Originale: The Indipendent
http://znetitaly.altervista.org
14 novembre 2012

 

Medio Oriente: i prossimi quattro anni
di Conn Hallinan
Traduzione di Maria Chiara Starace

Nei prossimi quattro anni gli Stati Uniti dovranno affrontare molti problemi di politica estera, la maggior parte dei quali riguardanti singole regioni, altri il mondo. Dispatches From The Edge cercherà di delinearli e analizzarli, iniziando dal Medio Oriente.

Siria

Il problema più immediato nella regione è la guerra in corso in Siria, un conflitto con ramificazioni locali e internazionali. La guerra che il regime oppressivo di Bashar al-Assad ha avviato schiacciando le proteste filo-democratiche, ha tirato dentro la Turchia, il Libano, la Giordania, Israele, Iran e le monarchie del Golfo Persico, in particolare l’Arabia Saudita e il Qatar. Anche gli Stati Uniti, la Francia e la Gran Bretagna  sono pesantemente coinvolte nel tentativo di rovesciare il governo di Assad.

La guerra ha ucciso più di 30.000 persone e ha prodotto varie centinaia di migliaia di profughi, che si sono riversati in Turchia, Libano, Giordania e Iraq. Ha anche  danneggiato malamente le relazioni tra Turchia e Iran. La prima appoggia l’insurrezione, la seconda appoggia il regime di Assad. Opporre l’Iran sciita (e in una certa misura l’Iraq sciita e  Hezbollah libanese con base sciita) all’opposizione in gran parte sunnita ha acuito le divisioni tra sette religiose in tutta la regione.

La stessa guerra sembra sia a un punto morto. Finora l’esercito del regime rimane leale, ma sembra incapace di sconfiggere l’opposizione. L’opposizione, tuttavia è profondamente divisa e va dai nazionalisti democratici ai gruppi estremisti di jihadisti. Gli Stati Uniti e la Gran Bretagna stanno cercando di ricomporre  questo potpourri in una opposizione politica coerente, ma finora i tentativi si sono dibattuti in una molteplicità di programmi diversi e conflittuali da parte degli oppositori  del regime di Assad.

Gli sforzi da parte delle Nazioni Unite di trovare una soluzione pacifica sono stati ripetutamente silurati perché l’opposizione e i suoi alleati insistono per un cambiamento di regime. Lo scopo di far cadere il governo fa di questa una battaglia per la vita o per la morte e lascia poco spazio per le manovre politiche. Un recente cessate il fuoco è fallito in parte,  perché i gruppi jihadisti appoggiati dal Qatar e dall’Arabia Saudita hanno rifiutato di rispettarlo fatto esplodere varie autobomba nella capitale. L’estremismo sunnita di questi gruppi sta  provocando divisioni tra le varie sette dell’Islam.

Ci sono molte cose che l’Amministrazione Obama potrebbe fare per attenuare gli orrori dell’attuale guerra civile.

Per prima cosa dovrebbe ritirare la richiesta  di cambiamento di regime, anche se questo non significa necessariamente che il presidente Assad resterà al potere. Quello che si deve evitare è il tipo di cambiamento di regime che la guerra in Libia ha introdotto. La Libia è diventata essenzialmente uno stato mancato, e il prodotto di quella guerra sta portando scompiglio nei paesi confinanti con il Sahara; il Mali  è un esempio. Alla fine, Assad forse andrà via, ma smantellare il governo baathista vuol dire sollecitare il tipo di caos settario e politico che la dissoluzione del regime baathista ha prodotto in Iraq.

Secondo, se gli Stati Uniti e i loro alleati stanno applicando l’embargo sulle armi contro il governo di Assad, devono insistere con lo stesso tipo di embargo sulle armi mandate ai ribelli dal Qatar e dall’Arabia Saudita.

Terzo, si dovrebbe chiedere alla Cina e alla Russia di negoziare un cessate il fuoco e di organizzare una conferenza con lo scopo di produrre un accordo  politico e un governo di transizione. Di recente la Cina ha proposto un piano di pace in quattro punti che potrebbe servire come punto di partenza per i colloqui. Un giornale recente, controllato dal governo di Assad, Al Thawra, ha suggerito che il regime di Damasco sarebbe aperto a negoziati di questo genere. Un aspetto fondamentale per questi colloqui sarebbe una garanzia che nessun potere esterno li potrebbe minare.

Palestinesi

Il conflitto che non dirà il suo nome: questo è il modo in cui è stato considerato l’attuale vicolo cieco morto tra Israele e i Palestinesi, durante le elezioni del 2012 negli Stati Uniti. Come ha però detto la primavera scorsa il Generale James Mattis, capo del Comando centrale statunitense, cioè la formazione militare responsabile del Medio Oriente, il conflitto israelo-palestinese è una “fiamma preminente che continua a mantenere in ebollizione la situazione in Medio Oriente , specialmente perché il Risveglio Arabo ha fatto sì che i governi arabi siano più sensibili ai sentimenti delle loro popolazioni” che appoggiano i Palestinesi.

Piuttosto che muoversi verso una soluzione, tuttavia, il governo del Primo ministro Benjamin Netanyahu ha annunciato di recente ancora un’altra serie di costruzioni di insediamenti. Ci sono attualmente circa 500.000 coloni ebrei in Cisgiordania e a Gerusalemme Est, sebbene tutti questi  insediamenti costituiscano una violazione della legge internazionale. Mentre Netanyahu dice che vuole i negoziati, continua a costruire insediamenti; questo equivale a trattare il modo in cui dividersi una pizza, mentre una delle parti la sta già mangiando.

Le proposte di annessione della Cisgiordania, che una volta erano il programma dei coloni dell’estrema destra, ora sono diventati convenzionali. Una conferenza svoltasi  lo scorso luglio nella città di Hebron, in Cisgiordania, ha radunato più di 500 israeliani che rifiutano l’idea di uno stato palestinese. Il raduno comprendeva molti funzionari dell’importante partito Likud e membri della Knesset. Il Likud è il partito di Netanyahu e attualmente guida il governo israeliano.

“Amici, ognuno che è qui oggi sa che c’è una soluzione -applicare la sovranità [alla Cisgiordania]. Uno stato per il popolo ebraico con una minoranza araba,” ha detto ai presenti il membro della del Likud e della Knesset, Tzipi Hotovely.

L’organizzatore della conferenza, Yehudit Katsover ha parlato francamente dell’argomento: la terra di Israele appartiene al popolo ebraico. Perché? Perché sì!”

Un argomento importante contro l’annessione della Cisgiordania è che diluirebbe il carattere ebraico di Israele e minaccerebbe le istituzioni democratiche del paese. “Fino a quando in questo territorio a ovest del fiume Giordano c’è soltanto un’entità politica che si chiama Israele, dovrà essere o non-ebraica o non-democratica,” sostiene il ministro della Difesa Ehud Barak. “Se questo blocco di milioni di Palestinesi non può votare, quello sarà uno stato con l’apartheid.”

I partecipanti di destra alla conferenza hanno accantonato questo argomento perché rifiutano che ci sia una minaccia demografica da parte dei Palestinesi. Secondo il giornale The Times of Israel, l’ex ambasciatore  a Washington Yoram Ettinger, ha detto alla folla che le stime del numero della popolazione palestinese sono basate sulla”incompetenza palestinese o su menzogne” e che in realtà c’è un milione di meno del conteggio ufficiale della popolazione.

L’esperto legale Yitzak Bam ha detto che si aspettava che non ci sarebbe stata una ricaduta da parte degli Americani se Israele annetteva unilateralmente la Cisgiordania, dal momento che Washington non ha protestato nel  per l’annessione del 1981 delle Alture del Golan da parte della Siria. Entrambe le zone sono state conquistate nella guerra del 1967.

L’inviato di The Times of Israel, Rapahel Ahern, scrive che la conferenza riflette il fatto che “coloro che sono favorevoli all’annessione hanno sempre più sicurezza e chiedono in maniera esplicita quello che hanno sempre sognato ma che non hanno mai osato dirlo così pubblicamente.”

Gli insediamenti in espansione stanno rapidamente stanno rendendo impossibile  la probabilità della soluzione dei due stati.  Alla fine non rimarrà nessuna pizza da dividere.

L’Amministrazione Obama non ha evitato di interessarsi di questo argomento e ha bisogno di impegnarsi di nuovo  per non far traboccare la “pentola”.

Per prima cosa è necessario dire al governo di Tel Aviv che deve cessare ogni tipo di espansione di insediamenti, e che non riuscire a farlo causerà la sospensione degli aiuti. A circa 3,4 miliardi di dollari all’anno, Isarele è il beneficiario numero uno degli aiuti stranieri che arrivano dagli Stati Uniti.

Seconda cosa, gli Stati Uniti devono smettere di bloccare gli sforzi dei Palestinesi per il riconoscimento da parte dell’ONU.

Terza cosa, i negoziati non devono occuparsi soltanto della Cisgiordania e di Gaza, ma anche dello status di Gerusalemme Est. Questa ultima è il motore dell’economia palestinese, e senza di essa uno stato palestinese non sarebbe fattibile.

Iran

Il pericolo immediato di una guerra con l’Iran sembra essersi lievemente ridotto, sebbene gli Israeliani siano sempre un po’ un’incognita. Prima, l’amministrazione Obama ha esplicitamente rifiutato la “linea rossa” di Netanyahu che avrebbe scatenato un attacco contro l’Iran. Il primo ministro israeliano sostiene che non si deve permettere all’Iran di acquisire la “capacità” di produrre armi nucleari, una formulazione che abbasserebbe di  molto la soglia per un assalto. Secondo, ci sono voci insistenti che gli Stai uniti e l’Iran stiano esaminando la possibilità di colloqui a due, e sembra che alcune forze all’interno che appoggiano i colloqui, precisamente l’ex presidente Ayatollah Akbar Hashemi Rafsanjani – siano in ascesa.

Netanyahu continua a minacciare la guerra, ma praticamente tutto il suo apparato militare e dei servizi segreti si oppone a un attacco unilaterale. I servizi segreti di Israele non sono convinti che l’Iran stia costruendo una bomba, e i militari israeliani non credono di avere le forze o le armi per fare l’impresa di eliminare le infrastrutture nucleari dell’Iran. Anche i sondaggi indicano l’opposizione schiacciante  tra il pubblico israeliano a un attacco unilaterale. Questo non significa che Netanyahu non attaccherà l’Iran, ma soltanto che il pericolo non sembra immediato. Se Israele dovesse scegliere di avviare una guerra, l’Amministrazione Obama dovrebbe dire chiaramente che Tel Aviv agisce per conto proprio.

I servizi segreti statunitensi e il Pentagono pensano  quasi come gli Israeliani per quanto riguarda il programma nucleare dell’Iran. Perfino avendo il loro potente esercito, i generali statunitensi non sono convinti che un attacco otterrebbe molto di più che ritardare il programma dell’Iran da tre a cinque anni. A questo punto, almeno, il Pentagono preferirebbe parlare invece che combattere. “Abbiamo l’impressione che il regime iraniano sia un protagonista razionale,” dice il generale Martin Dempsey, presidente dei Capi di stato maggiore riuniti. I sondaggi indicano anche che  quasi il 70% del pubblico americano è a favore  dei negoziati rispetto a fare una guerra. In breve, un sacco di persone in fila pronte per organizzare bene un accordo.

Gli Stati Uniti, tuttavia non possono fare dell’accrescimento  dell’uranio un limite da non superare. L’Iran ha il diritto di accrescere il combustibile nucleare in base al Trattato di non-proliferazione. (Non-Proliferation Treaty -NPT), e finché sul posto  ci sono gli ispettori – come accade attualmente – è praticamente impossibile creare in segreto combustibili per le bombe.

Non soltanto i servizi segreti non sono riusciti a dimostrare che l’Iran sta creando un programma di armi nucleari, ma il capo della nazione ha esplicitamente rifiutato  un passo del genere. “La nazione iraniana non ha mai cercato di avere armi nucleari e mai le cercherà,” dice il supremo capo del paese, l’Ayatollah Khamenei, definendo le armi nucleari “un grande e imperdonabile peccato.” Il governo iraniano ha anche indicato che  prenderà parte a una conferenza promossa dell’ONU a Helsinki per creare una zona libera da armi nucleari in Medio Oriente.

L’Amministrazione Obama dovrebbe approvare questo sforzo di abolire le armi nucleari in Medio Oriente, anche se questo  la costringerà ad affrontare l’unica potenza nucleare del Medio Oriente: Israele. Israele non è un firmatario del NPT e si pensa che abbia circa  200 armi nucleari. un monopolio non può resistere a lungo. L’argomento che Israele ha bisogno di armi nucleari perché è così  superato nella regione, è una sciocchezza. Israele ha le forze armate di gran lunga più forti del Medio Oriente e protettori potenti nella NATO (North Atlantic Treaty Organization- Organizzazione del Patto del Nord Atlantico). Mentre l’Egitto e la Siria hanno davvero attaccato Israele nel 1973, lo hanno fatto per riprendersi i territori presi da Tel Aviv nella guerra del 1967, non per tentare di distruggere il paese. E questo è accaduto quasi 40 anni fa. Da allora Israele ha invaso il Libano due volte e Gaza una volta. Sono i paesi della regione che temono Israele, non il contrario.

Mentre la Casa Bianca ha di recente ridotto le restrizioni sulla vendita di medicine essenziali all’Iran, le sanzioni stanno  esigendo un terribile tributo dall’economia e dagli Iraniani di condizioni medie. Finora gli Stati Uniti non hanno detto esplicitamente che elimineranno le sanzioni se i colloqui mostrano un vero progresso. Dal momento che nessuno ama negoziare con una pistola alla tempia – sotto questo aspetto gli Iraniani non sono per nulla diversi dagli Americani – ci dovrebbe essere un po’ riduzione in buona fede di alcune delle restrizioni più onerose, come quelle sui servizi bancari internazionali  e sulle vendite di petrolio.

Infine, l’opzione della guerra deve essere ritirata. Minacciare di bombardare la gente per far sì che non producano armi nucleari stimolerà certamente l’Iran (e altri paesi) a fare esattamente il contrario. Una guerra con l’Iran sarebbe anche illegale. Il Procuratore generale  Britannico ha di recente informato il parlamento che un attacco all’Iran violerebbe la legge internazionale, perché l’Iran non pone un “rischio chiaro e attuale”, e ha raccomandato che agli Stati Uniti non venga permesso di usare l’isola di Diego Garcia nell’Oceano Indiano, controllata dalla Gran Bretagna, per lanciare un tale attacco.

Il Golfo

Dato che gli Stati Uniti dipendono dalle risorse energetiche dei paesi del Golfo Persico, e anche dai diritti strategici di base è improbabile che l’Amministrazione Obama sfiderà le polizie nazionali ed estere dei suoi alleati nella regione. Allora Washington non dovrebbe però fingere che le sue politiche abbiano qualche cosa a che fare con la promozione della democrazia.

I paesi che costituiscono il Consiglio di Cooperazione del Golfo, con a capo il Qatar e l’Arabia Saudita, sono monarchie che non soltanto reprimono il dissenso, ma opprimono anche le donne e le minoranze e, nel caso del Bahrein, la minoranza Sciita. Le organizzazioni jihadiste estreme che i paesi del Golfo finanziano e armano, stanno destabilizzando i governi in tutta la regione en in tutta l’Asia Centrale. Washington forse si lamenta dell’estremismo in Pakistan, ma i suoi alleati nel Golfo possono reclamare la parte del leone del merito di allevare i gruppi responsabili di quell’estremismo.

Il Consiglio del Golfo non è interessato a promuovere la democrazia -in effetti il pluralismo politico è uno dei suoi grandi nemici, ne ha interesse per il modo moderno, a parte le macchine vistose e i jet personali. L’estate scorsa in Arabia Saudita hanno giustiziato un uomo perché “possedeva libri e talismani dai quali imparava a fare del male agli adoratori di Dio,” e l’anno scorso hanno decapitato un uomo e una donna per stregoneria. Infine, l’Amministrazione Obama dovrebbe ripudiare la Dottrina Carter del 1979 che permette agli Stati Uniti di usare la forza militare per garantire l’accesso alle risorse energetiche in Medio Oriente. Teorie di questo tipo sono passate di moda insieme alle cannoniere del 19° secolo e pendono come una spada di Damocle su qualsiasi paese della regione che potrebbe decidere di ricavarsi una linea indipendente riguardo alla politica e all’energia.


Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: http://www.zcommunications.org/middle-east-the-next-four-years-by-conn-hallinan

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