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10 marzo 2011
Dharamsala

Discorso del Kalon Tripa Prof. Lobsang Sangay nel 53° Anniversario dell’Insurrezione Nazionale Tibetana

Oggi, 53°anniversario dell’Insurrezione Nazionale Tibetana e 4°anniversario delle proteste di massa avvenute in Tibet nel 2008, rendo omaggio alla gente coraggiosa che tanto si è sacrificata per il Paese. Nonostante cinquantatre anni di occupazione da parte della Repubblica Popolare Cinese, lo spirito e il senso dell’identità nazionale dei tibetani rimangono intatti.

In questa occasione, rendo omaggio a Sua Santità il Dalai Lama per la sua visione, la sua guida e la sua benevolenza. Esprimo inoltre il più profondo rispetto e la mia gratitudine alle generazioni dei più anziani che, grazie al loro prodigarsi e al loro incessante impegno, hanno reso possibile nell’arco degli ultimi cinquant’anni la crescita e il dinamismo del nostro movimento.

Un anno fa, quando Sua Santità il Dalai Lama annunciò il trasferimento del potere politico a un leader democraticamente eletto, i tibetani si mostrarono preoccupati e lo implorarono di tornare sulla sua decisione. Oggi, il mondo intero riconosce e applaude la visione e la generosa decisione di Sua Santità. I tibetani in esilio in India e quelli della diaspora sparsi in oltre quaranta paesi hanno serenamente affrontato la transizione eleggendo nel 2011, con votazioni libere, corrette e con più candidati, il nuovo parlamento e il Kalon Tripa.

Sono profondamente onorato per le benedizioni, la legittimazione, l’autorità e la continuità politica che Sua Santità il Dalai Lama mi ha accordato. L’8 agosto 2011, nel discorso pronunciato alla cerimonia del mio insediamento, Sua Santità ha detto: “Quando ero giovane, un reggente anziano, Takdrag Rinpoche, ha devoluto alla mia persona il Sikyong, la leadership politica, e io oggi la devolvo al giovane Lobsang Sangay…realizzando, nel farlo, un obiettivo a lungo perseguito”.

Sono inoltre estremamente commosso per la solidarietà e l’appoggio ricevuto dai tibetani all’interno del Tibet sia durante le elezioni sia a partire dal momento in cui ho assunto la carica. Ho avuto modo di parlare con centinaia di tibetani provenienti dal Tibet in occasione di incontri particolarmente toccanti perché tutti mi hanno generosamente offerto la loro benedizione e il loro sostegno.

Consacrato dalla storica devoluzione del potere politico da parte di Sua Santità, riconosciuto nell’esercizio del potere dal mandato ricevuto dal popolo e sostenuto dal riconoscimento e dalla solidarietà dei tibetani all’interno del Tibet, posso affermare con orgoglio e convinzione che l’Amministrazione Centrale Tibetana legittimamente rappresenta e parla in nome di tutti i sei milioni di tibetani.

Non si è avverata né mai si avvererà la tesi di Pechino secondo la quale un cambio generazionale nella leadership avrebbe indebolito il movimento per la libertà dei tibetani. La volontà di risorgere dei tibetani unita all’affacciarsi alla vita politica di una nuova e colta generazione favorirà la formazione di una leadership dinamica e sosterrà il movimento fino alla liberazione del Tibet.

Se fosse vero, come afferma Pechino, che i tibetani godono di libertà e uguaglianza, il governo cinese dovrebbe allora consentire lo svolgimento, in Tibet, di elezioni democratiche, trasparenti, libere e corrette. Nel corso di cinquantatre anni di occupazione, nella cosiddetta Regione Autonoma Tibetana (TAR) nessun tibetano ha mai occupato il posto di Segretario del Partito. I cinesi ricoprono la maggior parte delle cariche decisionali in tutti i rami del governo e costituiscono oltre il 50% della forza lavoro nel settore pubblico. Il 70% delle imprese del settore privato appartiene o è gestito dai cinesi. Il 40% dei tibetani diplomati o laureati sono disoccupati.

La questione tibetana va ben oltre il problema dei diritti e del benessere di sei milioni di tibetani. Riguarda l’intero pianeta. La peculiare cultura tibetana, ricca della sua lingua, spiritualità e storia, deve essere protetta. L’altopiano tibetano è il “terzo polo” del mondo perché, dopo i poli Nord e Sud, possiede le più vaste distese di ghiaccio della Terra. Dai ghiacciai tibetani, dai quali nascono dieci grandi fiumi, dipende la vita di un miliardo e mezzo di persone. Risorse minerarie del valore di miliardi di dollari sono sfruttate ogni anno per alimentare l’economia cinese. Decenni di disboscamento hanno dimezzato le antiche foreste del Tibet. E’ evidente che la gestione di queste ricchezze, patrimonio comune dell’umanità, e il tradizionale ruolo svolto dal popolo tibetano a loro salvaguardia, dovrebbero essere un interesse primario dell’intero pianeta.

Quando la Cina invase il Tibet, nel 1949, promise di introdurre nel Paese il “paradiso socialista”. In realtà i tibetani sono trattati come cittadini di seconda classe. Quando i tibetani si riuniscono pacificamente per chiedere il riconoscimento dei loro diritti fondamentali, previsti dalla costituzione cinese, sono arrestati o presi a fucilate e uccisi, come è accaduto durante le pacifiche manifestazioni del 23 e 24 gennaio, nel corso dei festeggiamenti del capodanno cinese. Nella Regione Autonoma è stato chiesto ai quadri del Partito Comunista di prepararsi alla “guerra” contro i manifestanti tibetani. 

In modo del tutto opposto, a Wukan, nella Provincia del Guandong, la ribellione del popolo cinese è durata settimane, le rivendicazioni dei dimostranti sono state esaudite, uno dei leader della protesta è stato nominato nuovo Segretario del Partito e le autorità provinciali hanno perfino appoggiato la richiesta di libere elezioni nel villaggio.

In Tibet, intellettuali, artisti e uomini di spicco sono arrestati e imprigionati arbitrariamente. Migliaia di pellegrini di recente tornati dall’India sono stati fermati e molti sono scomparsi. I tibetani, compresi i monaci e le monache, sono obbligati a denunciare il Dalai Lama e a frequentare corsi di ri-educazione patriottica. Agli stranieri e ai media internazionali è proibito l’accesso alle aree tibetane.

Uno studioso cinese ha recentemente osservato che a Lhasa, la capitale del Tibet, vi sono “più cinesi che tibetani, più poliziotti che monaci, più telecamere di sorveglianza che finestre”. Nell’intera regione vige una legge marziale di fatto.

In Tibet, la Cina ha costruito molti campi d’aviazione, ha dislocato molte divisioni dell’Esercito di Liberazione del Popolo (PLA), ha iniziato a prolungare la linea ferroviaria verso gli stati confinanti e ha inviato migliaia di paramilitari nelle aree a popolazione tibetana. Il Tibet è diventato una delle zone più militarizzate del paese.

Oggi in Tibet non è più consentito organizzare forme convenzionali di protesta come gli scioperi della fame, le dimostrazioni o le manifestazioni pacifiche. I tibetani devono perciò ricorrere ad atti estremi come quelli compiuti da 26 compatrioti che, a partire dal 2009, si sono auto immolati. Sua Santità il Dalai Lama e l’Amministrazione Centrale Tibetana hanno sempre scoraggiato queste azioni. Tuttavia, nonostante i nostri appelli, i tibetani continuano ad auto immolarsi e, solo nel 2012, si contano ormai 14 casi di immolazione. La colpa è interamente imputabile a quelli che, a Pechino, sostengono la linea dura e spetta a loro trovare la soluzione. Le auto immolazioni esprimono un forte rifiuto delle vuote promesse del cosiddetto “paradiso socialista” e un’affermazione dell’identità e della dignità tibetana.

La lotta dei tibetani non è rivolta contro il popolo cinese o contro la Cina in quanto nazione. E’ contro le politiche del governo cinese. La Cina deve prendere atto della gravità del problema e capire che non può risolverlo ricorrendo alla violenza.

Per una soluzione della tragedia del Tibet chiedo a Pechino di accettare la nostra politica della Via di Mezzo che configura una reale autonomia del Paese nel quadro della normativa prevista dalla costituzione cinese e come delineato nel nostro Memorandum del 2008 e nella Nota allo stesso del 2010. Ad Hong Kong e Macau è stato riconosciuto un alto grado di autonomia e, nonostante le resistenze di Taiwan, la Cina ha offerto anche all’isola – come passo verso la riunificazione – una significativa autonomia. Perché, come prevede la stessa costituzione cinese, una simile, genuina autonomia non è stata ancora concessa ai tibetani?

Speriamo che i futuri leader cinesi vogliano attuare un reale cambiamento e siano tanto saggi da riconoscere che, in Tibet, la linea dura a lungo portata avanti dal governo è fallita. Abbiamo scelto di percorrere una via di reciproco vantaggio, anche se storicamente il Tibet ha goduto dello status di indipendenza e i tibetani, in accordo alla legge internazionale, hanno diritto all’autodeterminazione. I cittadini e gli intellettuali cinesi che hanno a cuore la questione dovrebbero sforzarsi di cercare la verità e di comprendere il motivo per cui i tibetani protestano e si immolano. Il dialogo e una soluzione pacifica del problema tibetano sono nell’interesse della Cina, del popolo cinese e di quello tibetano.

Siamo pronti a mandare in Cina i nostri inviati per riprendere il processo di dialogo, anche se, negli ultimi tempi, i rappresentanti cinesi del Dipartimento del Fronte Unito per il Lavoro, nostra controparte, hanno preferito investire le loro energie girando per il mondo e attaccando in modo vergognoso Sua Santità il Dalai Lama e l’Amministrazione Centrale Tibetana guidata dal Kalon Tripa. In realtà, così facendo, hanno ulteriormente pubblicizzato a livello internazionale la questione tibetana.

Le Nazioni Unite furono principalmente create a difesa dei diritti umani. Chiedo all’ONU di essere fedele ai suoi obiettivi e di occuparsi della crisi tibetana nominando uno Special Rapporteur per il Tibet che visiti il Paese.

La comunità internazionale e i media dovrebbero inviare in Tibet una delegazione in grado di accertare la verità dei fatti e di rimuovere il velo della censura e della disinformazione. Come riportato da Reporter senza Frontiere, “Perfino Pyongyang (Corea del Nord) conta una notevole presenza dei mezzi di informazione internazionali, del tutto assenti a Lhasa”.

Alla luce dell’importanza del Paese dal punto di vista sia geopolitico sia ambientale, in quanto dall’altopiano tibetano dipende la vita di miliardi di persone in tutta l’Asia, chiedo ai funzionari e agli stati membri dell’ASEAN e della SAARC di includere nella loro agenda il Tibet. Se la Cina fosse in grado di affrontare la questione tibetana, sarebbe per ogni paese asiatico un vicino più pacifico e contribuirebbe all’armonia e alla stabilità dell’intero continente.

Miei compatrioti tibetani, è arrivato il momento di mostrare sostegno e solidarietà ai nostri fratelli e sorelle in Tibet. Dobbiamo dare massima priorità all’istruzione per consentire a una comunità tibetana scolarizzata e partecipe di esprimere una leadership politica dinamica in grado di portare avanti il movimento fino alla liberazione del Tibet. Il Kashag vi chiede di recitare ogni mercoledì mantra e preghiere per quanti hanno sacrificato le loro vite per la causa tibetana. I più giovani facciano propria e celebrino la nostra orgogliosa eredità e identità culturale vestendosi, parlando e mangiando, ogni mercoledì, secondo la tradizione tibetana.

Facciamo del 2012 un anno di sostegno al Tibet. In questo nuovo anno, chiedo a tutti i tibetani e ai loro amici, in qualunque paese risiedano, di contattare a livello sia nazionale sia locale i loro rappresentanti eletti. Invitateli e informateli sulla situazione in Tibet e dell’impegno di Sua Santità il Dalai Lama e del Kashag. Fate in modo che si discuta del Tibet e che siano promulgate norme a suo favore e a favore del popolo tibetano. Intraprendete iniziative che diano risalto alla democrazia tibetana e visibilità alla sua leadership politica e al suo governo.

Il 14° Kashag si adopererà al massimo per portare a compimento il nostro fine ultimo e, lavorando in modo conforme ai principi di unità, innovazione e fiducia in noi stessi, compirà i passi necessari per preparare il popolo e le istituzioni tibetane al 21° secolo. Ancora una volta il Kashag chiede a tutti i tibetani e agli amici impegnati in campagne di solidarietà di vigilare affinché tutte si svolgano in modo pacifico, in ottemperanza alle leggi locali e con dignità. Vi prego di ricordare che la non-violenza e la democrazia sono due dei nostri più importanti principi ispiratori.

Il popolo tibetano e l’attuale Kashag sono benedetti dalla continua presenza e dalla saggezza di Sua Santità, il grande 14° Dalai Lama. A proposito della reincarnazione, il Kashag condivide e sostiene nel modo più assoluto quanto dichiarato da Sua Santità lo scorso 24 settembre 2011: siamo convinti che solo Sua Santità abbia il diritto di determinare la propria reincarnazione e che il governo comunista cinese non abbia alcuna voce né ruolo in materia.

Colgo questa occasione per ringraziare tutti i governi - soprattutto quelli degli Stati Uniti, dell’Europa e dell’Asia - le organizzazioni, i Gruppi di Sostegno al Tibet e tutti i singoli individui che hanno aiutato il popolo tibetano. Il vostro supporto è altamente apprezzato. Chiedo ai nostri vecchi e nuovi amici di dare nuovo slancio, in tutto il mondo, ai Gruppi di Sostegno: in questo difficile momento abbiamo più che mai bisogno di voi. Il Kashag ringrazia inoltre il Chitue Lhentsok per la sua piena cooperazione e auspica di averlo tra i suoi partner per servire nel modo più concreto il Tibet e il popolo tibetano.

Sono altresì lieto di esprimere al governo e al popolo dell’India la profonda e incessante gratitudine del popolo tibetano per la generosa ospitalità e gentilezza a noi riservata negli ultimi cinquant’anni. Il mio personale apprezzamento è enormemente aumentato da quando ho assunto la carica di leader politico. Hardik Shukriya!

Infine, vorrei dire ai nostri cari fratelli e sorelle in Tibet che siete nei nostri cuori e nelle nostre preghiere tutti i giorni. Cammineremo al vostro fianco fino a quando il Tibet riavrà la libertà e Sua Santità il Dalai Lama potrà fare ritorno nel Paese. Prego per la lunga vita di Sua Santità. Possa realizzarsi presto il nostro fine ultimo, da lungo tempo desiderato, di essere liberi e riuniti nella Terra delle Nevi!

Il Kalon Tripa

 

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