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8 settembre 2012

Percorsi verso una società nuova
di George Lakey e Ed Lewis
traduzione di Giuseppe Volpe

George Lakey promuove campagne e scrive sul cambiamento sociale non violento sin dagli anni ’60. E’ stato co-fondatore negli anni ’70 del Movement for a New Society [Movimento per una Società Nuova] che per quasi vent’anni si è specializzato in innovazioni organizzative per i movimenti sociali e ha diretto più di 1.500 seminari in cinque continenti, addestrando minatori, senzatetto, prigionieri, guerriglieri birmani, operai siderurgici e altri. Ha parlato con Ed Lewis, del New Left Project, del suo ultimo libro, ‘Toward a Living Revolution’, [Verso una rivoluzione vivente] collegando le sue idee con il movimento Occupy.

Hai una lunga storia di lavoro e studio di nuovi strumenti e strategie diverse per il cambiamento sociale, alcune delle quali – rimarchevolmente il modello del processo decisionale mediante consenso e quello dell’assemblea generale – hanno acquisito grande influenza nella politica radicale, soprattutto tramite Occupy. Comunque io sono interessato alla prospettiva filosofica più ampia in cui si collocano questi approcci.

Beh, nel mio libro più recente ho sviluppato un modello a cinque stadi che cerca di immaginare … è molto difficile immaginare un cambiamento sociale fondamentale e così radicale … cerco di immaginare un processo a stadi successivi attraverso il quale si possa arrivare a nuove istituzioni cui la gente partecipi e prenda decisioni e crei una nuova società.

Quali sono gli elementi fondamentali del modello?

Il primo stadio è un po’ controverso perché c’è una certa avversione a creare una visione, penso. Forse una specie di residuo anti-utopistico o un senso di disperazione perché il modello sovietico non ha funzionato, ma io credo davvero, in base ai miei studi della storia, che si arrivi molto più in là se si ha una visione della nuova società e che sia una visione ampiamente condivisa alla quale si sia arrivati mediante la discussione. Tale processo sembra essere molto importante … che le persone sviluppino sia una visione di dove vogliono andare, sia una strategia per arrivare da qui a lì.

Così questo significa in qualche modo sganciarsi dall’ossessione delle analisi. La discussione preferita è “cos’è sbagliato, cos’è sbagliato, cos’è sbagliato”. E una delle cose di cui sono grato a Occupy e che ci ha dato un’analisi sintetica semplicistica e tuttavia buona per ogni giorno. Ci sono l’1% e il 99%. E’ molto utile. Abbiamo bisogno di qualcosa di simile che ci metta in grado di dire “sì, l’1% domina il 99%. Bene, adesso: e la visione?” Invece di “passiamo le prossime ore a parlare di analisi.”

Tutti i diversi modi in cui non ci piace l’un per cento …

Esattamente, esattamente. Noioso, noioso. Ho lasciato dei partiti perché quello era tutto ciò che la gente voleva fare. E io penso che lamentarsi sia, in concreto, la reazione di una persona impotente e così indulgiamo all’impotenza comune creando queste società di lamentele. E c’è una dimensione psicologica nello stadio uno, che consiste nell’impegnarsi in un processo che ci sostenga concretamente nel credere in noi stessi e nell’aver fiducia in noi stessi e gli uni negli altri e nello sviluppare la solidarietà necessaria.

E quando abbiamo realizzato abbastanza di questo passiamo allo stadio due, che è la costruzione dell’organizzazione. E’ quando creiamo nuove forme organizzative che sostengano il peso della nuova visione che ci siamo creata. Dunque, molti dei modi consolidati di organizzarsi ricreano la gerarchia, ricreano la faccenda dell’autoritarismo dall’alto, ricreano schemi patriarcali, e così via. Così lo stadio due è un momento molto creativo in cui c’è bisogno di sperimentare nuove forme e questa è una delle cose che ho apprezzato di Occupy, che è stato un laboratorio per cercare nuove forme orizzontali. Non ha funzionato alla grande negli Stati Uniti, comunque: non so qui … [in Inghilterra – n.d.t.]

… non lo pensi.

No.

Naturalmente l’energia è diminuita significativamente ma molti ritengono che abbia sferrato un colpo ideologico potente.

D’accordo quanto al colpo ideologico, ma lo stadio due non riguarda il colpo ideologico, lo stadio due riguarda il risultato organizzativo. E’ una questione di viti e bulloni … è, ad esempio: un movimento Occupy è in grado di occuparsi di persone distruttive, che siano state pagate per essere distruttive (provocatori e via discorrendo) o che si tratti semplicemente di volontari presi da qualche forma di patologia o che altro e che vagabondano sulla scena e rendono impossibile alla gente di fare le cose? Possiamo individuare forme organizzative che ci consentano di farlo, o no?

Così lo stadio due riguarda questo, riguarda la creazione di forme organizzative che ci consentano di sostenerci nel realizzare la roba del lungo termine, e questo deriva da una conclusione storica che ho tratto, che movimenti rivoluzionari disorganizzati non realizzano una società nuova. Possono creare disordini, eccitazione; possono persino aprire un vuoto di potere,  possono sbilanciare, spiazzare l’un per cento, ma non sono in grado di essere all’altezza delle aspettative se non sanno come organizzarsi; perciò lo stadio due è importante da questo punto di vista.

Solo brevemente: dici di aver ricavato le conclusioni storiche che hai detto. Ci sono particolari episodi storici che ti hanno portato a tali conclusioni?

Ho studiato molto le insurrezioni non violente che hanno avuto luogo nella storia. I miei studenti ed io abbiamo lavorato negli ultimi quattro anni a sviluppare il Global Nonviolent Action Database [Archivio globale delle azioni nonviolente]. Comprende un grande numero di insurrezioni nonviolente che hanno rovesciato dittatori e abbiamo scoperto che una cosa è rovesciare un dittatore e un’altra cosa gestire lo spazio che in tal modo si è aperto in modo tale da tenere concretamente a bada l’un per cento e arrivare a creare una società nuova. Di solito si rovescia un dittatore e l’un per cento ricompare con qualche cambiamento cosmetico, un dittatore in abito da sera, un regime apparentemente democratico che non lo è affatto, perché è completamente manipolato.

Quel che oggi non è in discussione, anche se alcuni lo contestano è: “E’ possibile rovesciare i dittatori in modo nonviolento?”. Sì, è certamente possibile. Nel nostro archivio ci sono numerosi casi e basta solo verificare. Ma la questione è: una volta che lo si è fatto, dove ci si trova? Qual è il passo successivo da fare per gestire l’occasione creata attraverso lo spodestamento?  Ho trovato solo due casi (ne sto inseguendo un terzo in rapporto con la Danimarca) [che sono]la Norvegia e la Svezia, in cui l’un per cento è stato effettivamente smobilitato, in termini di potere politico, mediante la lotta nonviolenta ed è stata creata una società nuova che è di gran lunga la miglior conquista umana sinora.  Stanno perdendo un po’ di terreno ora al riguardo, ma fino agli anni ’70 e ’80 avevano conquistato qualcosa di superiore a quanto realizzato fino a quel punto da qualsiasi altro paese, in termini di uguaglianza e di una quantità di altri valori progressisti.

E tu pensi che sia stato ancora negli stati uno e due: visione e organizzazione …

Esattamente. Hanno avuto una visione molto chiara e hanno avuto una quantità enorme di organizzazione. In entrambi i paesi i movimenti sindacali erano imponenti. Ci sono delle critiche circa il fatto che alcune delle forme organizzative utilizzate non sono state orizzontali. Va bene, e io apprezzo le critiche all’organizzazione dei sindacati, ma la domanda è: “Cosa avrebbe funzionato meglio? Oh bene. Hai qualcosa di meglio. Lo facciamo?” Se la risposta è: “Oh beh, non ho nulla di meglio” allora chiudi il becco, o inventa qualcosa di meglio. Non criticare se non hai qualcosa di meglio.

Lo stadio tre è lo scontro, che per alcuni di noi è la parte preferita. Io amo lo scontro. Secondo quella grande espressione anarchica: [si tratta della] propaganda dei fatti. E’ quando il movimento è ancora piccolo, non ha una portata sociale, ma sta creando una serie di forti scontri in cui quelli non ancora impegnati nel movimento considerano i buoni e i cattivi (i buoni siamo noi e i cattivi l’un per cento) e fanno le loro scelte. Dicono, si spera, “Siamo dalla parte dei buoni. I cattivi … non avevamo idea di quanto fossero cattivi.” C’erano egiziani che negavano che Mubarak fosse particolarmente cattivo, fino a quando non lo ha dimostrato in Egitto; allo uno pensa: “Oh, d’accordo, se le cose stanno così … E questi buoni sono anche meglio di quanto pensassi. Andiamo con loro.”

E così lo stadio tre, se riesce, arriva allo stadio quattro. Lo stadio quattro riguarda la non collaborazione di massa ed è la parte della storia egiziana che conosciamo meglio, perché è la parte che è stata in tivù. Lo stadio quattro è il momento in cui i Mubarak sono costretti a fare le valigie e il vuoto di potere che emerge è ciò che apre le opportunità.

Poi c’è lo stadio cinque – anche se molti potrebbero dire “beh, ce l’abbiamo fatta, abbiamo vinto” – ma la mia idea è che si deve andare oltre, si devono creare nuove istituzioni che riflettano i nostri valori.  Nello stadio due si sta già inventando, spesso in un laboratorio, su scala ridotta, ma sviluppando competenze e fiducia (che si sviluppano anche negli stadi tre e quattro). Poi, arrivati allo stadio cinque, sono cresciute in misura sufficiente a coprire il vuoto di potere e a organizzare la società. Dunque, questo è il piano.

Mi chiedo se questo è proposto come sequenza cronologica, perché mi sembra che le questioni organizzative, e anche a quel punto quello che si fa in concreto attraverso l’organizzazione, tipicamente condizionano aspetti di quel che si vuole. La gente scopre, attraverso le sue organizzazioni, cosa funziona, cosa non funziona, può scoprire nuovi orizzonti e arrivare a ritenere che siano possibili certe cose che in precedenza non sembravano possibili e, di converso, può cominciare a pensare che cose che sembravano belle, in astratto, non sembrano funzionare così bene. Dunque io voglio solo verificare se quel che dici è che questo è un modello interamente lineare in cui si passa allo stadio successivo solo dopo aver completato quello precedente.  

Questo è esattamente il modo corretto di utilizzare il modello. I modelli incoraggiano le semplificazioni, sempre iper-semplificazioni. Così cominciamo con un modello, come questo modello a cinque stadi, e poi passiamo mentalmente a fare quello che dici, che è complicare il modello. E poi qualcun altro, se c’è una terza persona al tavolo, dirà “non solo quello, Ed, ma anche quest’altro”, e si complica ulteriormente il modello. E ogni volta che complichiamo il modello lo rendiamo più accurato, più simile alla realtà. Perché i modelli sono molto iper-semplificati, non corrispondono alla realtà.

D’altro canto, se non partiamo da un modello, non possiamo complicarlo e finiamo semplicemente per perderci in una baraonda di complicazioni. E poi non facciamo che tornare a lamentarci, perché è più facile. Così, lo scopo di un modello è questo.

Ora, ovviamente, quel che tutti vorranno sapere a proposito del tuo modello e della tua concezione più ampia del cambiamento sociale è se ci sono delle proposte per i dettagli, per quel che potrebbe aver luogo. Hai notato delle visioni o organizzazioni in sviluppo di cui pensi: “Queste potrebbero essere quelle che potrebbero funzionare davvero?”

In termini di applicazione, penso che stiamo parlando di specificità storiche e di dinamiche culturali. Così, l’innovazione organizzativa che potrebbe dare risultati nella cultura uno, potrebbe non apparire esattamente la stessa nella cultura due, perché quanto più diventiamo specifici quanto al momento storico e alla cultura, tanto più saranno diverse le cose.  Così quel che funziona a New York non necessariamente funzionerà a Filadelfia. Comunque è enormemente divertente confrontare i pareri. Così Occupy Wall Street … hanno preso contatto con me a proposito di “bene, sappiamo che tu e il Movimento per una Società Nuova avete lavorato su questa faccenda dell’assemblea generale, e noi la stiamo praticando e stiamo avendo questi problemi, ecc., ma sappiamo anche che stai sperimentando con i comitati dei portavoce [spoke councils] e i gruppi di affinità … che ci dici [di questi approcci]?” (In realtà abbiamo preso le idee sui comitati dei portavoce dalla Svezia; grazie a Dio le idee possono attraversare i confini). Così poi hanno provato a inserire il modello dei consigli dei portavoce in Occupy Wall Street, con diverso successo, perché c’è stata parecchia resistenza da parte dell’assemblea generale.

Ma il modello dei consigli dei portavoce ha dimostrato in numerose culture diverse di funzionare molto bene e spesso di funzionare meglio del modello dell’assemblea generale.

Un altro esempio sarebbe lo strumento del processo decisionale basato sul consenso. Il Movimento per una Società Nuova negli anni ’70, cui ho preso parte, ha spinto molto il modello del consenso nella più ampia sfera dell’attivismo cosicché oggi è diventato molto di moda. Ma in tale processo è anche diventato ideologicamente rigido.

Dicci qualcosa di più su cosa intendi con questo.

La gente si dimentica questo a proposito della tecnologia: che l’uso della tecnologia ha a che fare con le circostanze. Una stufa elettrica non funzionerà granché se non c’è una fonte di elettricità. E nello stadio due parliamo di tecnologia. Così il problema del consenso è … è un’invenzione, funziona se esistono certe circostanze, non funziona se tali circostanze non esistono.

Quando non funziona?

Beh, non ha funzionato con Occupy Wall Street a New York e a Filadelfia.

Pensi che farebbero meglio a usare un modello diverso?

Esattamente. In molte, molte località di Occupy hanno abbandonato l’assemblea generale; l’assemblea generale non esiste più, perché risulta sempre più che il consenso funziona se c’è un qualche sistema perimetrale; sai, chi sta dentro e chi sta fuori. E chi sta dentro sviluppa un livello di fiducia con gli altri; si sviluppa la capacità di ascoltarsi a vicenda. Il consenso è molto difficile per persone che non sanno ascoltarsi a vicenda! Se è tutto strepitare e non ascoltare. Così situazioni diverse consentono al consenso di funzionare, sembra come se, se non hai situazioni di quel genere, il consenso non funziona.

Ti sei fatto un’idea di quali sarebbero le forme organizzative cui sarebbero stai meglio adatti?

Sono coinvolto in una nuova organizzazione ambientalista anticapitalista chiamata Earth Quaker Action Team [letteralmente Squadra d’Azione dei Quaccheri per la Terra, ma ‘earthquake’ significa ‘terremoto’, così vi è qui probabilmente un gioco di parole che rimanda all’idea di ‘scuotitori della terra' – n.d.t.]. Siamo quaccheri e persone che apprezzano collaborare con i quaccheri, cosicché proveniamo da tre secoli di processi decisionali basati sul consenso. D’altro canto siamo attivisti, il che significa scontri con la polizia, ecc., una quantità di cose che accadono immediatamente, non sempre c’è tempo per raggiungere una posizione comune. Così quello che negli ultimi anni abbiamo scoperto che funziona molto bene è avere una discussione in anticipo su ‘cosa fare se succede questo, cosa fare se succede quello?’, cosicché le persone attorno al tavolo conoscono le reciproche valutazioni. Io vengo a sapere quali sono per te i valori che ti sono così cari che sarebbe davvero, davvero duro per te violarli, e quali sono le cose per potrebbero metterti a disagio ma che puoi accettare.  Allora nel momento in cui ci scontriamo con la polizia, abbiamo un responsabile  di quella manifestazione che prende  decisioni soggettive e il resto di noi deve rispettarle. Il responsabile, tuttavia, non prenderà le decisioni soggettive che sa che il gruppo difficilmente potrà accettare. E dopo l’azione facciamo una valutazione dalla quale tutti impariamo di più sul prendere decisioni soggettive in un momento in cui le decisioni devono essere prese rapidamente.   

La sicurezza è un valore per tutti nel nostro gruppo. Personalmente sono disponibile a dare la vita per la causa, ma non vorrei farlo stupidamente. Ho rischiato la vita in molte azioni, ma ogni volta che ho rischiato la vita non è stato stupidamente; aveva senso rischiare la vita in quel modo. Così la sicurezza è uno di quei valori. E questo genere di cose viene discusso e la nostra squadra di responsabili diventa sempre più capace. Noi ruotiamo perché siamo molto interessati a sviluppare la leadership, in modo che la maggior parte delle persone sia in grado di assumere quelle posizioni in cui si preoccupano di altri, il che è un altro grande valore per noi.

Così è in gran parte una questione d’invenzioni e di cercare di migliorare ciò che, fino a quando non si è cominciato, penso che per molti di noi fosse un’aderenza parecchio rigida a ‘ qualsiasi cosa succeda dobbiamo tutti sederci a parlarne’.

All’inizio hai proposto l’idea che le nostre organizzazioni ora devono riflettere le istituzioni che cerchiamo la politica prefigurativa futura, fondamentalmente. Questo è coerente con quello che descrivi qui in termini di creazione di questo responsabile temporaneo?

Nell’esempio che ho fornito con il responsabile e la situazione del momento che prende delle decisioni soggettive … qualsiasi futuro io riesca a immaginare include disastri, e specialmente con gli estremi e tutto il resto che stiamo creando, nel nostro futuro c’è una molteplicità di disastri, giusto? Dovremo avere persone che in futuro prendano decisioni soggettive a fini di sicurezza un fantastiliardo di volte. Abbiamo bisogno di persone che abbiano la fiducia in sé stesse per farlo, che sappiano come sintonizzarsi con i valori della gente; avremo bisogno di un mucchio di gente che prenda decisioni soggettive molto intelligenti in futuro.  

Considerata la varietà di movimenti diversi in cui sei stato coinvolto, devi aver visto situazioni in cui si ottiene un grande livello di mobilitazione e poi, per una qualsiasi ragione, c’è una caduta e poi la gente comincia a chiedersi “possiamo uscirne fuori in ritirata?”. Cosa fanno in questo tipo di situazioni i movimenti vincenti? Sto pensando qui, di nuovo, a Occupy.

Creatività. Presta attenzione al 17 settembre, il primo anniversario, un nuovo lancio in Occupy Wall Street di una campagna che questa volta si concentrerà su un tema anziché sul modello dell’anno scorso che si occupava di qualsiasi cosa.

Possiamo fare affidamento sui bassi; proprio come possiamo contare sugli alti, possiamo contare sui bassi. Così quel che sta facendo il movimento Occupy Wall Street è sviluppare quella che mi suona come una splendida campagna sull’indebitamento e l’ultimo numero di Waging Non-Violence  [Scatenare la nonviolenza] si occupa della proposta di ciò che deve essere lanciato. Hanno realizzato una quantità di materiale di progetti pilota, hanno fatto ricerche di marketing, se possiamo essere così volgari, facendo delle prove con la gente – è disponibile ad assumere questo rischio? Quel rischio? – così quando il tutto sarà lanciato, il 17 settembre, non sarà come un anno fa, quando si costruivano le cose sul momento.

E questo è ciò che hanno fatto; sono ricorsi alle loro fonti creative. E’ gente di Occupy Wall Street, e dunque hanno sperimentato molto, c’è molta fiducia tra le persone che lavorano a questo perché hanno superato insieme momenti così duri. Ma si sono davvero rivolti alla creatività. Penso che sia una campagna davvero molto brillante. Vedremo. Posso sbagliarmi, ma sono eccitato al riguardo.

 

Da Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: http://www.zcommunications.org/pathways-to-a-new-society-by-george-lakey

Originale: New Left Project

 

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