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21 aprile 2012

La Corte Penale Internazionale Si Limita Su Gaza
di Davide Tundo

I crimini commessi durante "Piombo fuso" potrebbero essere perseguiti anche in base al principio della giurisdizione universale. Ma le porte della giustizia internazionale rimangono chiuse

Roma, 21 aprile 2012, Nena News – In data 22 gennaio 2009, solo alcuni giorni dopo la fine delle operazioni militari israeliane sulla Striscia di Gaza, l’Autorità Palestinese depositò presso la Cancelleria della Corte Penale Internazionale una dichiarazione con cui, ai sensi dello Statuto di Roma del 1998 istitutivo della medesima Corte, ne accettava volontariamente la giurisdizione sui crimini internazionali tipizzati nello statuto, commessi  in territorio palestinese dal 1 luglio 2002. Tra questi, quelli commessi da Israele nel contesto della guerra su Gaza, di cui ampia documentazione si era offerta alla Corte.

La giurisdizione ratione materiae di quest’ultima riguarda secondo statuto (art.5) fattispecie criminali internazionali di assoluta gravità, quali crimini di guerra e contro l’umanità, genocidio e il crimine di aggressione.

Tali crimini potrebbero altresì esser perseguiti in virtù del principio della giurisdizione universale, un ulteriore meccanismo di giustizia internazionale che si fonda sull’obbligazione internazionale degli stati di castigarne i responsabili nell’esercizio della giurisdizione nazionale, con indipendenza della nazionalità del reo.

Se accettata, la menzionata dichiarazione avrebbe comportato il trasferimento della giurisdizione a favore della Corte e condotto, previa verifica dei requisiti di ammissibilità, tra cui l’assenza o l’inadeguatezza di indagini domestiche e la riconducibilità dei fatti nella competenza ex materia della Corte, all’apertura di indagini sui possibili crimini internazionali perpetrati da Israele nella Striscia di Gaza e nel resto dei territori palestinesi occupati.

Dall’entrata in vigore dello statuto nel luglio del 2002, la Corte, quale organo giurisdizionale permanente e sopranazionale, ha suscitato legittime aspettative tra le tante vittime che tuttora e spesso non trovano giustizia nell’ambito delle giurisdizioni nazionali, con cui la Corte è in rapporto di “complementarità”.

Tra queste, le migliaia di vittime palestinesi dell’operazione militare Piombo Fuso sulla Striscia di Gaza, che non hanno ricevuto giustizia, come è ormai da tempo accertato, nel sistema legale israeliano.

D’altronde, il rapporto (c.d. Goldstone) della Fact-Finding Mission delle Nazioni Unite sulla guerra a Gaza aveva indicato la corte come un appropriato foro onde indagare e giudicare i responsabili dei presunti crimini di guerra e possibili crimini contro l’umanità commessi nel contesto delle ostilità, qualora le parti in questione, come peraltro avvenuto, non vi avessero provveduto a livello domestico e in conformità agli standards internazionali.

“Nell’interesse delle vittime alla giustizia”, il medesimo rapporto auspicava che l’Ufficio del Prosecutor della Corte assumesse le necessarie determinazioni legali nel minor tempo possibile al fine di dare corso alla suddetta dichiarazione dell’Autorità Palestinese.

Il punto controverso risiedeva nell’accertamento della qualità di stato della Palestina agli effetti di tale dichiarazione e del proprio Statuto,  il quale è aperto all’adesione di stati (art. 125), che non siano peraltro necessariamente membri delle Nazioni Unite.

Ebbene, oltre tre anni sono stati necessari all’Ufficio del Prosecutor, retto dall’uscente Luis Moreno-Ocampo, per assumere una posizione al rispetto. In data 3 aprile scorso, questo ha comunicato che al momento è incerto se la Palestina possa qualificarsi come “stato” e che compete ad altri organi delle Nazioni Unite, tra cui il Segretario Generale, depositario degli strumenti di accessione allo Statuto della Corte, e l’Assemblea Generale, esprimersi al riguardo. Inoltre, si aggiungeva, l’Assemblea di Stati Parte dello Statuto, e ai soli effetti di questo, potrebbe altresì risolvere la questione dello status legale della Palestina.

In conseguenza, il Prosecutor non ha potuto “ricevere” la giurisdizione dall’Autorità Palestinese e non ha neppure esaminato le anzidette questioni di ammissibilità, su cui senza dubbio era competente, per decidere se richiedere o meno l’apertura di indagini sui crimini commessi in Palestina, tra cui quelli relativi all’operazione Piombo Fuso su Gaza. A conclusione, l’Ufficio del Prosecutor ha fatto salvi possibili sviluppi in sede ONU che possano permettere di rivedere in futuro l’attuale decisione, la quale è criticabile sulla base di alcune riflessioni.

Almeno ai soli effetti dello Statuto e al trasferimento alla Corte della giurisdizione criminale, la qualità di stato della Palestina sarebbe potuta basarsi, inter alia, sull’attuale riconoscimento della stessa da parte di circa 130 stati e dall’ammissione della Palestina all’UNESCO come membro di pieno diritto. Tale interpretazione “estensiva” del concetto di stato rilevante ai fini dello Statuto sarebbe stata funzionale alle finalità statutarie della Corte di reprimere le più gravi violazioni del diritto internazionale penale, quali i crimini internazionali, e combatterne l’impunità in favore delle vittime.

In ogni caso l’Ufficio del Prosecutor, avendo considerato decisiva la questione dello status legale della Palestina ai fini del possibile inizio delle indagini, e carente di ogni competenza ex Statuto nel dirimere tale punto, avrebbe potuto ex Statuto (art.19,3.) richiedere l’intervento della Pre-Trial Chamber della Corte, che in ogni caso avrebbe potuto verificare ogni questione di giurisdizione e ammissibilità nell’autorizzare o meno la richiesta del Prosecutor di apertura di indagini.

Al contrario, la decisione dell’Ufficio del Prosecutor, cui è altresì imputabile un ritardo inescusabile di 3 anni a detrimento delle esigenze di conservazione e raccolta degli elementi probatori e della persecuzione di tali fatti criminali, ha relegato la questione all’agone politico delle Nazioni Unite ove, semmai sarà prontamente presa in esame, verrà condizionata dai soliti veti e calcoli di parte a discapito dell’interesse delle vittime alla giustizia.

Le possibilità che la Corte possa finalmente esercitare la propria giurisdizione sulla Palestina dipenderanno dunque dalla volontà degli attori politici coinvolti.

La leadership palestinese potrebbe richiedere all’Assemblea Generale dell’ONU di qualificare la Palestina come stato tout court, rinunciando provvisoriamente alla piena dignità di stato membro dell’ONU che il regime del veto in seno al Consiglio di Sicurezza comunque allo stato attuale non consentirebbe. Ciò aprirebbe le porte all’accessione, tra gli altri trattati internazionali, allo Statuto della Corte.

Inoltre, la leadership palestinese potrebbe direttamente depositare lo strumento di accessione allo Statuto della Corte presso il Segretario Generale delle Nazioni Unite, che ne è depositario, affinché questi, o nuovamente l’Assemblea Generale, possano affrontare la questione dello status legale della Palestina.

La richiesta di deferire all’Ufficio del Prosecutor la situazione in Palestina al fine dell’apertura di indagini potrebbe altresì procedere a iniziativa di uno stato parte dello Statuto (art.14).

Con specifico riguardo alla situazione nella Striscia di Gaza, é ancor più urgente e opportuna la riattivazione del c.d. processo Goldstone in seno alle Nazioni Unite, potendo l’Assemblea Generale rimettere al Consiglio di Sicurezza una richiesta di deferimento di tale situazione all’Ufficio del Prosecutor, attivando cosi la giurisdizione della Corte (art.13 dello statuto).

E’ evidente che nessuno dei percorsi segnalati sarà facilmente perseguibile, soprattutto a causa di note volontà politiche che non sembrano ispirarsi agli interessi delle vittime.