Al-Akhbar
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14/12/2012

Gaza 2012: la Palestina e il lungo cammino verso la libertà
di Haidar Eid
Traduzione di Valentina Iacoponi

Il lungo cammino del Sudafrica verso la libertà porta i segni di due tragedie immense: il massacro di Sharpeville del 1960 e la Rivolta di Soweto del 1976 che, in entrambe i casi, causarono la galvanizzazione della resistenza interna e internazionale contro il regime dell’apartheid. I due eventi portarono al rilascio, a lungo invocato, di Nelson Mandela e alla fine di uno dei regimi più disumani mai esistiti al mondo.

Se non ci fossero stati Sharpeville e la Rivolta di Soweto, fra le altre storiche vittorie contro il sistema coloniale, il Sudafrica sarebbe governato ancora oggi da una ristretta minoranza di colonizzatori bianchi e fanatici convinti di adempiere alla volontà di Dio (il loro).

Il lungo cammino della Palestina verso la libertà è passato attraverso episodi altrettanto strazianti, a partire dalla Nakba del 1948 fino ai recentissimi otto giorni di attacco contro Gaza.

Per comprendere la Gaza del 2012, è necessario ripercorrere la sua storia e tornare indietro al 1948, alle sue origini. Due terzi dei palestinesi di Gaza sono rifugiati, scacciati dai grandi centri urbani, dalle cittadine e dai villaggi in cui vivevano all’epoca. Nel suo libro After the last Sky, l’intellettuale palestinese Edward Said sostiene che ogni palestinese sa bene che quanto è successo negli ultimi sessant’anni è “una diretta conseguenza della distruzione operata da Israele della nostra società nel 1948…”.

Secondo Said, il problema sta nell’impossibilità di tracciare una linea netta che colleghi in modo diretto le sciagure del 1948 con le sciagure attuali, in virtù della “complessità della nostra esperienza”.

Con i suoi 360 km quadrati, Gaza è il più vasto campo profughi del pianeta, il ricordo di una Nakba permanente. Gli abitanti di Gaza sono diventati i palestinesi più indesiderati, il cuore nero che nessuno vuol vedere, i “negri” degli Stati americani del Sud, i nativi del Sudafrica, quell’avanzo di popolazione con cui gli Askenaziti bianchi, virili e potenti non possono convivere.

Da qui il desiderio di “radere al suolo” Gaza o di farla tornare ai tempi del Medioevo.

Nel 2008-2009, Gaza è stata bombardata dagli elicotteri Apache e dai caccia F16 per ventidue giorni, attacchi che hanno provocato la morte di oltre 1400 civili. Come se non fosse stato abbastanza, Israele ha deciso di ripetere gli stessi crimini contro Gaza, nel 2012, per otto giorni in cui ha causato la morte di oltre 175 civili e il ferimento di 1399 persone. Su una popolazione complessiva di poco più di un milione e mezzo di abitanti, queste cifre sono perdite enormi.

I raid aerei degli israeliani che hanno danneggiato infrastrutture fondamentali e terrorizzato la popolazione civile, sono una forma di punizione collettiva contro il popolo palestinese. Sono crimini di guerra proibiti dal diritto internazionale umanitario e in particolar modo dalla Convenzione di Ginevra.

Eppure Israele riesce a passarla liscia molto spesso quando si tratta di crimini di guerra. La “comunità internazionale” ufficiale composta dai Governi non sembra interessata alle sofferenze patite dalla comunità palestinese. Il presidente americano Obama, così tanto apprezzato e “migliore di Bush”, crede che Israele “abbia il diritto di difendersi”. Lo stesso diritto non sembrano averlo i palestinesi.

In modo altrettanto simile, il ministro degli Esteri britannico William Hague è convinto che Hamas sia “il primo responsabile” della crisi attuale, così come della sua fine repentina. Questo nonostante il micidiale assedio imposto da oltre cinque anni su Gaza, a tal punto che Israele ha usato il conteggio delle calorie per limitare il quantitativo di derrate alimentari entrate a Gaza durante il blocco.

Il fatto che i palestinesi di Gaza non siano nati da madri ebree non rappresenta una buona ragione per privarli del diritto a vivere come fanno i cittadini dello Stato di Israele. Come i nativi sudafricani, secondo gli accordi di Oslo, sarebbero destinati alla reclusione nei Bantustan. Se mostrano segni di resistenza a un tale piano, meritano di essere puniti con la trasformazione dell’intera Striscia in una prigione a cielo aperto.

Gli Stati Uniti e la Gran Bretagna dimostrano un’ignoranza calcolata e spregiudicata di fronte alla crudele realtà di Gaza causata da Israele. Stando ai dati forniti dall’Onu, il blocco imposto da Israele sulla maggior parte delle importazioni e delle esportazioni e le altre azioni punitive, hanno avuto il risultato di lasciare circa il 70 per cento della forza lavoro di Gaza senza lavoro o senza stipendio, mentre l’80 per cento dei suoi residenti vive nella miseria più nera.

Ma davvero Obama e Hague non lo sanno?

Come ha detto Hamid Dabashi:

A Obama piace sostenere che gli israeliani hanno diritto a difendersi. Ma hanno pure diritto a rubare altro territorio palestinese, a terrorizzare i suoi abitanti e a proseguire nel consolidamento di uno stato razzista e di apartheid…? Il Sudafrica aveva forse diritto a imporre l’apartheid, o gli Stati americani del Sud avevano diritto alla schiavitù, o l’India al fondamentalismo hindu?

L’unica opzione per i palestinesi è di seguire la strada intrapresa dalla lotta sudafricana. Fu la campagna sudafricana lanciata dall’interno del paese a mobilitare veramente le masse, molto più dei governi indifferenti di tutto il mondo. Quali speranze avrebbero potuto dar loro Margaret Thatcher, Ronald Reagan o Helmut Kohl? Sono stati i sudafricani e la società civile globale a ripudiare i crimini commessi dalla brutalità dell’apartheid.

Nel lungo cammino sudafricano verso la libertà il rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo non è mai venuto meno. Il tentativo del regime di gridare al “terrorismo nero” e all’“odio intrinseco” nei confronti della civiltà occidentale e della democrazia, si rivelò privo di fondamento.

Allo stesso modo, la società civile internazionale e alcuni governi hanno visto oltre la propaganda israeliana dove l’aggressore si trasforma in vittima. Negli anni i palestinesi sono stati completamente disumanizzati. Al posto di Reagan e Thatcher, noi abbiamo Obama e Hague a criticare la vittima e a condannare la resistenza all’occupazione, alla colonizzazione e all’apartheid.

Ma i sudafricani non rimasero ad aspettare che l’amministrazione americana “cambiasse idea”. La campagna globale BDS (Boicottaggio, Disinvestimento, Sanzioni) condotta dagli attivisti sudafricani anti-apartheid, unita a una reale mobilitazione di massa, sono stati i precetti per la liberazione, ben lontana da una richiesta di “indipendenza” basata sull’identità etnica. Allo stesso modo, dal 2005 a oggi, la richiesta palestinese di boicottare, disinvestire e sanzionare sta prendendo piede. Gaza 2012, come Soweto 1976, non si può dimenticare: reclama una risposta da chiunque creda fermamente nella comunità umana.

Senza alcun dubbio, Gaza 2012 ha dato un grande slancio a questo processo, perché ha fatto comprendere a tutti i palestinesi dentro e fuori la Palestina storica che “Yes, we can!”. Non siamo più la parte debole, la vittima passiva che non osa battere contro le pareti del camion, come avviene nel romanzo di Ghassan Kanafani, Uomini sotto il sole¸ ma siamo l’Hamid di All That is Left to You, l’eroe che decide di agire.

Haidar Eid è professore associato di Letteratura post-coloniale e post-modena all’Università Al-Aqsa di Gaza e consulente di Al-Shabaka, rete politica palestinese.