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luglio 26, 2012

Alberto Tridente: settant’anni di corsa oltre le frontiere
di Nanni Salio

La vita che va, la vita che viene. Uno/a per volta, gli amici e le amiche ci lasciano, e i migliori ci donano un eredità fatta di lotte, passioni civili, solidarietà, abnegazione, forza morale.

Non basta infatti indignarsi, diceva Alberto, occorre lottare: e ci ha insegnato come fare, correndo senza sosta oltre le frontiere e, quando gli era possibile, saltellando sulle sue care montagne, anch’esse fonte di ispirazione e di forza.

Lo abbiamo incontrato ancora il 1° giugno scorso, nella giornata di apertura della festa dei 30 anni del Centro Sereno Regis, seduto in prima fila nella sala IRENEA del nascente “cinema per la pace e la nonviolenza” ad ascoltare attentamente Johan Galtung. Era già sofferente, per la recrudescenza della malattia, ma la sua forte tempra non gli aveva impedito di essere con noi: un ultimo tributo di solidarietà anche alle nostre lotte per costruire società e comunità di vita ispirate alla nonviolenza.

Lo ricordiamo anche durante la presentazione che abbiamo fatto della sua bella autobiografia, “Dalla parte dei diritti. Settanta anni di lotta” (Rosenberg& Sellier, Torino 2011), pubblicato in occasione dei suoi ottant’anni. Un libro da leggere e rileggere, per conoscere a fondo ciò che, con grande modestia e senza clamori, ha saputo fare nel sindacato, nella politica, nella società, in difesa delle popolazioni oppresse e degli ultimi, e nella sua strenua lotta contro l’industria bellica, a cominciare dall’Oto Melara. Una lotta che lo ha portato a conoscere il valsusino Achille Croce, tra i primi obiettori di coscienza all’industria bellica. Con loro abbiamo condiviso questo sogno, finora rimasto inattuato, di riconversione produttiva e di sensibilizzazione del sindacato sui temi della pace.

E ci piace ricordare anche la sua adesione al MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), come segno ulteriore di un impegno profondo per promuovere una cultura della nonviolenza.

Caro Alberto, e cari tuoi famigliari, continueremo a lottare nel solco che hai tracciato, che già ha dato molti frutti, nel Brasile di Lula e nell’Argentina di Perez Esquivel, e coltiveremo la tua memoria per far conoscere il tuo lavoro alle giovani generazioni, oggi travolte dal peggior capitalismo selvaggio della storia.

Come amava ripetere Aldo Capitini, è nel gran mare “della compresenza dei morti e dei viventi” che l’umanità continua incessantemente a riconoscersi.

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