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12 gennaio 2012

Da una sponda all’altra: vite che contano 

“Immagini, tu?” chiede il testo di un appello delle famiglie dei migranti tunisini partiti subito dopo la rivoluzione verso l’Europa e che non hanno dato notizia del loro arrivo, “tuo fratello o tuo figlio parte e non dà più notizie di sé dopo la sua partenza. Non è arrivato? Non lo sai (…) potrebbe essere in una cella di isolamento, potrebbe essere stato arrestato come passeur, potrebbe essersi rivoltato nel centro di detenzione, potrebbe…. Potrebbe essere in Italia, ma forse a Malta, forse in Libia”.

Sabato 14 gennaio 2012 è il primo anniversario della rivoluzione tunisina: un’inarrestabile pretesa di libertà espressa da donne e uomini che hanno fatto cadere una dittatura dando luogo a quell’improvviso sommovimento degli spazi delle cosiddette “primavere arabe” che tutte/i abbiamo ammirato. Noi siamo un gruppo di donne italiane e tunisine che per il 14 gennaio di quest’anno ha deciso di organizzare un presidio davanti alla Prefettura di Milano (corso Monforte, ore 10) per sostenere l’appello dei familiari tunisini e ribadire che la parola libertà senza libertà di movimento è una parola vuota. Una parola troppo facile da usare persino nelle retoriche delle politiche europee di controllo delle migrazioni, per anni complici e sostenitrici dei vari dittatori del Maghreb e del Mashreq per bloccare proprio la libertà di movimento. In quell’occasione consegneremo al Prefetto di Milano e al Console tunisino una lettera indirizzata ai Ministri degli esteri e degli interni italiani e tunisini in cui si chiede di rispondere alla domanda che i familiari di quei giovani dispersi rivolgono da troppo tempo alle istituzioni del loro paese e alle istituzioni italiane: uno scambio delle impronte digitali conservate nei database dei due paesi. Un incrocio dei dati, su richiesta dei genitori, per ritrasformare le impronte di quei giovani in vite, o, eventualmente, in morti, di cui fare il lutto e da aggiungere all’infinito elenco delle morti di migranti nel Mediterraneo che, volute dalle politiche di controllo delle migrazioni, hanno trasformato quel mare in un cimitero marino. Basterebbe questo semplice gesto, infatti, per rispettare il dolore dei familiari tunisini, dovendo riconoscere, almeno indirettamente e in parte, le vite di quei giovani e il loro desiderio di libertà. A tutte/i, e a tutte/i coloro che hanno sostenuto la campagna “Da una sponda all’altra: vite che contano” in appoggio all’appello dei familiari, chiediamo di partecipare all’iniziativa.

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