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08/11/2012 08:59

Per timore dei tibetani, durante il Congresso Pechino chiude i confini con il Nepal
di Kalpit Parajuli

Le frontiere resteranno chiuse fino al 9 novembre, alla chiusura del raduno comunista. Protestano gli industriali di entrambi i Paesi che dovranno fermare le loro attività con gravi danni per l'economia.

Kathmandu (AsiaNews) - Pechino e Kathmandu chiudono i confini per evitare qualsiasi influenza esterna durante il  il 18mo Congresso del Partito comunista cinese (Pcc). Secondo gli esperti la mossa della Cina serve per bloccare sul nascere eventuali iniziative di protesta della comunità tibetana in esilio in Nepal.

Nei prossimi giorni nulla potrà transitare fra le due frontiere, che riapriranno solo il 9 novembre.  La decisione ha scatenato la protesta di numerosi uomini d'affari e aziende di entrambi i Paesi, che hanno chiesto a entrambi i governi di regolare il passaggio lungo i confini invece del blocco.

Suraj Baidhya, industriale ed ex responsabile della Camera di commercio nepalese spiega che "in nome della sicurezza, Pechino e i maoisti nepalesi sono disposti a far predere migliaia di dollari alle proprie aziende".

Secondo Lokraj Baral, docente universitario, "La Cina teme l'ingresso di occidentali e leader tibetani". Lo studioso sostiene che il governo cinese è paranoico ed enfatizza la reale minaccia dei tibetani in esilio in Nepal, già sottoposti da anni a misure di sicurezza molto rigide.

Il Nepal ha 1.414 km di frontiera in comune con il Tibet. Dal 1990 al 2006 la monarchia parlamentare, su consiglio dell'India, ha consentito la libera circolazione degli esuli tibetani nel Paese. Il Dalai Lama e membri del governo tibetano in esilio a Dharamsala (India) hanno visitato più volte il Paese. A tutt'oggi sono oltre 20mila i rifugiati tibetani registrati presso gli uffici Onu. Dopo l'abolizione della monarchia nel 2006 e la salita al potere di formazioni maoiste e comuniste il Nepal ha cambiato rotta, abbandonando lo storico alleato indiano e allacciando stretti rapporti con la Cina. In cambio di aiuti economici Pechino ha chiesto la repressione di qualsiasi manifestazione anticinese.

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