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19/03/2013

“I miei anni sotto lo bombe Usa”
Intervista al giornalista iracheno 
che lanciò la scarpa contro Bush
di Francesco De Leo

Baghdad, 14 dicembre 2008 - Muntazar al-Zaydi lancia le sue scarpe contro il presidente degli Stati Uniti George Bush durante una conferenza stampa che il Presidente teneva insieme al primo ministro iracheno Nuri al-Maliki. L’attacco del marzo del 2003, il rapimento e il gesto entrato nella storia: parla Muntazar al-Zaydi

Dieci anni fa, nella notte tra il 19 e il 20 marzo del 2003, caddero le prime bombe su Baghdad. Fu l’inizio della seconda Guerra del Golfo. oltreradio.it, la nuova web-radio di attualità internazionale, nata in collaborazione con RadioRadicale, ricorderà l’evento mercoledì prossimo con lo speciale “A 10 anni dall’Iraq”. Tante le testimonianze raccolte e tra queste l’intervista esclusiva al giornalista iracheno Muntazar al-Zaydi, diventato celebre per aver lanciato le sue scarpe al presidente americano George W. Bush. lastampa.it la pubblica in anteprima. 

Muntazar al-Zaydi lei è conosciuto per alcuni episodi strettamente connessi alle vicende dell’Iraq nella seconda Guerra del Golfo. Dieci anni fa il primo bombardamento su Baghdad, dov’era e cosa ricorda della notte tra il 19 e il 20 marzo del 2003?  

“Non dimenticherò mai quella giornata. E’ stato per me un giorno nero. Non pensavamo che George Bush sarebbe arrivato al punto di bombardare e invadere l’Iraq. Stavo dormendo con i miei familiari e siamo stati svegliati dai forti bombardamenti che avvenivano in ogni parte della città, nelle strade, nelle scuole. Dopo il bombardamento le scuole e le università sono state chiuse e non potevo fare altro che portare, assieme ai miei amici iracheni, le persone ferite dai bombardamenti negli ospedali. Quelle giornate sono entrate nella storia. Vanno paragonate ad avvenimenti come il bombardamento di Hiroshima o come l’invasione del Vietnam”. 

Lei fu rapito nel centro di Baghdad il 16 novembre del 2007 e fu rilasciato tre giorni dopo. Ci vuol raccontare quell’episodio?  

“Non sono stato solo rapito in quella data, ma anche arrestato per altre due volte. Una volta perché avevo fotografato e raccontato la storia di un soldato americano che aveva violentato una donna irachena. Ma non solo. Ho raccontato anche un episodio di una bambina irachena uccisa da soldati americani nella sua scuola. Quindi il rapimento durato tre giorni e l’arresto da parte dei soldati americani furono conseguenza proprio di quelle foto”. 

L’episodio che l’ha reso più famoso è stato quando ha lanciato le sue scarpe al presidente degli Stati Uniti George Bush durante una conferenza stampa che il Presidente teneva insieme al primo ministro iracheno Nuri al-Maliki a Baghdad il 14 dicembre 2008.  

“Sinceramente non ho cercato la fama attraverso il mio lancio delle scarpe al presidente Bush. Volevo semplicemente far sapere al mondo cosa avveniva in Iraq. Far conoscere le violenze e le violazioni dei diritti umani che si stavano verificando nel paese. Episodi come per esempio la violenza a quella Zarah di cui ho parlato o altre violenze degli americani sulle donne. Ma il mondo non mi ha ascoltato per i miei racconti di giornalista, ma mi ha reso famoso per quel gesto del lancio delle scarpe. Io volevo solo far arrivare il mio messaggio a tutto il mondo”. 

Lei per questo episodio è stato condannato a tre anni di carcere per vilipendio a un Capo di Stato straniero. La pena è stata poi ridotta per buona condotta prima a un anno, poi a nove mesi. Fu comunque rilasciato il 15 settembre del 2009 e rivelò di essere stato torturato nel corso della detenzione. Cosa subì in carcere?  

“Sono stato torturato per tre giorni. Mi hanno rotto il naso, i denti, i piedi. Mi hanno versato acqua ghiacciata in testa ogni giorno, per tre mesi, e mi hanno rinchiuso in una cella dove entrava appena una persona. Pensi, persino il mio avvocato era contro di me. Dopo questi avvenimenti sono stato in cura per due mesi e poi sono stato condannato come lei ha detto. Non ho parole per esprimere quanto accaduto in quei giorni. Posso solo dire che quegli episodi sono paragonabili a quanto avvenuto in Bosnia Erzegovina o a quanto fatto dai nazisti. Non avevo altra colpa che aver scritto tutto quello che facevano gli americani, ma anche il governo iracheno contro il suo popolo, calpestando i diritti umani, contro donne e bambini. Io sono stato sempre con i poveri, con i perseguitati. Stavo sempre in giro, non avevo rapporti con alcun politico. Scrivevo solo quel che sentivo, quel che vedevo e quanto mi raccontavano testimoni”. 

Cosa può dirci del comportamento dei soldati italiani durante il conflitto?  

“L’Italia è conosciuta dagli iracheni, ma anche in tutto il Medio Oriente, come un Paese meraviglioso, ma quello che ha fatto Berlusconi in Iraq non l’ho ha fatto nessun altro. Non ci aspettavamo che gli italiani appoggiassero gli americani nell’invadere l’Iraq. Io condanno solo la persona di Berlusconi che ci ha fatto tornare alla memoria quell’Italia colonizzatrice che ha invaso la Libia. Mi dispiace tantissimo per i soldati italiani che sono stati ammazzati in Iraq. Penso che i familiari di questi venti soldati uccisi debbano condannare Berlusconi, che ha portato alla vergogna l’Italia con la decisione di invadere l’Iraq”. 

Da quanto tempo manca dall’Iraq?  

“Attualmente sono in esilio in Libano a Beirut. Sono tornato in Iraq nel 2011 per essere vicino ai carcerati, ma mi hanno scoperto, fermato e messo in carcere proprio vicino a quella prigione dove ero stato detenuto tempo prima. Ho protestato con uno sciopero della fame e così mi hanno liberato e sono tornato a Beirut. Poi dopo neanche un mese sono tornato in Iraq per essere vicino a quelli che protestavano contro il governo iracheno. Sono stato per strada al fianco dei dimostranti, ma il governo mi ha braccato e per la mia sicurezza sono dovuto tornare nuovamente a Beirut. Attualmente presiedo una fondazione per difendere i diritti umani, le persone deboli e le vittime dell’invasione americana in Iraq. Curo un blog e scrivo su al Quds al Arabi, quotidiano pubblicato a Londra”.  

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