IRIN – ONU
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22 feb 13

Palestinesi fuggono dalla Siria e tornano a Gaza

La famiglia di Ahmed Dweik sa un paio di cose sull’esperienza da rifugiati. La sua è cominciata nel 1948, quando suo padre lasciò la sua città natale palestinese quando le forze sioniste occuparono il villaggio di West Batani, vicino Ashdod.

Da lì, si rifugiò in un campo profughi nella Striscia di Gaza, fino a quando la guerra del 1967 lo spinse a cercare un’altra vita all’estero. Prima andò in Egitto per studiare, poi in Yemen per lavorare. Qui è nato Dweik. Ma come suo padre, ha cercato migliori opportunità ed è emigrato in Siria per trovare un lavoro meglio pagato: è arrivato a Damasco, vicino al campo profughi di Yarmouk, la più grande comunità palestinese in Siria. “Ma quello che è accaduto a mio padre dopo la guerra del 1967, è successo a me nel 2012”, racconta Dweik.

A metà del 2011, Dweik era a Yarmpuk quando le autorità hanno aperto il fuoco contro i manifestanti ed è stato costretto a nascondersi per ore prima che la strada fosse libera. “Ho capito che era tempo di andarsene, ma dove?”. Lo Yemen, dove era cresciuto, stava vivendo la sua rivolta e gli altri Paesi arabi avevano reso difficile l’ingresso ai palestinesi.

Restava Gaza, la piccola striscia di terra sotto un embargo internazionale e dove le condizioni di vita sono difficili e peggioreranno, secondo un recente rapporto dell’Onu (“Gaza nel 2020: un luogo vivibile?”, agosto 2012). Oltre il 60% della popolazione non ha accesso quotidiano al cibo, il 39% vive sotto la soglia di povertà e il 29% è disoccupato.

Dweik, sua  moglie e suo figlio sono stati una delle 150 famiglie ritornare a Gaza dalla Siria, secondo l’Action Group for Palestinians of Syria, gruppo avviato da organizzazioni palestinesi in risposta alla fuga dei rifugiati in Siria. Di questi, 154 sono registrati all’UNRWA, agenzia Onu per i profughi palestinesi.

La Siria è casa ad oltre mezzo milioni di rifugiati palestinesi, cacciati dalle loro case nel 1948 e nel 1967. L’Action Group ha documentato la morte di 990 rifugiati palestinesi dall’inizio del conflitto in Siria, ma molti altri sono i dispersi.

Decine di migliaia hanno cercato rifugio dalle violenze presso famiglie siriane o nelle strutture del governo e dell’UNRWA in Siria. Altri 20mila sono fuggiti in Libano, 5.500 in Giordania. Tuttavia Tariq Hamoud, che coordina l’Action Group e ha recentemente pubblicato uno studio sull’impatto della crisi siriana sui rifugiati palestinesi, dice che il numero di palestinesi che ha lasciato la Siria per altre destinazioni – comprese Turchia, Egitto e Libia – sono almeno 50mila.

“Nulla è cambiato”

Ma il ritorno a Gaza è una sfida, secondo il capo dell’UNRWA nella Striscia, Robert Turner. “Non ci aspettiamo un ritorno di massa qui a causa delle difficoltà di vita nella Striscia”.

A dicembre, dopo il duro attacco contro Yarmouk, il presidente dell’Autorità Palestinese, Mahmoud Abbas, ha chiesto a Stati Uniti e Paesi alleati di aiutare i rifugiati palestinesi in Siria a rientrare in Cisgiordania e a Gaza. Ma “nulla è cambiato”, dice Adnan Abu Hasna, capo della divisione comunicazione dell’UNRWA a Gaza.

I palestinesi che vogliono entrare attraverso il confine egiziano necessitano di documenti di viaggio particolari e i gazawi che tornano dalla Siria subiscono “controlli di sicurezza approfonditi” da parte degli ufficiali egiziani, secondo il rapporto di Hamoud.

Quando Faragallah Abu Jarad, che ha vissuto nel campo palestinese di Deraa per oltre trent’anni, è stato costretto a lasciare la Siria con la sua famiglia di undici persone, lui e due suoi figli sono finiti in una prigione egiziana per un mese dove sono stati sottoposti a lunghi interrogatori prima di farli entrare a Gaza.

Le autorità egiziane al confine di Rafah hanno anche negato l’ingresso a Gaza a Dweik, perché non aveva il visto. La sola via per entrare era attraverso i tunnel, che collegano la Striscia all’Egitto. “E’ stato rischioso – racconta – ma ce l’ho fatta”.

“Tremava tutto”

Questi palestinesi tornano in un luogo che non offre grande sicurezza o opportunità. Dopo il lungo viaggio e il tentativo di ricostruirsi una vita a Gaza, Dweik si è trovato di nuovo la guerra alla porta. Gli otto giorni di offensiva militare israeliana nel novembre 2012, ha riportato a galla i ricordi delle violenze. Dweik vive vicino ad un edificio governativo che è stato bombardato da Israele.

“Tremava tutto: le finestre, le porte, anche il palazzo, ma grazie a Dio la mia famiglia si è salvata”. Ha avuto di nuovo paura: “Cosa posso farci? Ho sofferto tanto per tornare qui, ho temuto che gli egiziani mi arrestino se torno in Egitto perché sono entrato a Gaza dal tunnel”.

Abu Jarad dice di essere felice per la sua famiglia, ma di trovare difficile vivere a Gaza, tra disoccupazione e povertà. “Non è solo la sicurezza che cerchiamo – dice – ma anche ricostruire le nostre vite, che ci sono state rubate dalla guerra. Abbiamo lasciato via tutto”.

Guarda una vecchia casa dove i suoi genitori hanno abitato per decenni. Le mura sono distrutte e alcune finestre rotte a causa dei bombardamenti di novembre. Molti di coloro che hanno lasciato la Siria hanno parenti a Gaza che possono offrire qualche aiuto. E i rifugiati hanno accesso ai servizi dell’UNRWA come quelli che vivono a Gaza: cibo, educazione, assistenza sanitaria. Possono anche farsi aiutare per trovare un lavoro per sei mesi o un anno, dice Abu Hasna di UNRWA: “Più di questo non possiamo offrire”.

Un funzionario governativo di Gaza, parlando in anonimato, dice che quelli che arrivano a Gaza possono ottenere assistenza dal governo, come qualsiasi altro residente. Ma dice che sarà difficile, non solo politicamente, ma anche a livello logistico e finanziario, accogliere un così alto numero di rifugiati palestinesi, non originariamente residenti a Gaza.

Dweik ha chiesto maggiore attenzione, compresa assistenza finanziaria e per la casa, a coloro che fuggono perché rifugiati, “perché sono fuggiti con niente in mano se non se stessi, in cerca di un posto sicuro dove vivere, e non dove essere rifugiati per sempre”.

 

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