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26 dicembre 2012

Lavoro, studio, libertà
di Noam Chomsky
traduzione di Giuseppe Volpe

In questa intervista, spesso personale, il famoso linguista e commentatore politico Noam Chomsky delinea una prospettiva libertaria a proposito del lavoro e dello studio, sostenendo che la libertà è la base della creatività e della realizzazione di sé stessi.

Michael Kasenbacher: La domanda che vorrei porti è che cosa sia il lavoro davvero voluto. Forse potremmo partire dalla tua vita personale e dalla tua doppia carriera di linguista e attivista politico. Ami quel genere di lavoro?

Noam Chomsky: Se avessi tempo ne dedicherei di più a lavorare sul linguaggio, la filosofia, la scienza cognitiva, argomenti che sono intellettualmente molto interessanti. Ma gran parte della mia vita è dedicata a una forma o un’altra di attività politica: leggere, scrivere, organizzare, attivismo e via di seguito. Che è qualcosa che val la pena di fera, è necessario ma non è realmente stimolante dal punto di vista intellettuale. Per quanto riguarda le faccende umane, o non capiamo nulla o siamo parecchio superficiali. E’ un lavoro faticoso ricavare i dati e metterli insieme ma non è tremendamente impegnativo dal punto di vista intellettuale. Ma lo faccio perché è necessario. Il genere di lavoro che dovrebbe costituire la parte principale della vita e il genere di lavoro che vorresti fare anche se non fossi pagato per farlo. E’ lavoro che deriva dalle tue necessità interiori, dai tuoi interessi e dalle tue preoccupazioni.

Il filosofo Frithjof Bergmann dice che la maggior parte delle persone non quale genere di lavoro vorrebbe davvero fare. Definisce ciò “la povertà del desiderio”. Quando parlo con molti dei miei amici trovo che è vero. Hai sempre saputo che cosa volevi fare?

E’ un problema che non ho mai avuto. Per me c’è sempre stato troppo che volevo fare. Non sono sicuro di quanto vasto sia. Prendi, ad esempio, un artigiano. Capita che io non valga nulla con gli attrezzi, ma prendi qualcuno che sia in grado di costruire cose, di aggiustarle, che davvero lo voglia fare. Ama farlo: “Se c’è un problema, sono in grado di risolverlo.” O il semplice lavoro fisico. Anch’esso è gratificante. Se lavori agli ordini di qualcuno, allora naturalmente è soltanto fatica ma se fai la stessa cosa per volontà o interesse tuo, è eccitante e interessante e attraente. Voglio dire, è questo il motivo per cui le persone cercano un lavoro; il giardinaggio, per esempio. Dunque hai avuto una settimana dura, hai il fine settimana libero, i ragazzi girano lì attorno, potresti semplicemente distenderti e dormire ma è molto più divertente fare del giardinaggio o costruire qualcosa o fare qualcos’altro.

E’ una vecchia idea, non è mia. Wilhelm von Humboldt, che svolse parte del lavoro più interessante al riguardo, segnalò una volta che se un artigiano produce un oggetto bello sotto padrone, possiamo ammirare quello che ha realizzato ma disprezzare quello che lui è: è uno strumento nelle mani di altri. Se, d’altro canto, egli crea lo stesso oggetto bello di sua volontà ammireremo l’oggetto e la persona, e lui starà realizzando sé stesso. E’ un po’ come lo studio a scuola. Penso che sappiamo tutti dalla nostra esperienza che se studiamo per dovere, perché dobbiamo superare un esame, possiamo riuscire bene nell’esame ma due settimane dopo avremo dimenticato tutto. D’altro canto se studi perché vuoi scoprire, e indaghi e commetti errori e guardi nel posto sbagliato e così via, allora alla fine ricordi.

Così tu pensi che fondamentalmente le persone sanno cosa sono e cosa vogliono fare?

Nelle situazioni giuste sarebbe così. I bambini, ad esempio, sono naturalmente curiosi; voglio sapere tutto, vogliono esplorare ogni cosa ma ciò, in generale, viene tolto loro di testa. Sono inseriti in strutture disciplinate, le cose sono organizzate per loro in certi modi e così le cose tendono a essere imposte. E’ per questo che la scuola è noiosa. La scuola può essere eccitante. Mi è accaduto di aver frequentato una scuola Dewey fino a circa dodici anni. E’ stata un’esperienza interessante, volevi stare là, volevi andarci. Non c’erano classifiche, non c’erano voti. Le cose erano guidate in modo che non facevi semplicemente quello che ti pareva. C’era una struttura, ma fondamentalmente eri incoraggiato a perseguire i tuoi interessi e le tue preoccupazioni e a lavorare con gli altri. Io praticamente non ho saputo di uno studente bravo fino a quando non sono andato alle superiori. Sono andato a una scuola classica in cui tutti erano classificati e dovevi andare all’università, perciò dovevi superare esami. Nella scuola elementare io in effetti avevo saltato un anno, ma nessuno vi prestò molta attenzione. L’unica cosa che ho constatato è stata che ero il bambino più piccolo della classe. Ma non era una gran cosa, cui tutti prestassero attenzione. La scuola superiore è stata del tutto diversa; dovevi essere il primo della classe, non il secondo. E quello è un ambiente molto distruttivo; spinge le persone in una situazione in cui non sai davvero cosa vuoi fare. In effetti è capitato a me; alle superiori ho perso quasi tutti gli interessi. Quando ho scorso il catalogo dell’università, è stato davvero eccitante: una quantità di corsi, grandi cose. Ma è risultato che l’università era come una scuola superiore ingigantita. Dopo un anno stavo semplicemente per abbandonare ed è stato solo per caso che sono rimasto. Mi è successo di incontrare un membro della facoltà che mi ha suggerito di cominciare a frequentare il suo corso di laurea e poi ho cominciato a frequentarne altri. Ma non ho alcun addestramento professionale. E’ per questo che insegno al MIT. Non ho le credenziali per insegnare in un’università classica.

Ma è così che dovrebbe essere l’istruzione. Altrimenti può essere estremamente alienante. Lo vedo con i miei nipoti o con i giri che frequentano. Ci sono bambini che semplicemente non sanno cosa vogliono fare, così fumano erba, o bevono, o saltano la scuola, o finiscono in ogni genere di comportamento antisociale. Perché dispongono di energia ed eccitazione e non hanno come impiegarle. […] Persino il concetto di gioco è cambiato. Posso vederlo anche dove vivo. Mia moglie ed io ci eravamo trasferiti in questa zona perché andava molto bene per i bambini; non c’era molto traffico, c’erano boschi a due passi e i bambini potevano giocare nella strada. I bambini erano fuori tutto il tempo a giocare, ad andare in giro in bicicletta, cose così. Ora ci sono bambini in giro, ma non fuori; o sono dentro casa impegnati in videogiochi o questo o quest’altro, oppure sono impegnati in attività organizzate: attività sportive organizzate dagli adulti o roba del genere. Ma il concetto di semplice gioco spontaneo sembra essersi ridotto in misura considerevole. Ci sono degli studi al riguardo; li ho visti a proposito degli Stati Uniti e della Gran Bretagna; non se vale anche per altri paesi ma il gioco spontaneo si è semplicemente ridotto a causa dei cambiamenti sociali. E penso che sia una cosa molto negativa, perché è in quell’attività che fioriscono gli istinti creativi. Se devi inventarti un gioco nella strada, se giochi a baseball con un manico di scopa, scopri uno spazio che è diverso da una società sportiva organizzata dove devi indossare un’uniforme.

A volte è semplicemente surreale. Ricordo quando mio nipote aveva dieci anni ed era molto interessato allo sport, giocava sempre per squadre della cittadina. Una volta eravamo a casa di sua madre e lui tornò parecchio sconsolato perché doveva esserci una partita di baseball, ma l’altra squadra, contro la quale giocavano, aveva solo otto giocatori. Non so quanto ne sai di come funziona il baseball, ma se ne stanno tutti seduti per tutto il tempo; ci sono circa tre giocatori che in realtà fanno tutto; tutti gli altri stanno semplicemente seduti. Ma la sua squadra semplicemente non poteva prestare un giocatore in più all’altra squadra in modo che i bambini potessero divertirsi, perché ci si deve attenere alle regole della lega. Intendo dire: questo è portare le cose a livelli assurdi, ma è il genere di cose che succedono. Vale anche nella scuola: la grande innovazione educativa di Bush e Obama era “nessun bambino lasciato indietro”. Posso vederne gli effetti nelle scuole parlando con gli insegnanti, i genitori e gli studenti. E’ addestramento a superare test e gli insegnanti sono valutati su quanto fanno bene gli studenti nei test. Ho parlato con insegnanti che mi hanno raccontato che se un bambino è interessato a qualcosa che viene fuori in classe e vuole approfondirlo, l’insegnante gli deve dire: “Non puoi, perché devi superare questo test la settimana prossima.” E’ l’opposto dell’istruzione.

Come pensi sia possibile nella nostra società, non solo nell’istruzione, che la gente reagisca a tutte queste strutture, a questa tendenza a essere spinti in situazioni in cui le persone non sanno cos’è che vogliono fare?

Penso sia il contrario: il sistema sociale sta assumendo una forma in cui scoprire cosa si vuole fare è sempre meno una possibilità, perché la vita è troppo strutturata, organizzata, controllata e disciplinata. Gli Stati Uniti hanno avuto la prima vera istruzione di massa (molti in anticipo sull’Europa, quanto a questo) ma se si guarda indietro al sistema della fine del diciannovesimo secolo, tale sistema era in gran parte organizzato in modo da trasformare i contadini indipendenti in disciplinati operai di fabbrica, e una buona parte dell’istruzione conserva quella forma. E a volte è molto esplicita. Così, se non l’hai mai letto, potresti dare un’occhiata a un libro intitolato ‘The Crisis of Democracy’ [La crisi della democrazia], una pubblicazione della Commissione Trilaterale, che era costituita essenzialmente da liberali internazionalisti dell’Europa, del Giappone e degli Stati Uniti, l’ala liberale dell’élite intellettuale. E’ da lì che venne l’intero governo di Jimmy Carter. Il libro esprimeva la preoccupazione degli intellettuali liberali per quel che accadeva negli anni ’60. Beh, quel che succedeva negli anni ’60 è che erano troppo democratici, c’era un mucchio di attivismo popolare, giovani che provavano delle cose, sperimentazione … è chiamata l’”epoca dei problemi”. I “problemi” erano che l’epoca civilizzava il paese: è da lì che vengono i diritti civili, il movimento delle donne, l’interesse per l’ambiente, l’opposizione all’aggressione. E in conseguenza diventa un paese molto più civilizzato, ma ciò causava parecchia preoccupazione, perché la gente stava finendo fuori controllo. E’ l’ideologia dell’élite nell’intero spettro politico, dai liberali ai leninisti; è essenzialmente la stessa ideologia: la gente è troppo stupida e ignorante per fare le cose da sole e perciò, per il suo stesso bene, dobbiamo controllarla. E quell’ideologia tanto dominante stava andando a pezzi negli anni ’60.  E questa commissione che mise insieme questo libro era interessata a cercare di indurre quello che chiamò “una maggiore moderazione nella democrazia”, riportare la gente alla passività e all’obbedienza in modo che non ponesse così tanti limiti al potere dello stato e così via. Erano, in particolare, preoccupati dei giovani. Erano preoccupati per le istituzioni responsabili dell’indottrinamento dei giovani (è la loro espressione), intendendo scuole, università, chiese e via dicendo. Non stanno facendo il loro lavoro, [i giovani sono] indottrinati in misura insufficiente. Sono troppo liberi di perseguire le loro iniziative e interessi personali e si devono controllare meglio.

Se si guarda indietro a ciò che è successo da allora, c’è stata una quantità di misure introdotte per imporre la disciplina. Prendi qualcosa di così semplice come l’aumento delle tasse universitarie. E’ molto più vero negli Stati Uniti che altrove, ma negli Stati Uniti le tasse universitarie sono alle stelle; in parte ciò opera una selezione su base classista ma, più di ciò, impone un fardello di debiti. Così, se esci dall’università con grandi debiti non sarai libero di fare quello che vuoi. Potevi aver desiderato di essere un avvocato difensore degli interessi pubblici ma dovrai ad andare a lavorare in uno studio legale dell’industria. E’ un fatto molto grave e ci sono molte cose simili.  In realtà la guerra alla droga fu iniziata principalmente per tale motivo; la guerra alla droga è un sistema disciplinare, è un modo per garantire che la gente sia tenuta sotto controllo ed è stata pressoché consapevolmente concepita in tal modo … L’idea della libertà fa molta paura a quelli che hanno un certo grado di privilegi e di potere e io penso che ciò si manifesti anche nel sistema dell’istruzione. E nei luoghi di lavoro … ad esempio, c’è uno studio molto buono di un membro della facoltà, qui, cui purtroppo è stata negata la cattedra, che ha studiato con grande attenzione lo sviluppo delle macchine utensili controllate dai computer, sviluppate inizialmente negli anni cinquanta dall’esercito, dove quasi tutto è fatto …

Il suo nome?

David Noble. Ci sono un paio di libri suoi molto buoni, uno è intitolato Forces of Production [Forze di produzione]. Ciò che ha scoperto è stato che quando furono ideati questi metodi c’era da fare una scelta: se progettare i metodi in modo che il controllo fosse nelle mani di operatori specializzati o se dovessero essere controllati dalla direzione. Scelsero il secondo, anche se non era più redditizio. Quando fecero gli studi trovarono che non c’era un vantaggio in termini di utili, ma è semplicemente molto più importante tenere i lavoratori sotto controllo che avere degli operatori specializzati che gestiscano il processo industriale. Un motivo è che se si diffonde una mentalità simile, presto o tardi i lavoratori chiederanno quello che comunque sembrerà loro ovvio: che dovrebbero assumere il controllo delle fabbriche e cacciare i padroni che non fanno alto che intralciare. E’ una cosa che fa paura. E’ in larga misura ciò che portò al New Deal. Le misure del New Deal furono in una certa misura stimolate dal fatto che gli scioperi stavano arrivando al livello dei sit-in e uno sciopero basato sul sit-in è soltanto a un millimetro di distanza dal dire: “Beh, perché ce ne stiamo seduti qui? Facciamo funzionare questo posto.”

Se ci si rivolge alla letteratura della classe operaia del diciannovesimo secolo, oggi parecchia letteratura della classe operaia, c’è parecchio materiale al riguardo. E’ prevalentemente in tale periodo che iniziò la rivoluzione industriale negli Stati Uniti. I lavoratori si opponevano duramente al sistema industriale, che dicevano avrebbe tolto loro la libertà, l’indipendenza, i diritti di membri di una repubblica libera, che avrebbe distrutto la loro cultura. Pensavano che i lavoratori dovevano semplicemente essere proprietari delle fabbriche e gestirle da soli. Nel diciannovesimo secolo da noi, senza alcuna influenza del marxismo o del pensiero europeo, era in larga misura ritenuto che il lavoro salariato fosse la stessa cosa che la schiavitù; è diverso solo in quanto è temporaneo. Era un tale cliché che era uno slogan del Partito Repubblicano. E per i lavoratori del nord nella guerra civile quella fu la bandiera all’insegna della quale si batterono: che la schiavitù del salario è un male pari alla schiavitù. Era qualcosa che doveva essere tolto dalla testa della gente.

Penso che non sia sepolto molto in profondità. Penso che possa tornare in qualsiasi momento. Penso che potrebbe tornare proprio adesso. Obama praticamente è proprietario dell’industria automobilistica e sta chiudendo le fabbriche di auto, mentre il suo governo sta firmando contratti con la Spagna e la Francia per costruire strutture ferroviarie ad alta tecnologia, settore in cui gli Stati Uniti sono molto indietro e sta utilizzando fondi dello stimolo federale per pagarle. Presto o tardi verrà in testa ai lavoratori di Detroit che “siamo in grado di fare quelle cose; impossessiamoci della fabbrica e facciamole.” Potrebbe portare a una rinascita dell’industria qui e ciò spaventerebbe molto le banche e la classe dirigenziale.

Quali sono le tue personali abitudini di lavoro? Come riesci a lavorare così tanto?

Beh, mia moglie è morta un paio d’anni fa e da allora non ho fatto che lavorare. Vedo i miei figli di tanto in tanto, ma quasi nient’altro. Prima lavoravo parecchio sodo ma avevo una vita personale all’esterno. Ma è qualcosa di unico.

Quante ore riesci a dormire?

Cerco di dormire sei o sette ore, se mi riesce. E’ una vita piuttosto folle. Un numero enorme di conversazioni e di riunioni, così non ho neppure lontanamente il tempo che vorrei per semplicemente lavorare, perché altre cose premono. Ma non ho quasi mai del tempo libero. Non vado mai al cinema o fuori a cena. Ma questo non è un modello di un tipo di esistenza sensata.


Da Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

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Fonte: http://www.zcommunications.org/work-learning-and-freedom-by-noam-chomsky

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