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22 Febbraio 2012

La protesta non violenta può liberare la Palestina
di Mustafa Barghouthi

traduzione di Domenico Tucci

Ramallah, West Bank - Negli ultimi 64 anni, i Palestinesi hanno tentato la lotta armata; abbiamo provato i negoziati: e abbiamo provato le conferenze di pace. Tuttavia, tutto quello che abbiamo visto sono un aumento delle colonie, un aumento delle perdite di vite e di risorse, e uno stato di emergenza, conseguente a un orribile sistema di segregazione.

Khader Adnan, un palestinese imprigionato in una prigione israeliana, ha seguito un percorso diverso. Nonostante la sua presunta affiliazione con il gruppo militante della Jihad Islamica, ha intrapreso un pacifico sciopero della fame volto a smuovere le coscienze del persone in Israele e nel mondo. Adnan ha deciso si smettere di nutrirsi più di 9 settimane fa ed è giunto quasi in punto di morte. Ha resistito per 66 giorni prima di interrompere lo sciopero della fame lo scorso martedì, a fronte di un accordo israeliano per rilasciarlo il 17 Aprile.

Adnan ha certamente raggiunto una vittoria individuale. Ma si è trattato anche un trionfo piu’ ampio, che ha unito i Palestinesi e ha sottolineato il potere della protesta non violenta.  Sicuramente, tutti i Palestinesi che vogliono uno stato indipendente e la fine dell’occupazione israeliana, dovrebbero saggiamente abbandonare la violenza e abbracciare l’esempio della resistenza pacifica.

Adnan non era l’unico in questa situazione. Più di 300 Palestinesi sono attualmente sotto tenuti sotto “ detenzione amministrativa”. Nessuna accusa è stata intentata verso di loro: devono vedersela con prove segrete: e non riescono a ottenere la loro giornata presso la corte militare.

Le pratiche inglese nell’Irlanda del Nord durante gli anni 70 e 80 non erano poi così differenti da quelle odierne di Israele – e hanno generato un analogo spirito ribelle nella popolazione soggiogata. Nel 1981, Bobby Sands, un membro dell’IRA agli arresti, morì 66 giorni dopo aver iniziato uno sciopero della fame per protestare per  il trattamento riservato ai prigionieri politici dall’Inghilterra. Bobby Sands venne eletto durante il suo sciopero; e altre nove persone morirono per lo sciopero della fame; e i loro casi portarono l’attenzione mondiale sulla situazione dei cattolici nell’Irlanda del Nord.

Così come Margaret Thatcher, l’allora Primo Ministro britannico, liquidò senza troppe simpatie Bobby Sands come “ un criminale condannato”, così le autorità israeliane hanno accusato Adnan di essere un membro attivo della Jihad Islamica. Ma se questo fosse vero, Israele dovrebbe dimostrarlo in tribunale.

Le azioni di Adnan delle scorse nove settimane hanno dimostrato che era disposto a dare la sua vita – in modo non violento e altruista – per promuovere la libertà della Palestina. Altri dovrebbero adesso dimostrare un coraggio simile.

Cosa serve è una versione palestinese delle rivoluzioni arabe che hanno spazzato la regione: un movimento di massa che richieda libertà, dignità, una pace equa, una democrazia reale e il diritto all’autodeterminazione. Dobbiamo prendere l’iniziativa, riporre fiducia in noi stessi e perseguire una forma di lotta non violenta che possiamo sostenere, senza dipendere da altri per prendere decisioni per noi e nella nostra terra.

Negli ultimi anni i Palestinesi hanno organizzato proteste non violente contro “la barriera di separazione” di filo spinato e cemento che ci rinchiude in quelle che sono descritte al meglio come “bantustans”. Abbiamo cercato di mobilitare la resistenza popolare a questo muro seguendo le tradizioni non violente di Martin Luther King Jr e  Gandhi – e rimaniamo determinati a sostenere la protesta pacifica anche quando attaccati in modo violento.

Usando queste tecniche siamo già riusciti a fare pressione al governo israeliano per reindirizzare il percorso del muro in villaggi come Jayyous e Bilin, e abbiamo aiutato centinaia di Palestinesi a farsi ritornare la loro terra dai Coloni o dall’Esercito Israeliano.

Il nostro movimento non vuole delegittimare Israele, come sostiene il Governo israeliano. Il nostro, invece, è un movimento atto a delegittimare l’occupazione israeliana della Cisgiordania, che reputiamo essere l’ultimo sistema di apartheid esistente al mondo. E’ un movimento, il nostro, che  potrebbe liberare la Palestina da una occupazione che dura da 45 anni, e che potrebbe liberare Israele dall’essere parte dell’ultimo sistema coloniale dei nostri tempi.

Ricordo i giorni in cui alcuni esponenti dei maggiori partiti politici palestinesi – Al Fatah e Hamas – deridevano il nostro movimento nonviolento, vedendolo leggero e inefficace. Ma il punto di svolta accadde durante l’estate del 2008, quando riuscimmo a spezzare l’assedio navale di Gaza con piccole navi. Subito, notai  molto rispetto negli occhi degli stessi leader che avevano dubitato del potere della non violenza e di cui finalmente riconoscevano le potenzialità.

Il potere della nonviolenza sta nel fatto che da’ ai Palestinesi di qualsiasi età e ceto sociale gli strumenti per sfidare chi ci sta soggiogando. E migliaia di pacifisti di tutto il mondo si sono uniti al nostro movimento. Nelle manifestazioni a Gerusalemme Est, Silwan ed Hebron si è unito a noi un nuovo e più giovane movimento pacifista israeliano che categoricamente rifiuta l’occupazione israeliana.

Sfortunatamente , la continua attività degli insediamenti israeliani potrebbe portarci presto al punto di non ritorno. Sicuramente, se non saremo in grado di giungere alla creazione di uno stato palestinese genuinamente indipendente, saremo costretti a fare pressione per un unico Stato con uguali diritti e doveri per Palestinesi e Israeliani.

Non siamo sicuri di quanto tempo servira’ al nostro movimento non violento per raggiungere il suo obiettivo. Ma siamo sicuri di una cosa: avverra’, e da quel giorno i Palestinesi saranno liberi.

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