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venerdì 26 ottobre 2012

Il Qatar annette anche Gaza

Che il Qatar sia emerso come un attore influente nello scacchiere mediorientale non è un mistero. Prima le intercessioni per conto della diplomazia iraniana verso l'Occidente, poi l'attivismo guerrafondaio in Libia e il sostegno smaccato alla Fratellanza Musulmana in Egitto e Tunisia, infine la sfrenata partigianeria anti-Assad nel marasma siriano. Oggi il potente emiro al-Thani mira più in alto, volgendo le sue attenzioni al punto più caldo della geografia levantina: Gaza.

Per anni la causa palestinese è stata un po' il principale collante delle popolazioni arabe, almeno dal punto di vista mediatico. Tutti a sbraitare contro Israele, ma nessuno a dare un sostegno concreto a Gaza e alla Cisgiordania. Se i Paesi del Golfo avessero donato anche solo un giorno all'anno di introiti petroliferi ai Territori occupati, forse oggi i palestinesi se la passerebbero un po' meglio. Invece nulla. Tante parole (e tutte contro Israele), ma fatti zero.

Solo la Turchia ha provato a smuovere quest'inerzia. La spedizione della Freedom Flottilla del 2010, condita dall'incidente della Mavi Marmara (n cui nove cittadini turchi persero la vita sotto il fuoco israeliano), è bastata ad Erdogan per accattivarsi molte simpatie in questo lato del mondo. Ma non è bastato. Perché Ankara non ha saputo sfruttare l'opportunità offerta dalla Primavera araba di divenire il nuovo faro della galassia islamica sunnita. E perché - dato non indifferente - non ha le risorse finanziarie di Doha.

In questo quadro la visita a Gaza dell'emiro del Qatar, Hamad bin Khalifa al-Thani, assume un importante significato. L'emiro è stato accolto in modo trionfale, e non soltanto perché ha annunciato l'avvio di una serie di progetti per un investimento complessivo di 400 milioni di euro. Come spiega Lettera43:

IL QATAR ROMPE L'ASSEDIO PALESTINESE. Ma Hamad bin Khalifa ha portato in dote anche un altro 'regalo' non meno rilevante.
Lo ha sottolineato a uso della Comunità internazionale il ministro Ismail Haniyeh nell'accogliere l'ospite: «Con questa visita lei ha ufficialmente rotto l'ingiusto assedio politico ed economico imposto a Gaza per più di cinque anni», ha detto all’emiro, ricordano la battaglia di Gaza del 2007 seguita alla vittoria elettorale del 2006 di Hamas, inserito nella lista delle «organizzazioni terroristiche» da gran parte delle cancellerie occidentali, tra cui Usa, Unione europea e Giappone.
La visita contribuirà certamente a rafforzare la posizione di Haniyeh, vincitore del confronto con Meshal per la leadership del movimento, ma sottoposto al nevralgico compito di gestione del cessate il fuoco rispetto a una popolazione a dir poco insoddisfatta delle condizioni di vita che si trova a sopportare.


FATAH-HAMAS, RICONCILIAZIONE DIFFICILE. Ma non solo. Il viaggio, comunicato al telefono solo domenica 21 ottobre a Abu Mazen, il leader dell'antagonista Fatah, sembra anche lasciar trasparire un maggior favore dell'emiro nei confronti di Hamas; quasi che da Doha si ritenga ormai al tramonto il processo di riconciliazione tra le due formazioni palestinesi, con ciò che ne potrebbe derivare sulla prospettiva della creazione di un solo Stato nazionale palestinese.
Forse è prematuro ipotizzare questo sbocco, vista l'attenzione con la quale il Qatar si è impegnato in favore di tale processo di riconciliazione nel passato - un’urgenza cui ha fatto rifermento lo sceicco nella sua visita - ma va tenuta comunque presente. Tanto più in considerazione della caduta di consenso di Fatah nelle elezioni amministrative in Cisgiordania.
È altresì verosimile che il movimento sfrutterà le credenziali dell'emiro per sollecitare il Cairo - che con il presidente Mohamed Morsi ha già mostrato di voler seguire una linea di significativa apertura - ad assumere una posizione più proattiva a favore del superamento del suo isolamento internazionale.
...

La sostanza sta nel giro di boa effettuato da Hamas allorché, a marzo, ha denunciato, per bocca del primo ministro, la politica repressiva del regime siriano di Bashar al Assad, collocandosi dunque al fianco dei ribelli sunniti (sostenuti proprio dal Qatar).

Si è trattato di un gesto forte con il quale il presidente di Damasco ha perso un ventennale alleato. Con l'aggravante, per il regime siriano e dunque anche per Teheran, di una serie di conseguenze a catena, quali l'inaugurazione da parte di Hamas di una nuova stagione di rapporti anche con Arabia Saudita, Turchia e Giordania: quasi il tracciato di un innovativo fronte transnazionale sunnita.

A RISCHIO IL RAPPORTO CON HEZBOLLAH. Il deterioramento degli storici rapporti tra Hamas e Teheran ne è un altro corollario, anche se non ancora definitivamente sanzionato, e fa supporre che gli sceicchi abbiano manifestato concreta disponibilità a surrogare l'apporto di risorse tradizionalmente assicurato dagli iraniani ad Hamas. Al momento, restano in piedi le relazioni tra lo stesso Hamas e il libanese Hezbollah, ma c'è da chiedersi fino a quando.

Il riposizionamento di Hamas, che ha sempre giocato un rilevante ruolo regionale, assume dunque una valenza geopolitica di cruciale sensibilità in questa fase di fermentazione dell'area mediorientale.

Sullo sfondo di questa realtà geostrategica può apparire stonato l'appellativo «umanitaria» associato alla visita dello sceicco del Qatar.

GAZA, PEDINA DELLA PRIMAVERA ARABA. Ma per la popolazione palestinese di Gaza, paradossalmente di entità similare a quella del Qatar ma incommensurabilmente più povera, la visita ha rappresentato il modo migliore per festeggiare l'importante festa religiosa islamica dell'Aid al Adha che da venerdì 26 è destinata a portare alla Mecca la gigantesca fiumana di qualche milione di pellegrini.

Il Golfo, d’altronde, è stato paradossalmente il principale beneficiario della Primavera araba, con l'affermazione delle forze politiche di ispirazione islamica sunnita. Gaza ne risulta ora una piccola, ma nevralgica tessera aggiuntiva.

Gaza è l'ultimo e forse più importante tassello del mosaico geopolitico qatariota. Dopo l'annessione de facto della nuova Libia liberata (?), le accuse di ingerenze da parte di mezzo mondo arabo, i tentativi di corruzione della Russia affinché lasciasse Assad al suo destino, la controversa iniziativa di ospitare un ufficio di rappresentanza dei taliban, e più di recente le opere umanitarie (tutt'altro che disinteressate) nel Nord del Mali, la martoriata città palestinese può essere il punto di arrivo, e insieme di partenza, dell'ascesa di Doha a potenza regionale.

Se non altro perché il momento della visita non è casuale. L'America è distratta dalle battute finali della campagna presidenziale, la Turchia è indecisa di entrare in guerra contro la Siria o no, la Russia deve fare i conti (in tutti i sensi) con le ristrettezze di bilancio e Israele (rectius: Netanyahu) è alle prese con la paranoia iraniana. Con i principali attori geopolitici in altre faccende affaccendati, l'emiro al-Thani ha avuto campo libero per mettere le mani su Gaza.

Anche a costo di inimicarsi Israele, che - come era facile immaginare - non ha mancato di stigmatizzare l'arrivo di al-Thani nella Striscia, col rischio di incrinare i già incerti rapporti tra Doha e Tel Aviv - benché l'emiro sia giunto a Gaza scortato da 12 caccia israeliani. In ogni caso, la visita di al-Thani non ha fermato gli attacchi israeliani sulla città.

Per finire, c'è da chiedersi se la politica estera del Qatar, così come avviata, possa essere sostenibile nel lungo periodo.