La Nuova Ecologia
22 maggio 2011

I semi dell’inganno
di Vandana Shiva

"Le sementi trasformate in bene sono incomplete su due livelli, sia perché la tecnologia le trasforma da risorsa rinnovabile in non rinnovabile sia perché per produrle si ha bisogno di ricorrere ad altri prodotti, in particolare a quelli chimici"

Le sementi, fonte di vita, l’incarnazione della nostra diversità biologica e culturale, legame tra il passato e il futuro dell’evoluzione, proprietà comune delle generazioni passate, presenti e future, vengono rubate dalle grosse aziende agricole che le rivendono come private. Su pressione del primo ministro (che a sua volta agisce su pressione della Casa Bianca in forza dell’accordo Usa-India sull’agricoltura) gli Stati dell’India stanno firmando il Memorandum of understanding (Mou) con le multinazionali per privatizzare il nostro ricco e variegato patrimonio ecologico. Il governo del Rajasthan, per esempio, ha firmato sette memorandum con diverse multinazionali, tra cui la Monsanto. Si tratta di un vero e proprio furto avallato dagli Stati chiamato Ppp, partnership pubblico–privato, che consentirà inoltre alle compagnie private di servirsi di infrastrutture statali per le loro attività.

Il Mou con la Monsanto, che riguarda il granturco, il cotone e le verdure, darà alla corporation il controllo della produzione alimentare che per anni è stato gestito dagli agricoltori. Per di più la varietà prodotta dagli agricoltori verrà rimpiazzata e cancellata perché invece di produrre e distribuire varietà pubbliche, le università agrarie statali stanno abdicando al loro compito e facilitano la privatizzazione della fornitura di sementi. In più, la vendita di ibridi – e quindi di ogm – è stata sovvenzionata usando terreni pubblici. La propaganda che la Monsanto porta avanti, basata su idee degli scienziati ed esperti globali della multinazionale, è stata chiamata “trasferimento di conoscenze”. Tuttavia, mentre risorse pubbliche verranno messe a disposizione della multinazionale sotto forma di sussidi, tutti gli strumenti, le tecnologie e i know how impiegati per la produzione del grano rimarranno all’interno dell’azienda, anche se usati nelle attività previste dal Mou.

Lo scopo del Mou è quello di privatizzare le sementi, violando così i diritti degli agricoltori. Infatti, la fornitura delle sementi, che le università stanno cedendo alla Monsanto, non sono né proprietà statale né della Monsanto, ma un bene comune delle comunità rurali. Come dice Jack Kloppenburg «le sementi sono un modo di produrre e un prodotto stesso. Sono un capitale con un solo ostacolo biologico: si riproducono e si moltiplicano solo a determinate condizioni. Le biotecnologie sono un tentativo di superare questo ostacolo e di trasformarle in semplice materia prima». In questo modo continua Kloppenburg «Si apre la strada all’accumulo capitalistico di cui le industrie private hanno bisogno per controllare la produzione e il commercio di semi».

Le sementi trasformate in bene sono incomplete su due livelli, sia perché la tecnologia le trasforma da risorsa rinnovabile in non rinnovabile sia perché per produrle si ha bisogno di ricorrere ad altri prodotti, in particolare a quelli chimici. Aggiungendo un input esterno al ciclo ecologico di produzione si gettano le basi per un’ agricoltura non sostenibile che accentua anche la povertà. Questo perché laddove la tecnologia non riesce a impedire ai contadini di produrre le proprie sementi, intervengono le restrizioni imposte dalla legge, come i brevetti e i diritti di proprietà intellettuale. Il cuore della questione diventa così il possesso e la proprietà, in questo caso della tecnologia necessaria per produrre le sementi. Così si spiegano gli accordi fra le multinazionali e l’esclusione dal mercato dei contadini.

Il futuro delle sementi, del cibo e dei contadini giace nella conservazione della biodiversità delle nostre sementi. Contrariamente al mito che vuole che per aumentare la produzione di cibo si debba cedere la fornitura di sementi alle corporates, la biodiversità delle piccole aziende agricole usata nei sistemi agroecologici, secondo l’Onu, può raddoppiare la produzione di cibo in 10 anni.

Le ricerche portate avanti da Navdanya mostrano come l’agricoltura ecologica basata sulla biodiversità produce più cibo che un’agricoltura basata sulle monocolture. Il furto delle sementi mette a repentaglio il concetto di sovranità alimentare e per questo va fermato.

 

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