THE DAILY TELEGRAPH LONDRA
19 giugno 2012

Il medioevo della democrazia
di Boris Johnson

Gli effetti devastanti dell’austerity sulla popolazione greca ci ricordano che la storia non è un’ascesa inarrestabile verso il progresso e l’illuminazione. Le civiltà possono anche tornare indietro verso i secoli bui.

Una delle più tragiche illusioni del genere umano è che il progresso sia inevitabile. Ci guardiamo attorno e tutto ci fa pensare che la nostra implacabile specie di homo diventerà sempre più sapiens: barrette di gelato Snickers, bambini in provetta e scintillanti tablet su cui puoi dipingere con i polpastrelli. Persino le valigie con le rotelle. Pensateci: siamo riusciti a mandare un uomo sulla luna 35 anni prima di inventare le valigie con le rotelle. Eppure eccole lì. Sono arrivate e hanno spazzato via le vecchie valigie. Quelle con le maniglie, quelle che trascinavamo ansimando sui binari delle stazioni.

Sono meravigliose, vero? La vita sembra impossibile senza le valigie con le rotelle. E di sicuro presto arriveranno nuove sconvolgenti invenzioni – una cura per l’acne, automobili elettriche, valigie elettriche – e rafforzeranno la nostra convinzione (superstizione) che la storia sia un ingranaggio che procede in una sola direzione, un percorso a tappe verso il nirvana di una fratellanza liberale e democratica sotto il sole del libero mercato. Non è forse questo che ci insegnano i libri, che l’evoluzione dell’umanità è un’ascesa ininterrotta e sbalorditiva?

No, niente affatto. La storia ci racconta qualcosa di diverso. Ci racconta che la marea può ritirarsi da un momento all’altro e senza che nessuno possa prevederlo, trascinandoci verso l’oscurità, lo squallore e la violenza. I romani portarono in Europa strade, acquedotti, vetro, servizi igienici e tutte le altre innovazioni della famosa lista dei Monty Python. Probabilmente, prima del declino e la caduta nel V secolo d.C., erano sul punto di inventare la valigia con le rotelle.

Da qualsiasi angolazione lo consideriate, [il crollo dell’Impero Romano] è stato un’orribile catastrofe per la razza umana. Nelle isole britanniche la gente smise di leggere e scrivere. L’aspettativa di vita si ridusse fino a 32 anni e si verificò un forte spopolamento. Le vacche dimagrivano a vista d’occhio. Il segreto dell’ipocausto fu dimenticato e i guardiani di porci infreddoliti cominciarono a costruire le loro baracche tra le rovine delle ville, distruggendone i mosaici. A Londra, un tempo vivace città romana, quell’epoca non ha lasciato tracce di abitazioni umane, fatta salva la misteriosa “dark earth” che potrebbe essere un primitivo sistema di agricoltura ma anche la conseguenza di un enorme incendio.

Ci sono voluti secoli prima che la città tornasse a ospitare un numero di persone paragonabile a quello dell’epoca romana. E se pensiamo davvero che un disastro del genere non potrebbe mai ricapitare non soltanto dimostriamo di essere arroganti, ma dimentichiamo lezioni storiche più recenti. Lasciamo perdere i templi deserti degli Aztechi o degli Inca e le spaventose strutture ad alveare della civiltà perduta del Grande Zimbabwe. Passiamo ai giorni nostri: pensate al destino degli ebrei europei, massacrati quando i nostri genitori e nonni erano ancora in vita, per volere di un governo eletto in quella che fino ad allora era stata una delle nazioni più civili del pianeta; oppure osservate le skyline delle moderne città tedesche, e rimpiangete gli edifici medievali disintegrati in un’incontrollabile escalation di attacchi e vendette. Si sa, quando le cose si mettono male, si mettono male rapidamente. Tecnologia, libertà, democrazia, comodità: tutto può sparire. Chi vuole può anche continuare a compiacersi della nostra evoluzione, ma come diceva il poeta Geoffrey Hill, “la tragedia ha un occhio per tutti". Una verità che oggi, in Grecia, non potrebbe essere più evidente.

Da Atene ogni giorno ci arrivano notizie sconvolgenti: quelle che un tempo erano orgogliose famiglie borghesi fanno la fila per un tozzo di pane, e negli ospedali ci sono malati in agonia perché il governo non ha i soldi per pagare i farmaci contro il cancro. Le pensioni vengono tagliate, le condizioni di vita precipitano, la disoccupazione cresce e il tasso di suicidi – fino a poco tempo fa il più basso dell’Unione europea – è oggi il più alto.

Osserviamo un’intera nazione subire una devastante umiliazione politica ed economica, e quali che siano i risultati delle elezioni di ieri sembra che le cose peggioreranno. Non c’è un piano per gestire l’abbandono dell’euro da parte della Grecia, almeno che io sappia. Nessun leader europeo osa ammettere che uno scenario del genere è una possibilità concreta, perché altrimenti profanerebbe la religione dell’Unione sempre più stretta. Da noi ci si aspetta che siamo complici di un piano per creare un’unione fiscale, che se davvero avrà un effetto sarà soltanto quello di minare le fondamenta della democrazia occidentale.

Tornano gli ottomani

L’idea della storia come inarrestabile progresso economico e politico è relativamente recente. Nell’antichità si parlava spesso di età dell’oro perdute, virtù repubblicane dimenticate o idilli prelapsari, ed è soltanto negli ultimi secoli che abbiamo sposato la linea “Whig”. In fondo, però, abbiamo avuto i nostri motivi: emancipazione delle donne, estensione del diritto di voto a tutti gli adulti, affermazione dell’idea secondo cui non può esserci tassazione senza rappresentanza e il popolo ha il diritto democratico di determinare il proprio destino.

Ma torniamo in Grecia e al nostro presente. Pur di tenere in vita una moneta unica in stato terminale siamo pronti a massacrare la democrazia, proprio nella terra in cui è nata. Per quale motivo chiediamo a un elettore greco di votare un programma economico, se quel programma economico è stato deciso a Bruxelles – anzi, a Berlino? Qual’è il senso della libertà greca – la libertà per cui ha combattuto lord Byron – se la Grecia torna a una sorta di dipendenza ottomana ma con la Sublime porta trasferita nella capitale tedesca?

Non funzionerà, e se le cose andranno avanti così ci saranno più miseria e più rabbia. Nel frattempo aumenteranno le probabilità che il carrozzone europeo vada a fuoco. Sono convinto che un giorno la Grecia tornerà a essere libera, perché credo che chiunque governerà il paese probabilmente troverà un modo di lasciare l’euro, svalutare la dracma e ripristinare la competitività. Non vedo alternative, perché la fiducia dei mercati nella Grecia come parte dell’Unione europea è come un palloncino scoppiato: difficile da riparare.

Intanto – senza una risoluzione e senza chiarezza – ho paura che le sofferenze continueranno. Il modo migliore di procedere sarebbe provocare un’ordinata divisione nella periferia tra vecchia eurozona e nuova eurozona. Ogni giorno di esitazione allontana la prospettiva di una ripresa globale. La soluzione proposta, invece – unione fiscale e politica – spingerà il continente verso un medioevo della democrazia. 

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