo».

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