(Mirko Carletti, “Il film Diaz visto da un poliziotto”, da “Paese Sera” del 31 marzo 2012. Agente della Polizia di Stato, Carletti è anche dirigente sindacale Silp-Cgil. “Diaz”, diretto da Daniele Vicari, è prodotto da Domenico Procacci, Fandango Film).


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Scritto il 17/4/12

Diaz-choc, l’agente: la polizia si decida a chiedere scusa

Grazie a “Paese Sera” ho avuto modo di assistere alla proiezione per la stampa del film “Diaz”; sono entrato in sala con la certezza, maturata in questi anni, di aver sviluppato i necessari anticorpi per una “serena e matura” visione grazie a un percorso professionale e sindacale che fin da subito mi aveva posto in antitesi con quanto avvenuto, e non senza problemi e difficoltà. Mi sbagliavo profondamente. Le immagini proiettate superano tutte le ricostruzioni mentali che avevo fatto su quanto accaduto. La ricostruzione cinematografica della “più grave sospensione dei diritti democratici in un paese occidentale dopo la seconda guerra mondiale” (Amnesty International) ti tocca nel profondo e ti fa provare un senso di vergogna facendoti sentire il bisogno di chiedere scusa al mondo intero.

Un film da vedere per non dimenticare e conservare la memoria sulla tragedia democratica che ha caratterizzato il G8 di Genova; un film sul quale confrontarsi e riflettere su come costruire la certezza che non accadrà mai più. La violenza raccontata dal film e ricostruita negli atti processuali di questo decennio è figlia di un episodio isolato o rientra in quell’oscuro filo comune che ha segnato i momenti più bui della democrazia del nostro paese? La catena di comando ha agito autonomamente o ha subito condizionamenti, diretti e indiretti, della “politica”? Quanto è cambiata la Polizia in questi 11 anni? Queste sono domande che da oltre 10 anni attendono risposte. I cittadini di questo Paese attendono risposte perché le istituzioni che dovevano assicurare i diritti delle persone e le libertà di pensiero non hanno assolto la loro funzione, e una parte di loro si sono trasformate nel male assoluto assumendo le sembianze di un demone mostruoso che ha minato la fiducia del Paese e del mondo intero.

Anticipando l’uscita del film, il Ministero dell’Interno ha diramato una circolare interna del 15 marzo 2012 stabilendo che «in concomitanza con la proiezione di numerose pellicole cinematografiche che affrontano la ricostruzione storica di eventi relativi ad attività di polizia in situazioni ordinarie e straordinarie, si ribadisce che qualsiasi intervista, partecipazione a convegni o dibattiti, va autorizzata da questo Dipartimento». Un tentativo maldestro e inutile di censura verso una categoria che non è ancora pronta a misurarsi apertamente con gli episodi di Genova e che normalmente si autocensura; l’intervento ministeriale appare più una grave interruzione del percorso di democratizzazione della polizia a 30 anni dalla sua smilitarizzazione. Un’amministrazione che si chiude evitando il confronto si allontana sempre di più da quell’idea di “polizia fra la gente” che sembrava indicare la via democratica da tutti desiderata. Un capo della polizia che apre una scuola di formazione sull’ordine pubblico e che oggi chiude ogni possibilità di dialogo e confronto sul passato, propedeutici a disegnare un futuro migliore.

Per l’amministrazione è certamente imbarazzante dover spiegare perché in Polizia quotidianamente si sospendono o destituiscono operatori sospettati o accusati di reati anche meno gravi mentre, con difformità di trattamento, quelli coinvolti negli episodi del G8 sono rimasti in servizio anche dopo le pesanti condanne di 2° grado; e perché i funzionari che hanno fatto parte della catena di comando operativa a Genova oggi ricoprono incarichi di vertice strategici sul versante operativo della Polizia di Stato, come se la “macchia di Genova” avesse agevolato la carriera interna a danno di altri funzionari.

“Diaz” è tristemente vero, costruito su atti processuali che appaiono ancora più duri, e reso ancora più realistico dalla somiglianza fra attori e personaggi reali della catena di comando; ricostruisce le assurde e immotivate scelte operative utilizzate per giustificare la “bonifica” della scuola Diaz e mostra una violenza che in questo caso non trova giustificazione o collegamento con gli episodi di piazza: una violenza gratuita che si realizza al termine del summit, nel momento di deflusso, e una ancora più sconvolgente nella caserma Bolzaneto dove si realizza un “Garage Olimpo” in versione italiana.

Oggi la polizia è ancora a rischio “Diaz”? Una cosa è certa: la democratizzazione non è ancora completata. I poliziotti non hanno ancora diritto alla libera sindacalizzazione, il taglio delle risorse economiche incide negativamente sulla formazione professionale e culturale del personale, l’accesso in polizia per effetto della legge 226/2004 avviene solo attraverso il percorso militare che svuota di significato la smilitarizzazione avvenuta con la riforma 121/81 e crea una nuova militarizzazione strisciante della Polizia di Stato.

La politica che ha spesso segnato negativamente la gestione dell’ordine pubblico del nostro Paese, creando “condizioni ambientali protette” che favoriscono la copertura e il proliferare di violenze e impunità di Stato, ha la possibilità di riscattarsi favorendo una vera e completa svolta democratica del paese e delle sue nevralgiche istituzioni. Il Capo della Polizia, davanti a tanto orrore, dovrebbe chiedere scusa al mondo intero, per rispetto di quanti hanno subìto violenze fisiche e psicologiche da operatori di quell’istituzione che oggi rappresenta, e assicurare a tutti che finalmente si potrà voltare pagina chiudendo con i fantasmi del passato. Io, le mie scuse e la mia sensazione di vergogna, le ho scritte in questo commento.

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