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10.11.12.13 dic 2012

“Democrazia coloniale, Primavera Araba e Siria”
di Nassar Ibrahim


L’analisi dello scrittore palestinese Nassar Ibrahim, direttore dell’Alternative Information Center sugli sviluppi della Primavera Araba e gli effetti che il colonialismo occidentale ha e ha avuto sulle rivoluzioni dei Paesi arabi.

Introduzione

Nella maggior parte delle discussioni che ho avuto con intellettuali europei, attivisti e amici, ho sempre avuto la sensazione che ci fosse un enorme differenza nel modo di guardare agli eventi della Primavera Araba, in particolare a quelli che riguardano la Siria. Il problema principale sorge dalla diversa interpretazione dei concetti di democrazia, libertà e diritti umani. Anche se le intenzioni di tutti erano buone e nobili e anche se abbiamo concordato sul valore fondamentale di questi concetti, abbiamo  comunque diverse posizioni  verso le rivolte del mondo arabo.

Attualmente, il modo in cui questi  concetti  vengono utilizzati è spesso confuso e fuorviante. Gli Stati e i mezzi d’informazione hanno iniziato ad usarli arbitrariamente per descrivere la cosiddetta “Primavera Araba” ed in particolare gli eventi siriani. Come risultato è emersa una grande contraddizione tra la sua essenza e la sua traduzione nella realtà. Creando così confusione e dubbi tra le società arabe. Molti gruppi sociali, invece di essere attratti dall’idea di democrazia, libertà e diritti umani, rimangono calmi e perplessi nei confronti del processo di cambiamento che avviene nei loro Paesi, travolti da divisioni, sangue e caos.

Questo solleva una domanda: i concetti di democrazia, di libertà e di diritti umani hanno lo stesso significato sia per i popoli occidentali che per i popoli arabi? Se siamo d’accordo sullo stesso significato, perché la posizione verso la Primavera Araba è diversa? Se non siamo d’accordo sul significato, da dove deriva tale differenza? Come possiamo raggiungere ancora un’unità comune su tali valori senza danneggiare il cuore del concetto da un lato e le peculiarità di ogni società dall’altro?

I sociologi confermano che l’esportazione o l’importazione di concetti da una società all’altra è estremamente pericoloso. Tuttavia, ciò non significa che lo scambio di idee e esperienze tra le varie società sia impossibile. Al contrario, la storia umana è una,  nonostante la sua varietà nel tempo e nello spazio. La traduzione delle esperienze è pericolosa quando si ha a che fare con un concetto – in questo caso democrazia, libertà e diritti umani – che è il prodotto di un particolare sviluppo storico e di un dato contesto socio-politico (ad esempio, quello europeo) che si tenta di imporre con la stessa struttura ad una realtà sociale diversa (ad esempio, quella araba).  Una simile manovra non tiene in considerazione gli effetti che questa traduzione può avere sulle priorità, gli obbiettivi, la cultura e la struttura di una particolare società.

In questo articolo non mi interessa cambiare le politiche di Barack Obama, di Holland o di Cameron. Non sono neanche disposto a cambiare i punti di vista dei principi arabi sauditi e di Erdogan. Il mio obiettivo non è nemmeno quello di ottenere un consenso tra i salafiti, i wahhabiti o i gruppi estremisti. Stanno alzando la bandiera della democrazia, della libertà e dei diritti umani per ragioni e per obiettivi che sono totalmente diversi da quelli della stragrande maggioranza dei cittadini europei.  Ma non intendono la stessa cosa: sfruttano la bandiera della democrazia per controllare il processo di cambiamento nel mondo arabo e per tenere  le società arabe sotto l’ombrello occidentale. I migliori esempi ne sono i gruppi estremisti che combattono in Siria e la retorica dei regimi nei Paesi del Golfo.

In questo articolo, mi preoccupo per quelli che credono davvero nella democrazia, nella libertà e nei diritti umani, per quelli che sono pronti a lottare per la dignità umana ovunque essa sia, per coloro che si oppongono ad ogni forma di oppressione, di occupazione e di discriminazione e per coloro che credono nella giustizia e nei diritti politici, culturali ed economici per tutte le persone.

Quindi, se siamo in grado di individuare un significato comune di democrazia, libertà e diritti umani per i popoli occidentali ed arabi, perché la sua relativa collocazione nel contesto della cosiddetta Primavera Araba è cosi problematico?

Il contesto

La moderna divisione del mondo arabo tra i poteri coloniali, Francia e Gran Bretagna, è il risultato di una chiara strategia coloniale cominciata nel 1916 con l’accordo di Sykes-Picot e la fine della Prima Guerra Mondiale. Il piano prevedeva la creazione di Stati fantoccio – specialmente nel Golfo – soggiogati agli interessi occidentali. L’obiettivo era ottenere controllo assoluto delle risorse naturali, in particolare del petrolio.

Come conseguenza, fin dalla Prima Guerra Mondiale, i popoli arabi hanno assistito ad una continua perdita delle libertà e dei diritti e hanno sognato e lottato per l’unità, la libertà e la dignità.

Così, la decisione del giovane tunisino Mohammed Bou-Azizi di darsi fuoco il 17 dicembre 2010 non è stata solo la reazione alla sua misera condizione economica o alle umiliazioni inflittegli dalla polizia tunisina. L’azione di Bou-Azizi ha illuminato la notte di oltre 300 milioni di arabi che vivevano sotto il pesante fardello della sofferenza, la repressione, la marginalizzazione e l’assenza di diritti umani. Il popolo ha lottato contro i propri regimi, regimi autoritari ma fantoccio, dipendenti dai diktat occidentali.

Da una parte, il loro obiettivo era lottare per uno Stato democratico moderno come punto di partenza per l’ottenimento dei diritti individuali e collettivi. Ma dall’altra parte, lo scopo era anche quello di creare uno Stato sovrano all’interno delle sfide internazionali, e soprattutto uno Stato capace di lottare contro l’occupazione israeliana della Palestina. Tale aspirazione è divenuta chiara con le proteste di masse del popolo egiziano contro il nuovo presidente Morsi e il suo passo lento e senza sostanza verso il cambiamento.

La frustrazione è stata dovuta non solo ai molti elementi di continuità con il regime di Mubarak riguardo la politica interna, ma anche alla mancanza di iniziative sul piano esterno, verso la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale e verso il mondo arabo. L’interdipendenza di politiche estere e interne non è una peculiarità della prospettiva araba. Lo stesso approccio dovrebbe essere applicato quando si analizza il ruolo dello Stato nazionale nel tempo della globalizzazione e della rivoluzione tecnologica.

Le politiche di Stato interne ed estere sono interconnesse e non possono essere separate se non per speculazioni intellettuali, fino a quando democrazia, libertà e diritti umani rappresenteranno un concetto olistico. In altre parole, uno Stato non può essere democratico e rispettoso della libertà e dei diritti umani all’interno e allo stesso tempo colonialista e dittatoriale nella politica estera. Prima o poi il disequilibrio verrà fuori: può bastare la veloce menzione della guerra americana al terrorismo e i suoi effetti diretti sulle politiche interne e sui diritti e le libertà dei suoi cittadini.

Diritti umani e democrazia: conquiste europee

Il ruolo dello Stato e il suo grado di sovranità evidenziano il dilemma della democrazia, della libertà e dei diritti umani durante la  Primavera Araba e la confusione tra l’esperienze occidentali e quelle arabe. Nelle società europee, il concetto di democrazia, libertà e diritti umani è il risultato di lunghe conquiste storiche. Il moderno Stato nazionale è una delle più importanti conquiste occidentali – rappresenta il quadro in cui questo concetto è nato, incontrando le aspirazioni dei cittadini.

Il consolidamento di questi valori nelle città occidentali non è stato determinato da un unico passaggio improvviso, ma è il risultato di lunghe rivoluzioni politiche, sociali, economiche e culturali contro i regimi conservativi che cercavano di respingere il progresso sociale.

Come qualsiasi altro processo di cambiamento radicale nella storia dell’umanità, questi risultati non sono solo una questione di sviluppo della consapevolezza, ma richiedono anche delle lotte sociali per tradurre gli ideali e i valori in realtà tangibili. In effetti, la realtà è formata da contingenti condizioni economiche, politiche e culturali che i diversi movimenti sociali si trovano a dover affrontare. La trasformazione sociali non è mai stata un semplice processo mentale, ma è legata ai cambiamenti sul terreno. Per queste ragioni, non è possibile analizzare il concetto di “democrazia, libertà e diritti umani” ignorando l’importanza dei cambiamenti, a livello politico,economico, sociale e culturale  imposti alle società occidentali dalla rivoluzione industriale.

Il concetto di cittadinanza è stato creato e lo Stato nazionale moderno è diventato il luogo in cui i diritti dei cittadini vengono riconosciuti e rispettati. Tenendo a mente questo fatto, le conquiste dei cittadini europei in termini di democrazia, libertà e diritti umani, sono ovviamente il risultato del rapporto dialettico tra gli sviluppi sociali, economici, politici e culturali e la crescita del moderno Stato-nazione. Con questo termine s’intende uno Stato che può soddisfare le esigenze dei propri cittadini, tra  cui uno sviluppo sostenibile e continuo in ambito politico, sociale ed economico. Se non ci fosse stato un equilibrio tra la struttura e la sovrastruttura della società, questi diritti non sarebbero stati assicurati.

E’ da qui che deriva il concetto di società civile in Europa, che va considerata una risposta popolare e sociale al ruolo coercitivo dello Stato. La lotta della società civile è il risultato della necessità  di affrontare le contraddizioni esistenti all’interno dello Stato per difendere i diritti e gli interessi dei diversi attori sociali. Tuttavia, allo stesso tempo, tali cambiamenti sono avvenuti nel rispetto del ruolo dello Stato sovrano, proteggendo comunque i risultati ottenuti dalla società durante i lunghi anni di lotta. In breve: i cambiamenti sono stati il risultato di processi interni che non erano soggetti a dettati esterni.

Pertanto, la suddetta analisi chiarisce da dove proviene la differenza sul concetto di democrazia, libertà e diritti umani. Anche se c’è un accordo sui valori e sui principi, al giorno d’oggi il parlamento europeo e le società arabe sono in possesso di una diversa interpretazione degli aspetti essenziali del concetto.

Il dilemma della democrazia nella Primavera Araba

Alla luce di questa analisi, dobbiamo tornare indietro alla prima questione e provare a capire dove le esperienze di Occidente e mondo arabo si incontrano e dove si differenziano nell’ambito dei concetti di democrazia, libertà e diritti umani.

Nel mondo arabo, il concetto ha due principali dimensioni:

La prima dimensione è relativa ai diritti fondamentali di tutti i cittadini dello Stato e comprende libertà personali e sociali – la libertà di espressione e pensiero, lo Stato di diritto e la separazione dei poteri – e tutti i diritti umani fondamentali riconosciuti dalle convenzioni internazionali, come le uguali opportunità di lavoro, il diritto al lavoro e alla salute, le relazioni di genere, la protezione dei bambini e così via. A questo livello, le società arabe applicano un concetto universale di diritti umani, simile a quello del mondo occidentale.

Tali diritti devono essere assicurati rispettando gli specifici bisogni della comunità al fine di garantire una rinascita politica, economia e culturale della società. Una volta che la libertà politica e sociale è riconosciuta, la società è in grado di occuparsi delle proprie priorità. Ad esempio, se consideriamo i diritti economici, prima di tutto è necessario definire l’elemento principale del processo di sviluppo della società così da massimizzare le risorse naturali ed umane. Il concetto di democrazia, libertà e diritti umani, tuttavia, è molto di più di un processo teorico. È un processo costruttivo basato su condizioni materiali e deve fare riferimento alla realtà sociale in tutte le sue diverse componenti.

Ciò spiega il fallimento dei tentativi di imporre i modelli di sviluppo economico e democratico occidentali ai Paesi del cosiddetto Terzo Mondo e in particolare ai Paesi arabi, sotto i diktat della Banca Mondiale e delle politiche di dipendenza economica.

Si può concludere che la democrazia e la libertà sono il risultato di scelte socio-politiche interne. Tali scelte devono basarsi sulle esperienze storiche e culturali della società e sulle battagli e i cambiamenti che coinvolgono la maggior parte della popolazione.

Questa prima dimensione è legata alla seconda.

La seconda dimensione è correlata al concetto di sovranità nazionale: uno Stato è sovrano se è in grado di mantenere l’unità del suo popolo e del suo territorio e di proteggere le risorse nazionali e strategiche per il bene dei suoi cittadini e delle future generazioni. Tale dimensione rappresenta la colonna portante che rende il processo di cambiamento democratico possibile. La società può affrontare sviluppi profondi solo se lo Stato ha un ruolo centrale forte nel determinare le priorità della sua popolazione e nell’organizzare l’utilizzo delle sue risorse umani e materiali. In altre parole, il cambiamento democratico è possibile solo se il concetto di cittadinanza è definito e se c’è un reale sviluppo della società basato sui principi di giustizia, diritti umani e Stato di diritto.

Questo è un punto cruciale che va tenuto in considerazione nell’analisi dei Paesi arabi. La democrazia non è una procedura, ma il risultato dell’interazione tra le diverse componenti sociali nelle loro specificità. È estremamente importante sottolineare il ruolo centrale di uno Stato nazionale, non dipendente dall’egemonia occidentale e dalle imposizioni delle priorità straniere. Come provato dalla storia, l’intervento esterno è uno dei principali fattori che ha provocato il sottosviluppo di tali Paesi, lo sfruttamento delle loro risorse e la paralisi dei processi di cambiamento. Inoltre, le forze esterne hanno contribuito al mantenimento di regimi dittatoriali per decenni nella maggior parte del mondo arabo.

In questo contesto va analizzato come l’occupazione israeliana è percepita dalla coscienza araba. La lotta palestinese è un assioma nella mente dei popoli arabi ed è parte dell’esperienza storica delle società arabe che non può essere dimenticato. Inoltre, ogni processo di cambiamento in uno qualsiasi dei Paesi arabi deve porre la Palestina e la lotta contro l’occupazione israeliana tra le sue priorità. Non è una mera questione morale o di dignità. L’occupazione israeliana è stata considerata per decenni come una delle principali ragioni della paralisi democratica. Ha sfruttato le risorse umane e naturali dell’area e ha spinto la regione in guerre cruente e sanguinarie. Nel mondo arabo, l’occupazione israeliana contraddice totalmente il concetto di sviluppo, di libertà e di diritti umani e incoraggia le divisioni e le alleanze con i regimi più reazionari. Inoltre, nel mondo arabo e in particolare in Palestina, la lotta contro l’occupazione israeliana è una delle componenti fondamentali del concetto di democrazia e libertà.

Alla luce di questa analisi, il collegamento tra la prima e la seconda dimensione si fa chiara. Dimenticare la seconda dimensione significherebbe vivere nell’illusione della democrazia e della libertà, in una realtà in cui i cittadini hanno il diritto di votare ma vivono di fatto in uno Stato nel quale l’obiettivo dell’élite è di impossessarsi delle risorse del popolo, di legittimare la corruzione e di mantenere un sistema di poteri che nega gli interessi nazionali e popolari. Le élite di governo nel contesto neocoloniale a cui sono soggetti gli Stati hanno il solo interesse di difendere i padroni esterni come condizione per mantenere il loro potere. Dimenticare il processo storico di indipendenza statale che distingue lo sviluppo dei moderni Stati europei – è che è conditio sine qua non anche per i Paesi arabi – significa finire nella strada senza uscita degli Stati burattini e delle repubbliche delle banane. Si tratta di Stati formalmente indipendenti, ma nella realtà subordinati all’egemonia esterna. Ciò conduce inevitabilmente ad una discrepanza tra i diritti degli individui e quelli nazionali in uno Stato sovrano.

Altri esempi possono velocemente chiarire la rilevanza di tali argomenti, come la reazione dei poteri capitalisti alla crisi finanziaria che ha afflitto gli Stati occidentali negli ultimi tre anni. Quello a cui abbiamo assistito è stata la graduale confisca del ruolo nazionale dello Stato attraverso la privatizzazione del settore pubblico, dall’educazione alla sanità, dall’acqua all’elettricità. Il risultato di questa crisi economica esterna è stato la preoccupante trasformazione delle politiche interne di Stato e il pericoloso attacco al cuore della democrazia, della libertà e dei diritti umani. In altre parole, i cittadini occidentali hanno subito la dipendenza dalle istituzioni capitaliste e compreso come queste danneggino i diritti del popolo.

Allo stesso tempo, negare la prima dimensione porterebbe a vivere in uno Stato autoritario che legittima repressione e dittatura nel nome della difesa dei più alti interessi nazionali. Se i cittadini temono lo Stato e non godono di diritti e libertà, è impossibile preservare la dignità e la sovranità nazionali. Questa è la situazione dei regimi di polizia, dove il ruolo e l’obiettivo dello Stato non è più la protezione dei diritti dei cittadini, ma è la repressione e l’oppressione del popolo al fine di mantenere il potere.

Il dilemma della democrazia, della libertà e dei diritti umani negli Stati della Primavera Araba riposa tra queste due dimensioni. Il dilemma ha provocato una situazione di grande confusione, di dubbi e paura per il futuro e ha aperto le porte agli interventi esterni negli affari interni. Senza dubbio, le politiche coloniali hanno giocato un ruolo fondamentale nel distorcere il percorso delle rivolte, che perdurerà fino a quando l’obiettivo dell’Occidente non sarà l’implementazione di una democrazia reale nelle società arabe. Infatti, Stati Uniti e molti Paesi dell’Unione Europea hanno usato tutto il loro potere politico, strategico, economico, mediatico – e in alcuni casi militare – per imporre il modello della democrazia coloniale e controllare i Paesi arabi.

In Tunisia, dopo la veloce caduta dello storico alleato Zine al-Abidine Ben ‘Ali, i Paesi occidentali hanno provato a mantenere lo Stato sotto l’egemonia occidentale attraverso la creazione di una nuova alleanza con i Fratelli Musulmani saliti al potere. In tale contesto, sebbene numerosi attori della società civile tunisina abbiamo mostrato grande preoccupazione per il concetto dei democrazia del nuovo governo (in primis nel ruolo delle donne), l’Occidente non ha chiesto il rispetto degli standard democratici. Al contrario, ha sostenuto i nuovi poteri democraticamente eletti anche se il prezzo pagato dalla popolazione è stato il peggioramento del rispetto del diritto di espressione e dei diritti delle donne, obiettivi raggiunti dopo anni di lotta.

In Libia, la NATO ha giocato un ruolo sostanziale nel processo di cambiamento. I Paesi occidentali, con la scusa di proteggere democrazia e diritti umani, hanno lanciato una guerra per controllare il petrolio e includere la Libia nell’orbita occidentale – la stessa cosa successa qualche anno prima con Saddam Hussein in Iraq. Nel momento in cui l’Occidente ha guadagnato il controllo della Libia, ha smesso di preoccuparsi di democrazia e diritti umani. Oggi nessuno sembra interessato agli omicidi giornalieri tra le frange estremiste libiche, né alla creazione di un sistema politico che non rispetta i diritti dei cittadini e non risponde ai bisogni della popolazione.

Ma l’esempio più eclatante del ruolo giocato dai Paesi occidentali nella Primavera Araba è l’Egitto, lo Stato che da sempre leader politico, culturale, economico e morale del mondo arabo. Qui, gli Stati Uniti hanno stretto una forte alleanza con i Fratelli Musulmani, che fino a poco prima erano considerati un pericoloso nemico. L’accordo è chiaro e semplice: se i Fratelli Musulmani rispettano gli interessi americani in Egitto e gli accordi firmati con Israele, se tengono sotto controllo il loro braccio palestinese e se considerano l’Iran una minaccia diretta, allora “possono fare ciò che vogliono a livello interno”. Inoltre, gli Stati Uniti hanno offerto al nuovo governo egiziano il loro sostegno economico attraverso la Banca Mondiale e attraverso gli investimenti provenienti dai Paesi del Golfo, come Qatar e Arabia Saudita.

L’esperienza in Yemen non si differenzia dal contesto. Il movimento popolare è stato bypassato dal Consiglio di Cooperazione del Golfo, che ha convinto il presidente Ali Abdallah Saleh, alleato USA, a lasciare ma non ha modificato la struttura del sistema. Naturalmente, l’iniziativa è stata benedetta dagli Stati Uniti e dalla maggior parte dei Paesi europei, anche se la popolazione yemenita non ha smesso di manifestare chiedendo cambiamenti radicali.

Anche in Bahrein il popolo ha chiesto democrazia, libertà e rispetto dei diritti umani. Tuttavia, né gli Stati Uniti né l’Unione Europea hanno fatto nulla per fermare la repressione dei tank sauditi.

Gli eventi occorsi nei Paesi arabi, Tunisia, Egitto, Libia, Yemen e Bahrein, mostrano che il dilemma della democrazia esiste ancora. In questi Paesi la struttura dei precedenti regimi è rimasta e i popoli continuano a lottare per ottenere vera libertà e democrazia – non solo elezioni libere ma anche giustizia sociale, diritti umani e implementazione delle richieste culturali, economiche e politiche. Lottano per l’indipendenza nazionale dalle imposizioni dei governi occidentali e della Banca Mondiale. Chiedono e lottano per la creazione di uno Stato indipendente con piena sovranità che possa assumere decisioni autonome sulla politica estera. E tra l’altro, chiedono il sostegno alla lotta palestinese contro l’occupazione israeliana.

La sfida siriana

Arrivati a questo punto e’ estremanente importante capire come tradurre il concetto di “democrazia, liberta’ e diritti umani” nel contesto siriano. Perche’ la primavera araba non e’ riuscita ad avere un successo, anche se il movimento e’ iniziato piu’ di un anno e mezzo fa? Perche’ c’è stato un forte tentativo, che continua tuttora, di distruggere lo Stato nazionale siriano e di far cadere il regime siriano? Perche’ i paesi occidentali hanno iniziato, indirettamente, una guerra globale in Siria? Perchè i tentativi d’intervento da parte dell’occidente e dei paesi del Golfo non hanno avuto molto successo nell’attirare la gran parte della popolazione siriana? Quale e’ il collegamento tra “ democrazia e diritti umani” e il reclutamento e la formazione di decine di migliaia di militanti appartenenti ad al-Aqaeda, ai Salafiti ed ai gruppi Wahabiti? Perche’ queste campagne politiche, mediatiche e militari, non sono state in grado di distruggere l’unita’ del popolo siriano?

Al fine di trovare una risposta a queste domande, dobbiamo analizzare a fondo le specificita’ del caso siriano. Naturalmente, questo paese ha dei comuni denominatori con gli altri Stati arabi, ma allo stesso tempo, ci sono diversi fattori che rendono la Siria unica. Pertanto, il processo di cambiamento siriano e’ messo di fronte a difficili e complicate sfide che possono spiegare le sconfitte politiche, morali e culturali da parte dei paesi occidentali nel loro tentativo di “esportare la democrazia coloniale” in Siria.

Ecco un punto che deve essere sottolineato: nessuno nega che in Siria ci sia stata una spontanea volonta’ di cambiamento, riforme, democrazia e diritti umani, come e’ accaduto in altri Paesi arabi. Il popolo siriano ha il diritto e il dovere di lottare contro la repressione, la corruzione e la dittatura. Tuttavia, il movimento popolore e sociale e il processo di cambiamento deve avvenire entro alcune regole e principi che assicurano che non ci sia un processo di distruzione e che la popolazione siriana non sarà privata dalla propria volonta’.

In primo luogo, la maggior parte dei siriani sanno che qualsiasi processo di cambiamento nel  Paese deve comunque preservare l’indipendenza e la sovranita’ del loro Stato nazionale. Lo Stato siriano, in particolare, e’ il risultato di sacrifici e di lotte storiche contro le potenze coloniali, dall’occupazione Ottomana sino all’occupazione israeliana del Golan siriano. Tutte queste esperienze storiche giocano un ruolo fondamentale nella memoria collettiva siriana. Pertanto, e’ necessario sottolineare che la stragrande maggioranza dei siriani è contraria all’intervento occidentale e all’occupazione israeliana, e lotta contro il tentativo occidentale di trasformare il loro Stato nazionale in uno Stato-burattino. Ogni processo di cambiamento che non rispettera’ queste regole e’ destinato a fallire.

In secondo luogo, al fine di comprendere il comportamento del popolo siriano, e’ importante ricordare il ruolo chiave che ha avuto la Siria nella ricerca di unire il mondo arabo nel nome del Panarabismo. Per secoli, fin dal periodo Ommayyad, Damasco e’ stata il centro del mondo arabo. Di conseguenza, nella percezione dei siriani, e’ un dovere resistere e opporsi a qualsiasi tentativo d’emarginazione o d’interferenza negli interessi nazionali siriani.

In terzo luogo, nell’autopercezione siriana, c’e una generale sensazione d’orgoglio delle loro conquiste culturali, poitiche ed economiche ottenute nel corso della storia. I siriani sono orgogliosi del ruolo storico-culturale svolto dal loro Paese nella regione e nel mondo arabo, dato che è stata la culla del piu’ grande impero islamico – la dinastia Ommayyad. Inoltre, la coscienza collettiva siriana e’ basata sul concetto di coesistenza di diversi gruppi sociali e religiosi in cui ogni singolo attore sociale ha lo stesso e pari ruolo – musulmani, cristiani, alawiti, sunniti, curdi e drusi hanno vissuto insieme sin dai primi tempi della storia umana.

Un quarto punto da ricordare e’ che la Siria si considera il punto di riferimento del diritto religioso islamico. In altre parole, la Siria e’ una delle fonti dell’Islam e le sue pratiche religiose dipendono da cio’ che decidono gli Ulemas siriani. I dettami esterni non sono considerati legittimi e questo spiega perche’ le fatwa (sentenze religiose) provenienti dall’estero che invitavano i siriani a rivoltarsi contro il regime non hanno avuto alcun successo. Lo stesso sistema di auto-rinvio e’ valido anche per i cristiani siriani che non attendono, come fanno i libanesi e i palestinesi, le raccomandazioni del Vaticano.

Infine, i siriani considerano il loro Stato come il risultato ottenuto da un lungo processo storico nei settori politici, culturali, economici e sociali. Pertanto, essi sono pronti a lottare per proteggere il ruolo centrale della Siria nel mondo arabo e la sua sovranita’, cosi come il supporto nazionale siriano ai movimenti di resistenza nella regione. Questo spiega perche’ qualsiasi processo di cambiamento in Siria, prima di tutto, deve mantenere e sviluppare le conquiste storiche e il ruolo dello Stato nazionale.

Percio’, qualsiasi processo di cambiamento in Siria deve massimizzare i risultati ottenuti nel passato. Qualsiasi regime alternativo che vuole essere accettato e riconosciuto dai siriani deve essere piu’ progressivo di quello attuale, deve occuparsi di prendere delle scelte strategiche  nell’ambito politico, economico, sociale e culturale.

Alla luce di questa analisi, e senza dimenticare gli aspetti negativi e repressivi dell’attuale regime al potere, possiamo affermare che Bashar al-Assad ed il partito Baath, sono il risutato di questo lungo processo storico e della lotta del popolo siriano, con tutte le sue peculiarita’. In altre parole, e’ il popolo siriano che ha creato il partito Baath e non il contrario. Se questo non fosse vero, come si potrebbe spiegare il fatto che la vasta maggioranza dei siriani continuano a sostenere il regime e lo Stato nazionale siriano nonostante tutte pressioni militari, mediatiche e politiche esterne da parte dei paesi occidentali ed i loro alleati (Turchia e i paesi del golfo), e che ha portato anche all’uccisione di quattro figure militari importanti?

Allo stesso tempo, sostenere che il regime siriano sopravive grazie al sostegno dell’Iran e alle posizioni cinesi e russe e’ una semplificazione della realta’. Senza dubbio, il supporto di questi Paesi ha avuto un ruolo importante nel rafforzamento delle capacita’ di resistenza del regime, ma al tempo stesso dobbiamo prendere in considerazione fattori diversi che hanno reso questo supporto possibile.

Il primo fattore: la Cina e la Russia non avrebbero preso questa decisione se avessero pensato che Bashar al Assad e  il ruolo dello Stato nazionale siriano fossero cosi deboli e che la maggior parte dei siriani stavano lottando per la loro estromissione.

Il secondo fattore: senza dubbio la posizione russa ha contribuito a fermare l’intervento colonialista e reazionario in Siria, sotto la copertura del Consiglio di Sicurezza (l’intervento della NATO, come ad esempio e’ avvenuto in Libia, e l’oposizione della no-fly zone e buffer zone). Tuttavia, la Russia non ha mai avuto un ruolo nella politica interna siriana: il suo scopo era quello di arrestare e condannare qualsiasi tipo d’intervento occidentale negli affari siriani senza influenzarla internamente. A questo punto una domanda deve essere posta: se 23 milioni di siriani – come afferma la propaganda occidentale  -  volevano le dimissioni del regime, perche’ ci sarebbe la necessita’ dell’ intervento della NATO, oltre allo scandalo della militarizzazione finanziata dall’esterno e l’arruolamento di migliaia di militanti per combattere il regime?

In breve, l’esperienza siriana e’ diversa dall’esperienza degli altri Paesi arabi (Tunisia, Egitto, Libia e Yemen) e’ molto interessante il ruolo e la posizione dello Stato nazionale siriano.

Prima della Primavera Araba, questi stati erano alleati con gli Stati Uniti e dipendevano dai diktat occidentali. La Siria non lo era, questo spiega perche’ la popolazione siriana ha sentito il bisogno di cambiare la politica interna senza compromettere la sovranita’ e l’indipendenza dello Stato nazionale a livello regionale ed internazionale.

Il dilemma della democrazia e dei diritti umani in Siria e’ quindi ancora piu’ problematico. Nonostante l’elevato prezzo che il popolo siriano sta pagando da piu’ di un anno e mezzo, non è disposto a far parte in maniera massiccia di un’opposizione che ha annunciato apertamente lo smantellamento del ruolo nazionale della Siria, come Burhan Galioun ha fatto da Istanbul.

La politica occidentale attuata verso il regime di Assad cerca di subordinare la Siria attraverso stretti alleati al potere, smantellando lo Stato Nazionale siriano. Ma il popolo siriano non ha riconosciuto una valida alternativa in questi gruppi militari, che apparentemente lottano per la loro “liberta”, e ha scelto di preservare lo Stato nazionale siriano e la sua politica estera, opponendosi a qualsiasi tentativo occidentale d’intervento e l’imposizione della democrazia coloniale.

Questa e’ la stessa ragione per cui i Paesi occidentali sono stati completamente in silenzio sulle proteste sociali che si sono verificate nei regimi piu’ reazionari del  Qatar, del Bahrein e dell’Arabia Saudita. Questo e’ anche cio’ che spiega l’amore occidentale, improvviso ed appassionato per i Fratelli Musulmani e per le Organizzazioni fondamentaliste ed estremiste come al-Qaeda e i Salafiti, che fino a non molto tempo fa rappresentavano il nemico numero uno.

Per concludere, e’ un insulto che il regime piu’ reazionario di Qatar o Arabia Saudita abbia sfruttato la bandiera della democrazia per includere la Siria nella loro orbita; e’ anche un insulto che gli Stati europei e gli Stati Uniti legittimano le loro guerre in nome dei diritti umani e della liberta’. Non e’ sufficiente per dichiarare il loro supporto alla democrazia, alla liberta’ e ai diritti umani. E’ anche necessario dare una definizione precisa di questo concetto, tenendo conto delle specificita’ dei paesi e le politiche interne ed esterne degli Stati. In realta’, la strada per l’inferno e’ pavimentata con persone in possesso delle piu’ nobili intenzioni.

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