dal manifesto del 14 marzo 2008
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mercoledì 29 agosto 2012 10:09

Lettera dall'inferno di Rafah, di Rachel Corrie

La lettera inviata dall'attivista americana ai genitori il 7 febbraio 2003 in cui racconta la vita quotidiana di Rafah sotto assedio. Il mese successivo Rachel sarebbe morta.

Rafah, 7 febbraio 2003 Sono in Palestina da due settimane e un giorno e ho ancora poche parole per descrivere ciò che vedo. È più difficile per me pensare a ciò che succede qui quando mi siedo a scrivere negli Stati uniti, qualcosa come il portale virtuale del lusso. Io non so se molti dei bambini qui abbiano mai vissuto senza i buchi dei carri armati alle pareti e senza le torri di un esercito di occupazione che li sorveglia costantemente da un orizzonte vicino. Io penso, sebbene non sia del tutto sicura, che anche il più piccolo di questi bambini capisce che la vita non è così ovunque. Un bambino di otto anni è stato ucciso da un tank israeliano due giorni prima del mio arrivo e molti bimbi mi sussurrano il suo nome, Alì, oppure mi indicano i suoi poster sui muri. Ai bambini piace farmi usare l'arabo che conosco chiedendomi «Kaif Sharon?», «Kaif Bush?» e ridono quando io dico «Bush Majnoon», «Sharon Majnoon» rispondendo nel mio arabo limitato (Come sta Sharon? Come sta Bush? Bush è pazzo, Sharon è pazzo). Non è proprio ciò che credo, e qualche adulto che conosce l'inglese mi corregge: Bush mish Majnoon... Bush è un uomo d'affari. (...) Ad ogni modo ci sono qui più bambini di otto anni consapevoli della struttura del potere globale, di quanto lo fossi io qualche anno fa, almeno riguardo a Israele. Nonostante ciò, penso che nessun libro, conferenza, documentario, parola mi avrebbe potuto preparare alla realtà di qui. Non si può immaginare se non si vede, e anche allora sei ben consapevole che la tua esperienza non è tutta la realtà: cosa dire della difficoltà che l'esercito israeliano dovrebbe affrontare se sparasse ad un cittadino statunitense disarmato, del fatto che io ho il denaro per comprare l'acqua mentre l'esercito distrugge i pozzi, e, ovviamente, che io ho la possibilità di partire. (...) Apparentemente è piuttosto difficile per me essere trattenuta in prigione per mesi o anni senza processo (questo perché sono una cittadina americana bianca...). Quando vado a scuola o al lavoro posso essere relativamente certa che non ci sarà un soldato armato pesantemente ad aspettare a mezza strada tra Mud Bay ed il centro di Olimpya a un posto di blocco; un soldato con il potere di decidere se posso andare per la mia strada e se posso tornare a casa quando ho fatto. Così, se percepisco violenza arrivando ed entrando brevemente ed in modo incompleto nel mondo in cui esistono questi bambini, per contro mi chiedo cosa succederebbe a loro arrivando nel mio mondo. Essi sanno che i bambini negli Stati Uniti, di solito, non hanno i genitori uccisi e che qualche volta vanno a vedere l'oceano. Ma quando tu hai visto l'oceano, vissuto in un posto tranquillo dove l'acqua è un bene scontato e non rubata di notte dai bulldozer, e quando hai passato una notte in cui non ti sei meravigliato che le pareti della tua casa non siano crollate svegliandoti dal sonno, e quando hai incontrato gente che non ha perso nessuno, quando hai sperimentato la realtà di un mondo che non è circondato da torri di morte, carri armati, insediamenti armati e ora da una gigantesca parete metallica, mi chiedo se puoi perdonare il mondo per tutti gli anni della tua infanzia spesa esistendo - solo esistendo - in resistenza al costante strangolamento da parte della quarta più grande potenza mondiale, sostenuta dall'unica superpotenza mondiale, nel suo sforzo di cancellarti dalla tua casa. Come retropensiero a tutto questo vagabondaggio, mi trovo a Rafah, di circa 140.000 persone di cui circa il 60% sono rifugiati, molti dei quali per la seconda o la terza volta. Rafah esisteva prima del 1948, ma molte delle persone qui sono essi stessi o discendenti di persone dislocate qui dalle loro case della Palestina storica - ora Israele. (...) Al momento l'esercito israeliano sta costruendo un muro alto 14 metri tra Rafah in Palestina e il confine, tracciando una terra di nessuno dalle case lungo il confine. Seicentodue case sono state completamente abbattute dai bulldozers secondo la Commissione Popolare dei Rifugiati di Rafah. Oltre alla costante presenza dei carri armati lungo il confine...

Rafah, 7 febbraio 2003



Rachel