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19 luglio 2012

Medio Oriente, la strategia della tensione
di Christian Elia

Il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, ha già il colpevole: l’Iran. Subito sostenuto da Ehud Barak, suo ministro della Difesa. Di certo, per ora, ci sono solo le otto vittime dell’attacco suicida avvenuto ieri, 18 luglio 2012, a Burgas in Bulgaria contro un pullman carico di turisti israeliani.

”Ci sarà una forte risposta contro il terrorismo iraniano”, “Perseguiremo gli autori” e via minacciando. Il governo israeliano si è mosso subito, inviando almeno due squadre sul posto. Funziona così: un’unità (di solito con la richiesta di occuparsi personalmente di ricomporre le salme per motivi religiosi) si palesa, un’altra si muove nel territorio nascosta, operazione coordinata dal Mossad, il servizio segreto d’Israele.

L’esecutivo israeliano non ha aspettato neanche poche ore per accusare Teheran. L’assioma è semplice, la data simbolica. Il 18 luglio 1994, a Buenos Aires, una bomba esplose nel centro culturale ebraico della capitale argentina uccidendo 85 persone e ferendone 300. Buenos Aires ha accusato Teheran di aver orchestrato l’attentato con un’autobomba, affidandone poi l’esecuzione al gruppo libanese Hezbollah.

L’Interpol ha chiesto agli Stati membri di arrestare ed estradare in Argentina otto cittadini iraniani: tra loro l’attuale ministro della Difesa Ahmad Vahidi, l’ex Presidente Akbar Hashemi Rafsanjani e l’ex ministro degli Esteri Ali Akbar Velayati. Nel luglio dello scorso anno, il ministero degli Esteri di Teheran promise di avviare “un dialogo costruttivo” e di “collaborare con il governo argentino per fare luce” sui fatti del 1994, negando però ogni coinvolgimento degli otto ricercati.

Quello era un momento delicato, come l’attuale. La morsa sulla Siria si stringe: ormai si combatte a Damasco e se l’unità di crisi dell’esercito siriano, riunito in gran segreto, può essere decapitato da un violento attacco come quello di ieri è segno che le ore di Assad sono contate. Questo significa che sempre più si avvicina il momento nel quale l’asse sciita, nato dopo la guerra in Iraq, che andava dal Libano all’Iran, si sta per spezzare. Per sempre, forse.

Nessun dubbio che potrebbe essere benissimo un messaggio dei Guardiani della Rivoluzione, specialisti nelle operazioni all’estero, come quelle di Hezbollah: possiamo colpirvi ovunque. Stesso messaggio che, se la ricostruzione delle autorità Usa è credibile, la rete dell’internazionalismo sciita di apprestava a lanciare agli Stati Uniti con la rete sgominata – o almeno così ha raccontato la Casa Bianca – a ottobre dello scorso anno.

La situazione, considerando che i sondaggi in Usa non sono affatto buoni per Obama, rischia di precipitare. L’Iran deve a tutti i costi evitare l’isolamento, anche diplomatico, al punto che nessuno osa ammettere che uccidere scienziati sia un crimine ignobile. Eppure capita, da anni, in Iran, ma a nessuno interessa. Il Libano rischia di sfaldarsi, con il suo fragile equilibrio interconfessionale, subito dopo la Siria. La situazione in Iraq è molto fluida. Le ricche monarchie del Golfo continuano a preparare lo scontro con l’Iran, tra politica e religione. La situazione è sempre più tesa.

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