SÜDDEUTSCHE ZEITUNG MONACO
27 aprile 2012

Max Schrems – I don’t like Facebook
di Julia Prummer
Traduzione di Anna Bissanti

Uno studente di legge austriaco ha avviato da solo una enorme campagna contro gli abusi della privacy da parte del social network. Ma ora deve superare anche l’ostruzionismo delle autorità.

Un giorno Max Schrems ha voluto vederci chiaro: ha chiesto a Facebook di dargli accesso a tutti i dati personali conservati che lo riguardano. La risposta che ha ricevuto dal social network è andata ben oltre i suoi peggiori timori: tutto ciò che egli aveva cancellato c’era ancora. I suoi cambiamenti di stato, le sue richieste di aggiungere amici, i suoi messaggi privati. Facebook ha conservato assolutamente tutto quello che riguarda il giovane austriaco, contro la sua volontà e andando contro ogni normativa prevista dal diritto europeo sulla privacy, che proibisce la conservazione a tempo indeterminato dei dati personali dell’utente.

Tutto ciò accadeva un anno fa. In fondo, il ventiquattrenne Schrems aveva chiesto semplicemente di far valere i propri diritti. Ogni europeo può  esigere di avere accesso ai propri dati personali, ed essendo uno studente di giurisprudenza il giovane lo sapeva.

Ma non sapeva che con la sua indagine avrebbe scatenato la più grande campagna della storia di Facebook in materia di tutela della privacy, né che sarebbe entrato in uno scontro frontale con Facebook e con un ente  europeo. Oggi, infatti, a bloccare ogni nuova procedura che prende di mira Facebook è un ente irlandese di tutela della privacy.

All’inizio Schrems voleva soltanto divertirsi. Ma a Facebook sono state necessarie sei settimane e 23 mail per comunicare allo studente austriaco tutte le informazioni che lo riguardavano, in tutto 1.222 pagine in formato Pdf piene di informazioni confidenziali su di lui, un utente qualsiasi del social network che ne conta 854 milioni

In un primo tempo lo studente incredulo si è stropicciato gli occhi, poi ha trovato pane per i suoi denti per lanciarsi in una sfida giuridica e si è servito di quelle pagine come di prove da presentare in tribunale.

All’epoca Facebook ha sicuramente sottovalutato lo studente austriaco, il quale ha presentato 22 ricorsi contro la conservazione delle informazioni personali cancellate, le fraudolente condizioni generali di utilizzo e il riconoscimento facciale automatico.

Le critiche contro la politica della privacy del social network risalgono a molto più indietro, ma Schrems è stato il primo a bussare alla porta giusta: quella dell’ente irlandese che si occupa della tutela della privacy. È in Irlanda, infatti, che Facebook ha la propria sede sociale in Europa, e ciò lo assoggetta al diritto europeo. In seguito alle sue querele, l’ente ha immediatamente fissato due sedute con la filiale irlandese del social network.

Dall’oggi al domani lo studente austriaco è diventato l’eroe della tutela della privacy in Europa: i media ne hanno fatto un David che ha battuto il cattivo Golia a colpi di fionda. Con pochi mezzi è riuscito a sollevare molto interesse intorno al suo caso. Ha fatto tutto da solo, tra un impegno di studio e l’altro, e senza l’aiuto di legali.

Quando non studiava diritto costituzionale in biblioteca, rilasciava interviste rilanciate poi dal suo sito Europe versus Facebook, dal quale si tiene in contatto con l’ente irlandese di tutela della privacy. Il tutto spendendo 9,90 euro al mese, quanto gli costa il server che ospita il suo sito web. Facebook, invece, perde milioni di euro se viene privata del diritto di raccogliere indiscriminatamente le informazioni personali in Europa.

Il social network è preoccupato, anche perché si avvicina la sua quotazione in borsa. Schrems ha ricevuto una visita a Vienna: Mark Zuckerberg, il fondatore di Facebook, gli ha mandato Richard Allan, il suo più importante lobbista per l’Europa, accompagnato da una collaboratrice del Global Policy Team del gruppo. Inoltre il social network ha costituito un team incaricato esclusivamente di rispondere alle richieste di comunicazione dei dati personali.

Schrems, infatti, non è l’unico ad aver fatto una cosa del genere: circa 44mila persone hanno risposto al suo appello lanciato da Europe versus Facebook. Facebook, però, adesso si è fatta più prudente e restia a inviare l’elenco delle informazioni sensibili, scatenando le proteste degli utenti.

Nessuna sanzione

Parrebbe che siano tutti dalla parte dello studente austriaco. Tutti, ma non la commissione irlandese per la tutela della privacy, che si è rifiutata di fare dichiarazioni ufficiali sulla legalità della conservazione delle informazioni personali degli utenti di Facebook. In seguito alle indagini sul social network, l’ente si è accontentato di emettere raccomandazioni. Ma Facebook non ha seguito neppure queste direttive.

Gli irlandesi non vogliono che il social network o altri gruppi come Google o Imb abbandonino il loro paese, spiega Schrems. Oltretutto in Irlanda c’è bisogno di lavoro e di soldi: dalla fine del 2010 il budget irlandese resiste soltanto grazie all’aiuto finanziario di altri paesi della zona euro.

In assenza di una decisione ufficiale da parte della commissione, Schrems non può aprire altri procedimenti giudiziari contro Facebook, ed esige un verdetto. La legge irlandese glielo garantisce, dice, ma il commissario irlandese incaricato della tutela della privacy da quell’orecchio non ci sente

Schrems dovrà così attendere la fine del mese per sapere se Facebook si rifiuta ancora di conformarsi alle direttive, gli hanno detto. Nel caso in cui questa scadenza non fosse rispettata, però, non è prevista alcuna sanzione.

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