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26 settembre 2012

Cooperazione internazionale, requiem griffato
di Monica Di Sisto e Riccardo Troisi

Accade sempre più spesso che in molti amici e colleghi, quando ci capita di parlare di cooperazione internazionale, ci invitino a non sparare sulla Croce Rossa. Altri, quando proviamo a sollevare appena un po’ il dibattito dalla mera battaglia di conti che non tornano degli aiuti italiani verso qualche semplice osservazione geopolitica, ci incoraggiano a scendere dalla luna e a tenere i piedi ben piantati in terra. C’è da dire, però, che a furia di spingere in basso, molta parte della cooperazione italiana sembra ampiamente sepolta sotto qualche metro di autistica sopravvivenza, e che più che colpire un’ambulanza, lanciando alla pubblica riflessione qualche argomento di semplice buon senso si rischi di ferire i partecipanti di un ben triste funerale. Una scossa rianimatrice, però, ce l’ha data l’apertura dell’invito al Forum che il governo italiano ha organizzato a Milano per l’1 e 2 ottobre prossimi, proprio sulla cooperazione allo sviluppo.

Nove ministri tricolori, compreso quello competente, una schiera di diplomatici nazionali e d’esportazione, per 1.500 e più partecipanti tra Ong, esperti, amministratori locali, volontari e quant’altro, tra vecchi e nuovi attori di una pratica plurale che più di tante altre sarebbe di strettissima attualità discutere e analizzare. Abitiamo un pianeta in esaurimento di risorse e di energie per colpa di una fede, quella nello sviluppo e nel progresso indefiniti, che sta tradendo persino i suoi ultimi seguaci in quei paesi emergenti che ricominciano a sommergersi e a mantenere i più poveri sotto il pelo dell’acqua. Ci sarebbe bisogno, dunque, di aggiornare il paradigma della solidarietà tra Nord e Sud, per capire come i Sud si possano tessere e sostenere e come i Nord, a ogni latitudine, possano essere costretti a rallentare, a ridistribuire, a rispettare gli altri e se stessi per dare gambe a un futuro tutto da guadagnare. Ci sarebbe, poi, bisogno di capire come un Forum che è stato istruito con ben dieci gruppi di lavoro che hanno visto oltre quattrocento esponenti del settore, fuori e dentro le istituzioni, confrontarsi su domande importanti per la cooperazione come il suo rapporto con l’economia, la crisi, il mondo che cambia, possa dire la sua su un testo di riforma che destra e sinistra al senato tentano di approvare di gran fretta, per far contenta una parte del nostro mondo, mentre l’altra solleva dubbi sulla sua efficacia e adeguatezza a un contesto globale in rapida trasformazione.

La scossa rianimatoria, però, ci arriva dal vedere che a dar lustro – e denaro – a questo utile evento troviamo alcune vere glorie dell’impresa nazionale delle quali più volte abbiamo avuto modo, come società civile, di occuparci, perché colpevoli di vere e proprie aggressioni ai beni comuni e ai diritti di tutti, ma in particolare dei paesi più poveri. Main sponsor del Forum, infatti, è Eni: Kazakistan, Nigeria (qui potete scaricare la pubblicazione «Il Delta dei veleni. Gli impatti delle attività dell’Eni e delle altre multinazionali del petrolio in Nigeria», vedi anche foto in alto), Repubblica del Congo sono solo tre dei paesi che sarebbero stati gravemente inquinati e danneggiati dalle attività estrattive della multinazionale italiana. Banca etica, che compare a sorpresa sull’invito col suo logo a poca distanza dal cane a sei zampe, da molti anni porta questi temi nelle assemblee degli azionisti avendo appositamente acquistato un pacchetto di azioni dell’impresa per guadagnarsi il diritto di critica. Nessuna, però, tra le organizzazioni invitate a Milano ha sentito fino ad oggi l’esigenza di preoccuparsi per il fatto che una propria «autorevole collega» come Amnesty international abbia scritto nel 2010 che «se alcune compagnie petrolifere multinazionali – tra cui Eni – hanno messo in atto alcune misure per evitare che le loro attività causino violazioni dei diritti umani, queste misure sono insufficienti e non conformi in diversi casi alle norme internazionali sui diritti umani». Tantomeno ci si è, fino a oggi, scandalizzati se tra gli altri sponsor figuri Microsoft, potenza dell’informatica più volte accusata di rallentare il processo di diffusione delle informazioni e delle opportunità del web per proteggere i propri brevetti, o addirittura il gruppo Intesa-Sanpaolo. Se Intesa, per anni campionessa nel finanziamento del commercio d’armi ha ridotto esponenzialmente le proprie attività nel settore sotto la pressione delle campagne di boicottaggio dellasocietà civile, non così pacifica è la ricaduta della sua attività di credito ordinaria. Tra i suoi clienti, infatti, figurano comunque imprese discusse con le armi e nucleare nel core business come Betchel, European aeronautic defence and space company, Honeywellinternational, Thales, Boeing e l’italiana Finmeccanica. Per non parlare di giganti dell’agrobusiness come Monsanto, basf eSyngenta e di predoni dell’acqua come Gdf Suez Nestle˙.

Il ministro Riccardi, probabilmente, avendo avuto Finmeccanica tra gli sponsor della sua Ong di provenienza, la Comunità di Sant’Egidio, ad esempio in un progetto per l’accesso gratuito alle cure per l’Aids, probabilmente non ha avuto niente da ridire nel sollevare lo Stato – in tempi di Spending review – dall’incombenza di finanziare il Forum, trovando sostegno in realtà più che disponibili a investire nella ricostruzione di una propria credibilità solidale. Dunque tutto sembra filare perfettamente, visto che tra le diverse novità presenti nella nuova legge c’è un vero sdoganamento alle imprese private come nuovi attori della cooperazione nei prossimi decenni, come dire, cari signori ecco a voi un altro mercato. Ma ci chiediamo se davvero chiedere coerenza tra politica e pratiche sia guardare la luna, e non piuttosto chiedere almeno agli addetti ai lavori di alzare lo sguardo per evitare l’ennesima «caduta di stile», continuando a guardarsi i piedi.

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