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25 luglio 2012

L’appello di Riace
di Antonio Marafioti

I centocinquanta migranti che vivono a Riace sono una mini comunità in una piccola comunità. I quasi milleottocento abitanti del paese calabrese li hanno “adottati” da qualche anno, da quando frotte in cerca di vita si sono riversate in Italia dopo lunghi viaggi per scampare alla morte. Nel 2009 il regista tedesco Wim Wenders, palma d’oro a Cannes, ha deciso di raccontarne la storia nel suo cortometraggio Il volo. Dopo due anni Riace, come Caulonia e Acquaformosa, è in piena emergenza immigrati. I fondi governativi previsti progetto Emergenza Nord Africa non vengono erogati dal luglio dell’anno scorso. Perché? Si parla di problemi a livello burocratico visto che gli stanziamenti sono stati già fatti, ma la protezione civile, che deve gestirli e assicurare l’adempimento del piano, non si muove. I sindaci delle tre cittadine ioniche hanno scritto alla Corte dei Conti regionale che ha evidenziato un vizio di forma (mancato parere preventivo) e ha bloccato i fondi. Da quel giorno il primo cittadino di Riace, Domenico Lucano, insieme al suo collega di Acquaformosa, Giovanni Manoccio, e all’operatore sociale di Caulonia, Giovanni Maiolo, sono in sciopero della fame.

Sindaco Lucano continua ancora la sua protesta?
«Da sei giorni, e non ho intenzione di smettere per il momento».

Si parla di uno stanziamento di milioni di euro, ma Riace, Acquaformosa e Caulonia non hanno ricevuto ancora nulla. Perché?
«Perché noi abbiamo aderito al progetto Emergenza Nord Africa come comuni della rete Sprar (Servizi per richiedenti asilo e beneficiari di protezione) e non siamo stati chiamati in affidamento diretto come è avvenuto per alcune organizzazioni che si sono attivate all’indomani di quanto è avvenuto in Libia. Dopo che, per capirci, si è verificata l’urgenza di collocare persone che in altre parti d’Italia venivano prese di mira: mi riferisco ai fatti di Mineo, Manduria, Castelvolturno, dove gli immigrati sono stati ammassati come pacchi. La protezione civile regionale ha ricevuto mandato dal commissario delegato all’emergenza, Franco Gabrielli, di coordinare le attività di accoglienza per i cittadini nordafricani. Noi siamo comuni dello Sprar e abbiamo dei protocolli di accoglienza che riguardano aspetti pubblici, servizi sociali, case recuperate dall’abbandono. Strategie per ripopolare i borghi in via di spopolamento con un’attenzione particolare ai bambini che seguono dei corsi pomeridiani di recupero. È una forma di accoglienza più complessa, non certo equivalente a quello che è avvenuto con i deportati delle megatendopoli di Mineo».

La protezione civile è l’unico soggetto che può liberare questi fondi?
«In Calabria è in corso una diatriba con la sezione regionale della Corte dei Conti che non accetta queste riscossioni di pagamento perché mancanti fin dall’origine del suo parere preventivo. Su questo punto sono intransigenti, anche se si sono avute ripercussioni molto pesanti, soprattutto per i programmi di Riace, Acquaformosa e Caulonia dove da circa un anno non si ricevono fondi, anche se nel caso di Riace abbiamo accolto centotrenta persone fra le quali bambini e donne incinte. È da diversi anni che a Riace utilizziamo una sorta di moneta locale che un bonus spendibile solo qui. Purtroppo da circa un mese gli esercenti non accettano più questa forma di pagamento, per cui il sistema è andato in crisi. A questo si aggiungono le bollette della luce e del gas, che comunque non possiamo pagare con i bonus. Questo mio gesto è stato obbligato».

Non ha aspettato che si muovessero i rifugiati.
«Non sarebbe stato giusto. Dovevo farlo in prima persona, senza attendere che a farlo fossero gli immigrati come è avvenuto a Rosarno».

Quindi l’ultima parola a chi spetta?
Ci sono due livelli. Il primo è legato alla gestione piuttosto approssimativa da parte della protezione civile, non solo in Calabria, ma in tutta Italia. Hanno più di una volta ammassato la gente in attesa che venissero prese decisioni. Noi seguiamo i protocolli dello Sprar in virtù dei quali bisogna garantire una serie di servizi sociali. Il secondo livello è quello che lega la protezione civile alla Corte dei conti. Nei loro botta e risposta gli unici a pagare siamo noi. Ora forse si muoverà qualcosa, ma finché non lo vedrò non ci crederò.

Che cosa contesta la Corte dei conti?
Che le convenzioni che ci sono fra soggetto attuatore e chi ha gestito i progetti sono prive di applicabilità giuridica perché non c’è l’autorizzazione preventiva così come sancita dalla legge promossa dall’ex ministro dell’Economia Giulio Tremonti.

Quello che si è apprezzato di più in questa situazione drammatica è stata la solidarietà dei cittadini e dei negozianti di Riace. Ora però il sistema dei crediti sembra aver fatto il suo corso. Che cosa accadrà?
È da dieci anni che la comunità locale accoglie senza problemi gli immigrati. Questo è giusto ricordarlo. Ma continuare così, senza ricevere nulla, senza energia elettrica nelle case, con una fatica enorme per garantire il vitto, è impossibile. Nessuno ci può obbligare ad andare avanti con queste difficoltà. Il comune che amministro non ha risorse, non ce lo possiamo fare. Quindi se continuano così ci condannano e se ci condannano è giusto che queste persone vengano trasferite in un luogo che possa garantirgli un trattamento migliore.

Nei giorni scorsi lei ha utilizzato un’espressione piuttosto forte dicendosi pronto anche a morire se questa situazione non dovesse risolversi. È possibile che uno sciopero a oltranza sia l’unica via percorribile?
È stata un’uscita forte, ma necessaria a far capire a tutti che non si tratta di uno scherzo. Era l’unico strumento che avevo per far in modo che l’opinione pubblica si rendesse conto di quanto accade nel nostro piccolo paese. Ma ci tengo a ribadire che l’ho fatto sulla mia pelle, senza sobillare i miei concittadini. Pare che qualcosa si stia muovendo. Il commissario Gabrielli si sta impegnando affinché si riconosca un debito fuori bilancio, visto che comunque i servizi noi li abbiamo resi e non ci può essere un arricchimento indebito da parte della Regione. Se ci rivolgessimo a dei legali sicuramente il tribunale ci darebbe ragione. Ma non è questo l’obiettivo. Il nostro scopo è quello di porre fine a questo dramma.

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