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1 ottobre 2012

Lo spettro del dispotismo africano si aggira per l’Italia

Compaoré ospite d’onore del Forum della Cooperazione internazionale

Ha preso il via oggi a Milano la due giorni del Forum della Cooperazione internazionale, 
promosso dal ministro per l'integrazione e la cooperazione internazionale Andrea Riccardi. Al Forum 
sono accreditate oltre 1.600 tra esponenti delle istituzioni e del  mondo universitario e  della cultura, 
tecnici, imprenditori, sindacalisti rappresentanti delle Ong e del volontariato.

Riccardi ha 
spiegato: «Abbiamo convocato il Forum per la Cooperazione Internazionale con 
l'obiettivo di rimettere i temi legati alla cooperazione e all'aiuto allo sviluppo al centro del dibattito 
nazionale. Sarà il momento culminante di un percorso avviato da tempo con 
l'ambizione di coinvolgere tutti i soggetti interessati, istituzioni, enti locali, volontariato, Ong, mondo 
delle imprese, in una grande operazione di rilancio, culturale e operativo. Perché la cooperazione 
non è solo una doverosa azione di solidarietà, ma un asse portante della politica estera di un Paese 
e, anche, una opportunità di crescita, di sviluppo e di sicurezza. Muovi l'Italia, cambia il mondo è lo 
slogan del Forum. Vogliamo rimetterci in movimento, tornare a farci compagni dei Paesi del Sud del 
mondo, ritrovare energie nuove, dopo troppi anni di stanca. Il dialogo, il partenariato, la relazione 
con l'altro sono gli elementi con cui vogliamo favorire la nostra partnership con i paesi in via di 
sviluppo, che guardano all'Italia con interesse e rinnovata aspettativa». Ma a far discutere è stata da 
subito la manifestazione di apertura alla quale partecipano tra gli altri  il commissario Ue allo 
sviluppo  Piebalgs, il presidente del Consiglio Monti, il  ministro Riccardi e quello degli esteri Terzi di 
Sant'Agata, ma che soprattutto vede la presenza di due "ospiti d'onore" contro i quali è stata 
organizzata una manifestazione di protesta: il presidente del Burkina Faso Blaise Compaoré e 
l'amministratore delegato dell'Eni Paolo Scaroni,

Già il 17 settembre il ministro degli esteri 
del Burkina Faso, Yipene Djibril Bassolé, era volato a Roma per  preparare la visita di Compaoré e 
firmare un 'accordo di cooperazione tra l'Italia e il Paese africano. Riccardi in quell'occasione  aveva 
detto: «Il Burkina Faso è molto vicino all'Italia e non solo per la sua immigrazione. Attraverso questo 
Paese passano le rotte dei trafficanti di esseri umani, di droga e di armi. Siamo vicini al Burkina Faso 
nello sviluppo del Paese e nel suo impegno per creare stabilità nell'area. La frontiera dell'Italia e del 
Mediterraneo ha un suo punto decisivo proprio nel Burkina Faso».

Compaorè ha emesso un 
trionfale comunicato per annunciare la sua partecipazione al Forum italiano, ricordando in un 
comunicato che  «l'incontro di Milano, come forum simili tenutisi a Strasburgo, Lione e Berlino, è 
un'occasione per il Presidente del Faso, di condividere la sua esperienza in materia di politica di 
cooperazione internazionale e di mediazione nei conflitti».

Il comunicato del regime 
burkinabé ricorda quali siano queste mediazioni: «In particolare, nella regione ovest-africana dove il 
Presidente Blaise Compaoré si è investito senza riserve nelle risoluzioni delle crisi nigeriana (1994), 
togolese (93-94), ivoriana (2007 e 2010), guineana (2010) e prosegue la sua azione nella 
Repubblica del Mali». Peccato che nessuna di queste crisi sia davvero finita e che pochi giorni fa, in 
occasione della contestatissima visita di Compaoré in Francia  il prestigioso giornale  Jeune Afrique 
 abbia rivelato documenti dei servizi segreti francesi che accusano il presidente burkinabé di aver 
armato (insieme al Qatar) le milizie islamiche del  Mouvement pour l'unicité et le Jihad en Afrique de 
l'Ouest (Mujao) che occupano il nord del Mal, mentre la Cedao, della quale il Burkina Faso a parte, si 
prepara ad un intervento armato contro gli integralisti vicini ad Al-Qaida au Maghreb 
islamique (Amqi) e il governo del Mali rifiuta la mediazione con i ribelli islamisti offerta da 
Compaorè.

Il ministro degli Esteri della Mauritania ed attuale direttore del Centre de 
réflexion sur la sécurité dans la région Sahel Sahara, Ahmedou Ould-Abdallah, ha detto che «i 
terroristi dell'Aqmi sono solo gli intermediari dei trafficanti installati in tutto il golfo del Benin. Le loro 
reti, al più alto livello di ogni Stato della regione, sono considerevoli. Ho dei nomi e la lista è 
considerevole». Secondo diverse Ong a tirare  i fili di questa rete sarebbe anche Blaise Compaoré  e 
il Comitato Sankara XX (Italia) denuncia: «Per la mediazione nella liberazione di 
cooperanti in ostaggio tra cui Rossella Urru, per cui tutti abbiamo temuto ed a gran voce ne abbiamo 
chiesto la liberazione, Blaise Compaoré sarà ricevuto con tutti gli onori al Forum internazionale della 
cooperazione il 1 ottobre 2012 a Milano. Dopo il tentativo di assegnazione del Premio Galileo 2000 a 
Firenze nel 2008, per fortuna fallito grazie alla mobilitazione dei movimenti cittadini, si ritorna ancora 
in Italia a voler premiare come pacificatore un iniziatore di conflitti. Da 25 anni, cioè dal 
barbaro assassinio del 15 ottobre 1987 del presidente in carica Thomas Sankara e dei suoi dodici 
collaboratori, Blaise Compaoré è a Capo del Burkina Faso, tra gli uomini politici più ricchi 
e potenti dell'Africa in uno dei paesi tra i più poveri del pianeta».

Il 13 settembre la vedova 
di Sankara, Mariam Sanara, aveva scritto al presidente francese François Hollande, in occasione del 
ricevimento di Compaoré all'Eliseo ricordando che «Blaise Compaoré non è il democratico che 
pretende di essere, è un sanguinario, il suo potere criminale è marchiato sin dalle prime ore da 
qualsiasi tipo di atrocità. Con la sua salita al potere molta gente è stata bruciata viva, altri sono stati 
giustiziati e sepolti in fosse comuni».

I sankaristi italiani sottolineano che «considerato il 
"salvatore in odore di Nobel" e il mediatore dei conflitti nell'africa occidentale, Blaise Compaoré è in 
realtà colui che li attizza, i suoi tentativi di mediazione nelle crisi regionali fanno parte della 
campagna di pulizia della sua immagine ed ha fondato il suo potere e la sua fortuna su una lunga 
serie di crimini economici e di sangue, traffici di armi e di diamanti, sinora rimasti impuniti. Paesi 
come l'Angola, la Liberia, la Sierra Leone e recentemente la Costa d'Avorio ed il Mali hanno subito 
le manovre di destabilizzazione di Blaise Compaore. Blaise Compaoré fu citato negli elenchi 
dell'inchiesta contro Charles Taylor ed il Burkina Faso messo in causa dagli esperti 
dell'Onu, implicato nei conflitti in Liberia, Sierra Leone e nei traffici d'armi e di diamanti per l'Unita di 
Jonas Sawimbi a quel tempo sotto embargo, per assassinii, stupri e mutilazioni di 500.000 persone in 
Sierra Leone e quasi 600.000 in Liberia, così come denunciato e ampiamente documentato anche 
nelle inchieste giornalistiche italiane di Rai 3 di Silvestro Montanaro.

L'assassinio di Thomas 
Sankata, un uomo che operava per lo sviluppo del Burkina Faso ed il benessere del suo popolo, è 
stato un atto inedito in Burkina Faso che non ha permesso alla sua famiglia di vedere il suo corpo, di 
vegliare le sue spoglia e di dargli degna sepoltura. Sepolto in una fossa comune con un certificato di 
morte naturale, tutte le istanze di giustizia intentate dalla famiglia Sankara in Burkina Faso, sino ad 
arrivare a quella del Comitato dei Diritti dell'Onu, sono state sistematicamente bloccate. Il 
presidente Blaise Compaore è un predatore che ha eliminato tutti quelli che gli facevano ombra. Il 
lungo elenco è pubblicamente noto, fece uccidere il suo migliore amico Thomas Sankara, in seguito 
fece fucilare Lingani e Zongo rimanendo così solo al potere. La repressione che compì in seguito alla 
morte di Sankara finì con la vita di migliaia di burkinabè. Infine, assassinò il giornalista Norbert 
Zongo che stava indagando su casi di corruzione in cui era implicato e l'autista di suo fratello 
François che sapeva troppo. Questo senza contare gli innumerabili casi di tortura registrati nel 
Paese».

Mentre il nostro governo riceve con tutti gli onori questo discutibile personaggio, 
dall'inizio del 2011 il popolo burkinabé è insorto contro il governo «pochi mesi dopo che Blaise 
Compaoré era stato rieletto dall' 80% dei votanti, ma con solamente 1,5 milioni di voti: solo la metà 
della popolazione era iscritta negli elenchi elettorali e poco più della metà degli iscritti ha partecipato 
allo scrutinio - ricorda il Comitato Sankara XX - Nel luglio 2011 una richiesta di 
apertura di inchiesta indipendente sull'assassinio di Thomas Sankara è stata depositata 
all'Assemblea francese. Pochi giorni dopo in Burkina Faso, la tomba dove si presume riposi il corpo 
di Sankara è stata oggetto di atti vandalici, ancora oggi la si può vedere devastata. Corruzione, 
appropriazione di una buona parte dell'economia da parte del clan Compaoré, spoliazione di terre a 
profitto dei dignitari dell'agro-industria, depauperamento della popolazione, questa è l'oscura realtà 
di un regime vilipeso dal suo popolo per chi sa guardare al di là delle apparenze». 

Oggi a 
Milano diverse Ong  denunceranno il sostegno dell'Italia al regime di Blaise Compaoré e chiedono 
gesti decisi perché sia messa fine all'ingerenza di tutti i Paesi occidentali negli affari dell'Africa e 
cessi il sostegno a dittatori e ad autocrati in Africa, ma anche che «La Cooperazione italiana sia 
lasciata in pace da interessi potenti come quelli dell'Eni e di altre 
multinazionali che saccheggiano il continente africano».

Alessandro 
Franceschini, presidente dell'Assemblea generale del commercio equo e solidale italiano, ha detto: 
«Come movimento del commercio equo e solidale siamo molto critici di fronte alle sponsorizzazioni 
che sostengono il Forum sulla cooperazione internazionale dell'1 e 2 ottobre a Milano. A nostro 
avviso la scelta degli sponsor di una manifestazione nazionale sulla Cooperazione italiana non è 
neutra o priva di conseguenze: ci chiediamo allora quale sia il modello di Cooperazione che il nostro 
Paese vuole portare avanti da ora in poi. Le organizzazioni del commercio equo e solidale italiano da 
30 anni puntano ogni giorno su una cooperazione che nasce dal basso: sulla collaborazione tra 
cittadini dei vari paesi, su progetti di co responsabilizzazione slegati da grandi interessi industriali e 
finanziari, su relazioni di lungo periodo che non perseguono scopo di lucro. Assistiamo con interesse 
al tentativo del nuovo ministero alla Cooperazione di riportare il dibattito sul tema della 
Cooperazione internazionale, ma proprio per questo ci aspettiamo di veder tutti gli attori convergere 
con coerenza su un modello che abbia come primo obbiettivo il rispetto delle persone e 
dell'ambiente»

Antonio Tricarico, annunciando che per protesta Re-Common non sarà 
presente a Milano, ha sottolineato:  «È notevole che il cane a sei zampe 
campeggi sulla iniziativa più importante da anni per discutere di cooperazione e solidarietà 
internazionale, ed è anomalo al riguardo il silenzio del mondo tradizionale della cooperazione e delle 
Ong, assetato di risorse dopo anni di crisi. Per chi vive nel Delta del Niger, così 
come in tanti altri luoghi del pianeta devastati a livello ambientale e sociale dallo sfruttamento del 
petrolio da parte delle multinazionali, i termini Eni e Agip non sono sinonimo di aiuto, sviluppo o 
cooperazione, come dimostrato anche dalla campagna in corso di Amnesty International rivolta 
proprio a Eni. La scelta dell'Eni come sponsor rischia di togliere ogni credibilità al già discutibile 
esercizio del forum, interamente mirato a consacrare la privatizzazione ineluttabile della 
cooperazione».

Tricarico ricorda che «l'Eni non è una società qualunque: il 30% della 
proprietà è ancora in mani pubbliche, e per questo ogni anno consegna un lauto dividendo al 
ministero dell'Economia. Forse a breve dovremmo conteggiare la partecipazione statale nell'Eni 
come aiuto allo sviluppo? Se il Ministro Riccardi volesse promuovere davvero un'azione di sviluppo a 
costo zero per i contribuenti italiani e senza passerelle inutili, potrebbe indurre la società che 
controlla come principale azionista di minoranza a prestare maggiore attenzione agli impatti sociali e 
ambientali dei propri progetti. I poveri apprezzerebbero un'azione di verità e giustizia da chi dice 
credere in quei principi. Anche la società civile potrebbe fare azioni di sviluppo a costo zero, aprendo 
una seria battaglia globale per rendere illegali le pratiche di elusione fiscale delle multinazionali».

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