Fonte: The Tibet Post - Redazione
http://www.italiatibet.org/
13 aprile 2012.

Come nel 2009 a Machen, un Tibetano Sceglie la Morte Gettandosi nel Gange a Calcutta

E’ accaduto nella notte tra il 2 e il 3 aprile ma la notizia è stata data i giorni successivi e ripresa con nuovi particolari l’11 aprile dal sito tibetano Tibet Post. Dhondup Phuntsok, un tibetano di 26 anni si è immolato a Calcutta saltando dal ponte Howrah e gettandosi nel Gange. Sconvolto dalla notizia dell’immolazione di Jamphel Yeshi, a New Delhi, Dhondup, prima di compiere l’atto estremo ha scritto di suo pugno un messaggio in cui solleva i suoi amici e compatrioti tibetani da ogni responsabilità legata al suo gesto.

“E’ una mia personale decisione” – scrive Dhondup Phuntsok – “Qualsiasi conseguenza possa derivare da quanto compirò questa notte, non preoccupatevi, nessuno di voi è coinvolto, cancellerò tutti i numeri dal mio cellulare così nessuno sarà contattato se dovessi essere preso mentre compio quanto ho deciso o durante le indagini della polizia; ripeto, non preoccupatevi, siate certi delle mie parole”. “Tibet libero”, conclude il messaggio. Il suo corpo è stato ripescato dal Gange il 6 aprile: indossava una Tshirt con la scritta Free Tibet.

Nato a Darjeeeling, dove aveva compiuto i suoi studi, Dhondup si era trasferito a Calcutta con la famiglia. Così parla di lui Tenzin Tsundue, scrittore e Presidente della sezione regionale del Tibetan Youth Congress: “Non l’avevo mai incontrato personalmente ma ricevevo spesso suoi messaggi e telefonate nelle quali discutevamo sui modi migliori per sensibilizzare la comunità tibetana in India sul problema del Tibet”.

Dopo i trentaquattro casi di immolazione con il fuoco, Dhondup ha sacrificato la sua vita gettandosi nel fiume. Il suo gesto non è il solo. Richiama infatti alla memoria quello di Tashi Sangpo, ventotto anni, residente nel monastero di Golok Ragya, nella contea di Machen, regione del Qinghai, che il 21 marzo 2009 si è tolto la vita gettandosi nel fiume Machu. Nei giorni precedenti il 10 marzo, nel monastero, da giorni sotto il costante controllo della polizia, erano stati trovati numerosi volantini di protesta e una grande bandiera tibetana era stata fatta sventolare sul tetto della principale sala di preghiera. Alcuni monaci erano stati arrestati e il monastero completamente isolato. Le forze di sicurezza avevano affermato di aver trovato sia i volantini sia la bandiera nella stanza di Tashi Sangpo. Il giovane monaco, in segno di protesta e piuttosto che subire l’arresto, si era allontanato dal monastero e si era suicidato gettandosi nel fiume. Non appena si è diffusa la notizia della sua morte, gli abitanti di Ragya erano scesi nelle strade con bandiere e striscioni, al grido di “Indipendenza per il Tibet” e “Lunga vita al Dalai Lama”.

 

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