di Lettera22 per il Fatto
16 aprile 2012

Medio Oriente, Abu Mazen a Netanyahu: “Israele ha reso la Palestina irrilevante”
di Joseph Zarlingo

Lettera di Abbas al primo ministro in vista del riavvio delle trattative di pace: "In altre parole l'Anp ha perso la sua ragion d’essere e per questo, se tutto ciò continua, non sarà in grado di mantenere i propri impegni". "Tolleranza zero verso la violenza" promette, ma dice di aspettarsi l'impegno israeliano verso la soluzione dei due Stati

Una lettera. Mittente: Mahmoud Abbas, presidente in carica dell’Autorità Nazionale Palestinese. Destinatario: Benyamin Netanyahu, primo ministro del governo israeliano. Il contenuto è una serie di rilievi che Abbas pone al premier israeliano per spiegare perché, con la sua condotta, Israele ha reso l’Anp “irrilevante”.

La lettera sarà consegnata a mano da Salam Fayyad, primo ministro dell’Anp, a Netanyahu in persona quando i due si incontreranno, nei prossimi giorni a Gerusalemme, per un colloquio delle delegazioni incaricati di riavviare un processo di pace che langue da oltre un anno e mezzo. Il testo della missiva è stato anticipato dall’Agence France Press e dice, con toni insolitamente chiari, quello che, oltre la Linea verde del 1967 che dovrebbe essere il confine internazionale della Palestina, tutti o quasi ammettono: “L’Anp ha perso la sua ragion d’essere”, scrive Abbas, aggiungendo che “lo status quo non può continuare”.

“Come risultato delle condotte da successivi governi israeliani, l’Autorità nazionale palestinese non ha più alcuna autorità né alcuna giurisdizione significativa nelle sfere politiche, economiche, territoriale e di sicurezza” scrive il presidente. “In altre parole, l’Anp ha perso la sua ragion d’essere e per questo, se tutto ciò continua, non sarà in grado di mantenere i propri impegni”.

L’Anp era stata creata nel 1994, sulla base degli accordi di pace di Oslo, che avrebbero dovuto aprire la strada alla creazione di uno stato palestinese. Sono passati ormai quasi venti anni da allora, ma la situazione sul terreno è che il “controllo palestinese” non è mai andato oltre le cosiddette Zone A, in pratica i principali centri abitati della Cisgiordania e poco più, con costanti e severe limitazioni anche in queste zone, complessivamente circa il 10 per cento della Cisgiordania, in un mosaico di “enclaves” palestinesi in mezzo al territorio controllato direttamente dagli israeliani o formalmente da entrambi.

Nel corso degli anni, i governi israeliani hanno giocato a indebolire l’Anp, sia dal punto di vista politico che economico, salvo poi dire che nel campo palestinese manca un interlocutore credibile. La stessa Anp, del resto, ci ha messo del suo con una gestione di quel che rimane della “sfera pubblica” palestinese spesso incline alla corruzione e ai giochi di potere interni, nonché alle violazioni dei diritti umani dei dissidenti, specialmente dei gruppi islamisti. Per restare in Cisgiordania, lasciando da parte la Striscia di Gaza, sottratta di fatto all’Anp dallo scontro interno vinto da Hamas nel 2007, l’erosione della credibilità dell’Anp, poi, è cresciuta rapidamente con la costruzione del Muro che ha ulteriormente frazionato il territorio palestinese e complicato in modo sistematico la libertà di movimento dei palestinesi, aumentando il controllo israeliano su tutto il territorio compreso tra il fiume Giordano e la costa Mediterranea.

“Vogliamo evitare di scivolare verso l’opzione di un solo Stato – prosegue Abbas – Specialmente perché lo status quo non può continuare”. La lettera, comunque, non è soltanto una lamentela politica verso Israele, ma contiene anche l’invito al governo di Netanyahu a chiarire “al più presto possibile” la posizione ufficiale sui quattro punti che per l’Anp sono la base dei negoziati: riconoscimento dei confini del 1967 come base di partenza, sospensione delle attività delle colonie, illegali per il diritto internazionale, che continuano a erodere territori ai palestinesi, liberazione dei prigionieri politici e annullamento di quei provvedimenti che, negli ultimi dodici anni, hanno spogliato l’Anp di quasi ogni peso politico. “Io ribadisco il nostro pieno impegno per una politica di tolleranza zero verso la violenza. In cambio mi aspetto che il governo israeliano ammetta che la politica degli insediamenti ha eroso la fiducia del popolo palestinese nell’impegno israeliano verso la soluzione dei due stati – continua il testo – La logica è semplice: se il governo israeliano appoggia la creazione di uno stato palestinese, perché continua costruire sul territorio di questo stato?”.

La questione della continua crescita degli insediamenti colonici è stato il punto di rottura dei negoziati nel 2010 e nonostante le ripetute sollecitazioni internazionali, comprese quelle (pur con molte remore) della Casa Bianca, il governo di Netanyahu non è andato oltre un “congelamento” di alcuni mesi della crescita degli insediamenti, ma solo di quelli considerati illegali anche dal governo israeliano.

Da gennaio di quest’anno, ci sono stati cinque incontri tra delegazioni di negoziatori israeliani e palestinesi, ma non si è ancora trovato un accordo sul modo per far procedere le trattative. Per cui, non sono grandi le aspettative attorno al summit tra Netanyahu e Fayyad, anche se sarà l’incontro bilaterale al più alto livello da molto tempo in qua. Nelle prossime settimane, poi, Yiztak Molcho, capo negoziatore israeliano, incontrerà Mahmoud Abbas e gli consegnerà una lettera di Netanyahu. Un contatto epistolare che la dice lunga sullo stato quasi grottesco dei rapporti tra due leader politici che sono fisicamente a pochi chilometri di distanza.