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22 giugno 2012

Accesso vietato al capitalismo
di Gianluca Carmosino

Per ragionare sul tema «quale cambiamento sociale con il capitalismo in crisi permanente», in «Benvenuti in tempi interessanti» (Ponte della Grazie) il filosofo Slavoj Žižek a un certo punto ricorda l’intervento di John Holloway a un congresso sul marxismo del 2010: in quell’occasione l’autore di «Cambiare il mondo senza prendere il potere» (Carta/Intra moenia) e del nuovo «Crack capitalism» (Derive Approdi) citò come esempio di «neocomunismo» quanto messo in pratica in un parco di Atene da poco occupato dai manifestanti e dichiarato zona liberata, con cartelli alle entrate che annunciavano «Accesso vietato al capitalismo!». All’interno del parco non era permesso alcun tipo di commercializzazione, la gente si limitava a riunirsi liberamente, ballare, discutere.

Liberare le relazioni sociali dall’ombra onnipresente delle logiche capitaliste, come sembrano fare gli occupanti del parco di Atene, ci sembra una chiave molto interessante con la quale individuare e spingere esperienze di trasformazione della società. Holloway e Žižek, con sfumature piuttosto diverse, suggeriscono questa chiave che a molti risulta spiazzante. Del resto, per Žižek il vero compito del pensiero critico non è offrire soluzioni ai problemi posti dalla società, ma prima di tutto riformularli. Per capire la società e trasformarla non si può prescindere da un radicale cambiamento degli immaginari e dei linguaggi con i quali raccontiamo e a volte contestiamo il potere.

Nel nuovo libro Žižek spiega come da sempre il potere comprende le istituzioni e le regole per il  controllo sociale ma anche i modi con i quali contestare il potere: pensare a nuovi modi di trasformazione sociale e di contestazione dei poteri, passaggi inevitabilmente intrecciati, resta dunque una priorità. Lo sforzo proposto da Žižek è di cominciare a leggere in modo diverso eventi al centro delle attenzioni globali. Scrive ad esempio il filosofo sloveno: «Il fatto che una nube proveniente da una piccola eruzione vulcanica in Islanda – un piccolo disturbo nel complesso meccanismo della terra – potesse paralizzare il traffico aereo su un intero continente ci ricorda che, con tutta la sua incredibile azione di trasformazione della natura, l’umanità non è che una delle specie viventi sul pianeta. Il catastrofico impatto socioeconomico di un’eruzione così piccola è dovuto al nostro sviluppo tecnologico (il trasporto aereo)… che ci rende più indipendenti dalla natura, eppure, allo stesso tempo, a un livello diverso, ci rende più dipendenti dai capricci della natura». L’osservazione di Žižek fa venire in mente l’analisi di Ivan Illich, il «padre» della critica allo sviluppo, che in «La convivialità» (splendido saggio del 1973, riedito da Boroli nel 2005) spiega, tra le altre cose, come lo sviluppo ha aggredito autonomia e creatività illudendoci: nei trasporti, ad esempio, si è passati dalla liberazione grazie al motore alla schiavitù dell’auto, rispetto alla quale la bicicletta si dimostra mediamente più veloce e ovviamente più economica e rispettosa dell’ambiente.

A differenza del Ventesimo secolo, conclude Žižek, non sappiamo cosa fare ma dobbiamo farlo subito, «perché le conseguenze dell’inazione potrebbero essere catastrofiche». Da dove cominciare? Leggendo il libro di Žižek subito dopo la lettura di «Territori e resistenza» di Raúl Zibechi e osservando quanto raccontato finora da Comune-info, ci vengono in mente un paio di «soluzioni» immediate. La prima, è partire a livello teorico quanto pratico dal problema dei commons (beni comuni), in tutte le sue dimensioni, «i commons nella natura come sostanza della nostra vita, il problema dei nostri commons biogenetici, il problema dei nostri commons culturali (la proprietà intellettuale) e, ultimo ma non meno importante, il problema dei commons quale spazio universale di umanità da cui nessuno dovrebbe essere escluso». La seconda è mettere in bella vista, nel parco sotto casa nostra nel quale andiamo a fare due passi, nel teatro o nel cinema occupato, in quell’orto urbano che conosciamo bene, nella bottega del commercio equo dove ci capita di fare la spesa, nelle biblioteca e nella ciclofficina che frequentiamo, nel centro sociale, nella sede della nostra associazione di volontariato…. il cartello con su scritto «Accesso vietato al capitalismo!».

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