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16 luglio 2012

Rifiuta la commessa bellica e tutti gli offrono lavoro
di Gianluca Campanella

Ha detto no a Finmeccanica per non contribuire alla produzione di siluri. Ma la “Morellato energia” è in crisi e c’è il rischio di licenziamenti

PISA. Email e telefonate di complimenti da tutta Italia e anche due offerte di lavoro sono arrivate ieri all’uomo che ha detto no a Finmeccanica. Valerio Morellato, 31 anni, è l’eroe del giorno: la sua azienda, “Morellato energia” di Ghezzano (al confine col comune di Pisa), nonostante la crisi che l’ha costretta a prevedere la cassa integrazione per una parte dei venti dipendenti, ha preferito rinunciare a un lavoro per il colosso pubblico degli armamenti. «Non ce la sentiamo di mettere le nostre competenze al servizio di un’opera che potrà sviluppare tecnologia bellica» è il testo con cui è stato motivato il “gran rifiuto”.

Ingegner Morellato, che reazioni ci sono state dopo la vostra rinuncia alla commessa di Finmeccanica?

«Ho ricevuto tantissime telefonate di amici e, tramite il sito aziendale, anche numerosi messaggi di posta elettronica. Tutti ci hanno espresso solidarietà e supporto per la nostra decisione. Inoltre, dal territorio, sono giunte anche due richieste di informazione per lavori da svolgere».

Ricordiamo l’importo della commessa.

«Erano 30mila euro, di cui un terzo come margine netto. Il fatturato equivalente dell’installazione di 38 climatizzatori o di 12 impianti di solare termico. Li avrebbe pagati Whitehead Alenia Sistemi subacquei, una ditta nell’orbita di Finmeccanica, per “un sistema di refrigerazione di una vasca piuttosto capiente da usare per ricerca militare”».

E perché avete rifiutato?

«Abbiamo scoperto che l’impianto richiesto sarebbe servito per la produzione di più di 100 siluri, da consegnare alle Marine di tre diversi continenti. Ho sempre avuto il piacere di essere circondato da dipendenti e collaboratori che hanno provato a scommettere non solo sul nostro lavoro, ma anche sugli ideali, come ambiente, ingiustizie e diritti».

E le armi si scontrano con questi ideali. Ma dall’altra parte della bilancia c’era un po’ di sollievo a un’azienda in crisi.

«Infatti non è stata una discussione facile. Ne abbiamo parlato tutti insieme e alcuni non hanno mai avuto dubbi su come procedere. Mentre altri hanno pensato che “il nostro contributo alla realizzazione della struttura militare sarebbe stato marginale e certamente ci sarebbe stata un’altra azienda a sostituirci”; quindi meglio portare i soldi a casa».

Ma sullo sfondo resta la crisi.

«Certo, la normativa sul fotovoltaico è una mazzata e c’è la prospettiva di una riduzione del personale. Ma se riusciamo a farci conoscere, chi avesse bisogno di un climatizzatore o di un impianto solare potrebbe sceglierci come fornitore».

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